Pirandello memorabile con Mauri di Osvaldo Guerrieri

Pirandello memorabile con Mauri All'Alfieri Pirandello memorabile con Mauri TORINO. Sarà inevitabile, parlando del «Tutto per bene» che si rappresenta all'Alfieri con successo plebiscitario fino a domenica, fissare la nostra attenzione principalmente su Glauco Mauri. Non solo perché questo è il primo Pirandello affrontato dall'attore in trent'anni di carriera, ma soprattutto perché, attraverso la propria interpretazione, Mauri rende visibili tutti i nodi e le metamorfosi di una vicenda che, composta nel 1920, precede di due anni «Enrico IV», l'opera nella quale sarà ripresa e sviluppata quella sorta di inganno psicologico e civile di cui è vittima Martino Lori. Ma se la vendetta di Enrico è il frutto gelido e artificioso di un rancore ruminato a lungo, quella di Martino ha la forza dirompente della passione improvvisa. A differenza di Enrico IV, Martino Lori ignora ciò che è accaduto intorno a lui. Il tradimento della moglie? L'inganno dell'amico più caro? La figlia non già sua ma dell'amico? Quando apprende queste veritìà, Martino insorge con rabbia confusa. Com'è possibile? dice. La moglie sulla cui tomba ha deposto fiori per sedici anni... l'amico che era quasi un fratello... la figlia... Ora capisce il fastidio di lei e del marito quando lui arrivava: lo consideravano un estraneo e un ipocrita, per di più mormoravano che sapesse e avesse ottenuto benefici di carriera in cambio del silenzio. Ma la vendetta di Martino non sarà spietata. «Tutto è accaduto tanto tempo fa» dice. Gli preme riconquistare l'amore e il rispetto della figlia: soltanto così ogni cosa tornerà ad essere per bene. Come si vede, il dramma esiste nel momento in cui avviene e coglie la sua vittima indifesa. Precipitando con il gelo di una lama, provoca una profonda frattura tra un <mrima» devoto, quietamente abitudinario, e un «dopo» rabbioso. Fra i due momenti s'insinua la sensazione di un vuoto, un'eclisse della coscienza. Ecco: il pregio di «Tutto per bene» sta nel farsi della rabbia e della vendetta proprio sotto i nostri occhi. E la grandezza di Mauri sta nel seguire queste germinazioni con una dolcezza che sfuma nella confusione grottesca e nella sofferenza straziata. L'attore affronta il personaggio con grandissima dedizione. Lo spia, lo sostiene, lo accompagna e ad ogni cambiamento trova il tono, il gesto, il tic che meglio lo descrive. Ma, per quanto emozionante, la sua interpretazione non è di tipo mattatoriale, non si espande sul vuoto; al contrario acquista qualità proprio perché ha intorno un contesto preciso, che la regia di Guido De Monticelli ha costruito con minuziosa attenzione. Non ci sono né cadute né ristagni in questo spettacolo che 10 scenografo Nicola Rubertelli ha racchiuso in una sorta di gabbia con molte porte: costruzione fredda, come le luci che la inondano, involucro stilizzato di un mondo in cui inganno e ipocrisia sono resi al meglio da Italo Dall'Orto, che dà elegante doppiezza al personaggio del senatore Salvo Manfroni; da Stefania Micheli nel ruolo della figlia Palma; da Giorgio Lanza, 11 marito. Corretta la prova di Anna Zapparoli, Claudio Marcinone (il più macchiettistico di tutti) e Cesare Lanzoni. Infine vorremmo ricordare Silvana De Santis che, con spiritosa effervescenza, ci ha consegnato un memorabile ritratto della vecchia Barbetti. Osvaldo Guerrieri

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