Argan, arte e politica passioni di una vita

Argan, arte e politica passioni di una vita La scomparsa del critico a 83 anni, sui suoi libri hanno studiato generazioni di liceali Argan, arte e politica passioni di una vita Dalle battaglie culturali a sindaco di Roma e in Parlamento C~l IULIO Carlo Argan il suo ultimo giorno l'aveva atteso in compagnia di Michelangelo. Ne aveva I analizzato puntigliosamente l'architettura sapendo che altro, nella sua vita, non avrebbe scritto. Si tormentava per non essere riuscito a lasciare un volume articolato sulla «pittura inglese come pittura dell'Illuminismo», ma confessò: «Il pensiero della morte sempre presente nella mente di Michelangelo, durante gli ultimi anni ha finito col costituire la mia preparazione a un evento che non è certamente lontano». Giulio Carlo Argan, per cinquantanni punto di riferimento internazionale della critica d'arte, è morto ieri sera a Roma, dove da molti anni aveva messo radici in un tranquillo apparta¬ mento che si affaccia su una strada alberata alle pendici del Gianicolo. Aveva 83 anni (era nato a Torino il 17 maggio del 1909). Si laureò in lettere nel capoluogo piemontese, dove coltivò e alimentò stretti rapporti di amicizia con maestri di poco più vecchi di lui: Giacomo Debenedetti, Franco Antonicelli e Carlo Levi, «che spesso si univano al nostro piccolo gruppo universitario di cui facevano parte Bobbio, Mila, Ginzburg, Pavese e Monferini». Nella Torino di quegli anni si trovò a dare lezioni di storia dell'arte a Giancarlo Pajetta, espulso da tutte le scuole del regno per antifascismo. A 24 anni vinse un concorso nell'amministrazione delle Antichità e Belle Arti, dove lavorò per ventitré anni, prima come ispettore, poi come soprinten¬ dente, infine come ispettore centrale presso il ministero. Anni in cui cominciò a far conoscere il proprio nome con articoli su riviste specializzate. Del '36 è il suo voluminoso saggio «L'architettura preromanica e romanica». Fu forse il suo primo impegno «politico», che l'avrebbe poi portato sullo scanno più alto del Campidoglio: sindaco di Roma, la città al mondo più ricca di storia, di arte e di scempi. Quel libro, pubblicato in pieno Ventennio, èra una dichiarazione d'amore per la capitale. Il problema architettonico diventava un «affare di Stato», i Piacentini si facevano strada a gomitate per imporre un loro stile trionfalistico e formale, pacchiano e ingombrante. Argan smontò, almeno teoricamente, il loro tentativo di gabellare il mo- numentalismo come ima restaurazione dello stile dell'antica Roma. A quella prima prova che già lo impose come critico d'arte fecero seguito numerose monografie, uno studio sul Barocco e la «Storia dell'Arte moderna» sulla quale hanno studiato generazioni di liceali. Lasciò la carriera amministrativa nel '56 per diventare ordinario di Storia dell'arte all'Università di Palermo. Il suo nome balzò all'onore delle cronache alla fine del giugno 1976 quando, dopo le elezioni amministrative di Roma, le vqci di palazzo lo accreditavano come «sicuro sindaco di Roma».TJopp il bersagliere La Mamiora.iera il secondo piemontese ad aprire una breccia nella «roccaforte clericale» che, fino ad allora, sembrava garantire il carattere sacro di Roma ca- pitale. La coalizione tripartita pei, psi e psdi lo catapultò, la sera di lunedì 9 agosto, alla guida di una città «che poi non è etema affatto» - come dichiarò -, con un debito di quasi 5 mila miliardi, «dove la gente ha a disposizione un trifoglio di verde a testa perché i palazzinari hanno sconciato tutto». Non disse, come pii • mo atto di governo, «salviamo il Colosseo», bensì «saniamo il bilancio, diamo alla popolazione un orientamento produttivo, riordiniamo la viabilità, facciamo funzionare i servizi pubbli¬ ci». Roma lo ricorda come uno dei suoi migliori sindaci. Lasciò la carica nel '79 per candidarsi al Senato nelle liste del pei e continuare la sua attività di critico e pubblicista. Nelle ultime elezioni non si era candidato, ritirandosi in quella casa alle pendici del Gianicolo in cui si circondava di quadri regalatigli da Morandi, Burri, Capogrossi, Colla, Tosi, Consagra, Moore, Turcato, Pomodoro. Accanto alla televisione teneva una statuina di Manzù, come ad esorcizzarla. Nessuno dei suoi dipinti giovanili. Voleva diventare pittore, all'arte lo avvicinarono le lezioni di Lionello Venturi. Ma, «davanti all'Olympia di Matisse, decisi che la pittura altrui m'interessava molto più della mia», Pier Luigi Vercesi Nato a Torino, amico di Pavese fu allievo di Venturi Ha scritto importanti saggi sul Barocco e i moderni Il critico d'arte Giulio Carlo Argan sullo sfondo di un quadro di Capogrossi

Luoghi citati: Roma, Torino