Boni: sono ritornalo a vivere di Maurizio Caravella

Boni: sono ritornalo a vivere AD AOSTA DOPO 10 MESI DI INCUBO i tifosi hanno aiutato l'hockeista a superare l'emozione di un difficile rientro Boni: sono ritornalo a vivere Mi sentivo un vegetale AOSTA DAL NOSTRO INVIATO Chissà che cosa avrà provato Jimmy Boni, ieri sera, quando è tornato in pista per una partita vera (2-1 per il Courmayeur sul Merano) dopo dieci mesi, che per lui sono stati molto peggio di un purgatorio. Forse, un senso di liberazione. Forse gli è sembrato di lasciarsi alle spalle, per qualche ora, il tunnel in cui ha dovuto vivere. Lo hanno applaudito in un migliaio. Il rientro di Jimmy però non è stato fortunato: a metà circa del secondo tempo ha ricevuto un colpo di mazza sul polso destro che si è subito gonfiato. Per precauzione è stato portato all'ospedale: escluse fratture, ma l'arto è stato steccato. I tifosi gli hanno fatto trovare un cartello («Chi conosce l'hockey non condanna Boni») e uno striscione su cui c'era scritto: «Bentornato Jimmy, la fossa ti aspettava». La fossa: cioè i tifosi, gli ultras, che hanno sofferto con lui. E Jimmy ha alzato la mazza in segno di saluto. Una mazza identica a quella con cui, quel maledetto 14 gennaio, aveva colpito al petto Miran Schrott. «Non mi sento colpevole: ma quando è morto lui, sono morto un po' anch'io», disse allora. Era vero. Ma per tornare a vivere, Jimmy doveva prima tornare a giocare ad hockey. L'affetto dei tifosi, dei compagni di squadra, non poteva bastargli. L'amarezza di veder giocare gli altri, di sentirsi in castigo, gli lasciava quella ferita sempre aperta. Per cicatrizzarla, non poteva esserci che la partita. Non ha voluto parlare con nessuno. Era teso. Emozionato. Come se fosse la prima volta. Ma in fondo lo era: la prima volta della sua seconda carriera. E' stato accolto quasi come un eroe, e sicuramente lui non avrebbe voluto. Avrebbe preferito un ritorno in silenzio. Si sarebbe sentito come gli altri. Forse non lo ammetterà mai, ma chi lo conosce bene è convinto che, almeno all'inizio, avesse paura. Un timore inconscio di tenere la mazza troppo alta e di poter far male a qualcuno. Sicuramente negli occhi aveva ancora quella scena, che lo ha tormentato per tante notti: Schrott che lo colpisce alla mascella col guantone, lui che reagisce d'istinto con un fendente; l'altoatesino che cade comprimendosi il fianco destro e non riesce a rialzarsi, come un burattino a cui abbiano tagliato i fili; gli spettatori che non capiscono e gridano: «cine, cine». Poi, il momento in cui a Boni sembra che il mondo crolli addosso: gli basta guardare la faccia dei suoi dirigenti, dopo la partita, per capire che Schrott è morto. Luciano Rimoldi, presidente della Federghiaccio, ha detto: «Tutti coloro che conoscono questo sport sanno che la morte di Schrott è stata dovuta, al 98 per cento, a fatalità». Voleva togliere a Jimmy quel peso tremendo, non c'è riuscito. Perché il 2% che manca è pochissimo, ma anche tanto. E' il grande dubbio. E' una spina nel cuore e nel cervello. In questi dieci mesi, per lui lunghi come dieci anni, Boni ha dovuto spiegare a tutti di sentirsi innocente, ma di essere distrutto lo stesso. «Colpi così, in un campionato, se ne danno e se ne ricevono a centinaia. Fanno parte del gioco. Ho pensato mille volte che, se invece di avere il braccio alzato, lui l'avesse avuto disteso lungo il fianco, l'avrei colpito al gomito e non sarebbe successo niente. Ma lui è morto ed io, per alcuni, sarò sempre il Jimmy Boni di quella maledetta sera». Jimmy ha 29 anni, è professionista dell'hockey da dodici, è sposato ed ha due figli, ai quali un giorno dovrà raccontare ciò che gli è successo, prima che lo vengano a sapere da altri. Già una volta pensò di lasciar perdere tutto: la mazza di un avversa¬ rio lo colpì a un occhio, rischiò di restare cieco, la moglie gli disse: «Abbiamo un negozio d'abbigliamento, possiamo vivere anche senza i tuoi due milioni al mese, perché rischiare ancora?». Ma Jimmy, che allora giocava nel Bolzano, non riuscì a stare lontano dalle piste ghiacciate. Come non c'è riuscito adesso. Sa essere buona, la gente, e ieri sera s'è visto. Ma sa anche essere cattiva. Qualcuno ha detto che Jimmy era scappato in Canada e ha accusato la Federazione di averlo lasciato andar via. Lui c'è stato davvero in Canada, la sua seconda patria, per cinque mesi. Ma poi è tornato. E ha ricominciato ad allenarsi, cercando di ritrovare l'entusiasmo perduto. Cercando invano di dimenticare. Ma dimenticare del tutto Jimmy non potrà mai. Anche se ieri, il gioco, l'amore per il suo sport, è parso prevalere. Alla fine ha detto: «In questi mesi mi sono sentito un vegetale. Volevo ritornare a vivere e solo giocando ci sono riuscito». Maurizio Caravella Il valdostano, che aveva causato la morte del gardenese Schrott, va in campo contro il Merano ma s'infortuna al polso destro Jimmy Boni (a fianco e a sinistra nella foto grande) non giocava match ufficiali dal 14 gennaio

Persone citate: Jimmy Boni, Luciano Rimoldi, Miran Schrott, Schrott

Luoghi citati: Aosta, Canada, Courmayeur