Mitchell l'addio a un grande

Mitchell l'addio a un grande Jazz in lutto Mitchell l'addio a un grande NEW YORK. Keith Moore Mitchell (detto Red, pel di carota), il formidabile bassista che venne a cercarsi in Europa il jazz e un congeniale clima culturale, è morto, la notte di domenica scorsa, in un ospedale di Salem, nell'Oregon, all'età di 65 anni, stroncato da un attacco cardiaco preceduto, pochi giorni prima, da un ictus cerebrale. Il suo estro si era associato già agli esordi con quello di Red Norvo (in quel trio sostituì nel '52 Charles Mingus), di Gerry Mulligan, Hampton Hawes, Shelly Manne. Poi si esibì a proprio nome (con Herb Geller) e in seguito anche con Clark Terry, Jim Hall, Phil Woods in innumerevoli concerti e registrazioni. Nel '68 , Mitchell cambia radicalmente la propria vita. Abbandona infatti Hollywood e la MGM (era sessionman per le colonne sonore) e accetta l'offerta di Dizzy Gillespie che gli proponeva di girare il mondo con la sua band. Questa l'occasione per stabilirsi poi in Europa dove tutto lo affascinava. A Stoccolma, tra gli amici, diceva: «Qui c'è meno razzismo, meno nazionalismo, meno sessismo, meno discriminazioni in tutto». In Svezia era venerato come un maestro. I capelli non più rossi ma ormai bianchi, folta la barba, Red Mitchell era l'attrazione per chi voleva ascoltare del jazz a Stoccolma dove si esibiva sovente con Jan Halen, il grande trombettista, qualche volta con l'amico Roger Kellaway. Frima di eseguire i brani in programma, Mitchell, che ormai si esprimeva perfettamente in svedese, aveva l'abitudine di dilungarsi in amabili introduzioni esplicative nelle quali alle note di storia e di estetica sapeva alternare battute di alleggerimento con quel sottile humour che solamente le persone serie posseggono. Europeo per scelta, Mitchell continuò ad apparire per anni nelle classifiche del «Down Beat» tra i più grandi artisti americani del jazz. Ma ritornava in patria un paio di volte l'anno per incidere un disco ed esibirsi «live» in qualche club. Una delle sue ultime apparizioni in pubblico l'ha fatta con il pianista Roger Kellaway alla ((Jazz Bakery» di Los Angeles, il maggio scorso, appena rientrato negli Usa. II contrabbasso, prima di Mitchell, era uno strumento nel quale eccellevano i jazzisti neri (da Jimmy Blanton a Ray Brown a Paul Chambers). Red fu il primo bassista bianco a fondere la cultura occidentale con il caratteristico andamento ritmico (walking) degli afroamericani, per ottenere quella possente leggerezza che proprio dalle corde del contrabbasso fa la magia e mette in moto la grande macchina dello swing. Aveva fatto cose egregie anche nel disco «Tomorrow Is The Question» che incise (1958) con l'innovatore Omette Coleman. Franco Mondini

Luoghi citati: Europa, Hollywood, Los Angeles, New York, Oregon, Stoccolma, Svezia, Usa