Viaggio nell'ossessione dello terra di Auschwitz

Viaggio nell'ossessione dello terra di Auschwitz ANTISEMITISMO IN POLONIA Viaggio nell'ossessione dello terra di Auschwitz VARSAVIA DAL NOSTRO INVIATO Basta porre il quesito - se si può parlare di revival dell'antisemitismo in questa cattolicissima Polonia, la terra dell'Olocausto che vide incenerire milioni di ebrei nei campi di sterminio nazisti ed è come toccare un nervo scoperto. Resta un argomento tabù perché evoca antiche suscettibilità, a livello ufficiale ne negano ostinatamente l'esistenza, sottolineano che gli episodi di intolleranza sono insignificanti, che le profanazioni di cimiteri ebraici si contano sulle dita di una mano, che qui i neonazisti non sono di casa. Pare quasi di assistere ad un esercizio collettivo di rimozione: mutile discuterne in quanto si tende a puntualizzare il diverso carattere dei veri problemi che assillano il primo Paese postcomunista: il risanamento eco¬ nomico, il difficile trapasso alla privatizzazione industriale, la lotta alla disoccupazione dilagante. Tutti insomma si chiamano fuori da un tema definito improponibile a cominciare dalla Chiesa ufficiale, pronta a sciorinare i certificati di buona condotta guadagnati all'epoca delle persecuzioni razziali. Persino nella sfera politica il problema viene affrontato con le molle, alcuni interlocutori preferiscono addirittura sottrarsi all'intervista. Troppo imbarazzante, ammettono, meglio tacere. Il nostro viaggio su un terreno minato comincia con il colloquio con il presidente Lech Walesa. L'ex elettricista di Dan zie a è in piena forma, gioviale, rapido nel replicare con un'alzatina di spalle alla recente sparata del generale Jaruzelski («La storia mi darà ragione»): «Mi disprezzi pure, tanto la vittoria finale è mia», ma si irrigidisce di colpo e taglia corto quando la conversazione scivola sull'antisemitismo in chiave polacca. C'è o non c'è? «Le rispondo tramite un paradosso: sarei arcifelice se il popolo polacco fosse antisemita. Vorrebbe dire che da noi la questione non avrebbe alcun motivo di essere esaminata. Vede, a mio avviso parlare di antisemitismo significa ammettere la sua esistenza e finché sarò Capo dello Stato non consentirò che ciò avvenga. Mi fa ribrezzo, so che altrove, all'estero, esso purtroppo ha ripreso a proporsi mentre da noi in Polonia qualche caso isolato è stato ampliato ed ingigantito oltre misura. Non bisogna mai dimenticare che i polacchi hanno fatto molto, moltissimo durante il conflitto antinazista per aiutare gli ebrei perseguitati. La componente ebraica della nostra popolazióne ha pagato un prezzo durissi¬ mo e non deve più nulla, anzi. Da polacco mi vergogno di quanto è accaduto». Già, gli ebrei polacchi. Nell'anteguerra erano oltre tre milioni, oggi sopravvive una comunità di appena 10 mila persone sparpagliata tra la capitale e Lodz ed assistita solo da due rabbini. Eppure in così pochi sono sufficienti a diventare un caso nazionale. Lo dice a chiare lettere Marek Edelman, uno dei venti superstiti all'insurrezione del ghetto di Varsavia nel 1943. Militante del Bund, il braccio armato della resistenza ebraica, scappò attraverso le fogne mentre i compagni rimasti indietro preferirono il suicidio alla cattura. Adesso è un primario cardiologo, però si infiamma se gli tocca parlare del presente. «E' triste ammetterlo: gli ebrei in Polonia non ci sono più, ma l'antisemitismo non è morto. Certo, l'ebreo non rappre¬ senta il nemico da schiacciare senza pietà, si tratta di qualcosa che apparteneva al passato. Adesso la verità appare ancora più tragica. Da noi ogni nemico assume automaticamente le sembianze dell'ebreo e la colpa è della classe politica». Quella che in occasione delle recenti elezioni parlamentari non aveva esitato a screditare le candidature di numerosi esponenti di Solidarnosc, appiccicando loro false origini ebraiche. La stessa assurda caccia alle streghe che d'altronde fu impiegata dal regime marxista per sbarazzarsi dei gerarchi ebrei tacciati di filostalinismo. Alla cùria di Varsavia troviamo le porte sbarrate, il nunzio apostolico monsignor Kowalczyk rifiuta di riceverci. In effetti vuole sottrarsi all'imbarazzante dibattito della presentazione di una nuova biografia su Papa Pa- celli, «Pio XII,' l'ultimo Papa», scritta da Antonio Spinosa per la Mondadori. Ripieghiamo su padre Adam Bonieski, direttore dell'edizione polacca deH'«Osservatore romano». E' un prete progressista, grande amico di Giovanni Paolo n, aperto, sincero. «Indubbiamente i polacchi sono rimasti delusi da Papa Pacelli, non è piaciuta la sua latitanza quando altri denunciavano ad altra voce l'orrore delle camere a gas di Auschwitz e di Birkenau, le terribili officine della morte vicino Cracovia. Qui lo definiamo il Papa tedesco». E l'antisemitismo oggi? *Il problema esiste, eccome, lo si avverte in modo sorprendente persino tra gente intelligente, colta, dove permane la tentazione di addossare ogni misfatto al complotto giudaico. Per fortuna il clero non si presta a tali manovre. Mi viene in mente la messa recitata anni fa da un mo- desto sacerdote di campagna. Non volle pronunciare la formula di rito sui «perfidi ebrei», sostituendola coraggiosamente con la frase «i nostri predecessori nella fede». Vero, però, l'episcopato nazionale fece quadrato attorno al primate cardinale Glemp sulla controversa presenza delle suore carmelitane ad Auschwitz... «La vertenza è stata risolta grazie all'intervento di Papa Wojtyla, il centro di preghiera interecumenico è in fase di costruzione». Sentiamo infine Bronislaw Geremek, storico, ex consigliere di Walesa, presidente della Commissione esteri alla Camera dei deputati e capogruppo di Unione Democratica, partito-cardine della coalizione governativa. «Debbo premettere che mi risulta assai doloroso parlare dell'antisemitismo. Non dovrebbe esistere in Polonia per ragioni storiche, purtroppo si è trasformato in strumento ideologico della tensione politica. Permane uno stereotipo che non corrisponde alla realtà anche se la società frustrata, impaziente, priva di certezze sul futuro cerca un colpevole. E fin troppo facile identificare il nemico nell'ebreo tanto diverso per razza, indole, religione. Trovo pazzesco che ancora di recente l'ex primo ministro Mazowiecki sia stato dichiarato "pulito" in quanto dai registri parrocchiali non risultavano ascendenze ebree a partire dal 1500. Non si deve giustificare l'operato della Chiesa cattolica all'epoca del nazismo, ma neppure perdonare certi suoi silenzi al vertice. Abbiamo chiuso gli occhi e tappato le orecchie, oggi occorre combattere l'antisemitismo per la semplice ragione che è ancora disarmabile, che non ci fa paura. Bisogna invece onorare il culto della memoria storica e preservare i pochi monumenti ebraici ancora in piedi». Ma il velo dell'oblio cala implacabile. Cerchiamo i binari della stazioncina del ghetto dal quale partivano i convogli dei deportati. Oggi sono sepolti in un parcheggio di Tir vietato ai visitatori. Piero de Garza rolli

Luoghi citati: Auschwitz, Cracovia, Polonia, Varsavia