«lo, Giulio e i pidocchi Storia di guerra e pace»

«lo, Giulio e i pidocchi Storia di guerra e pace» INTERVISTA UN'AMICIZIA LUNGA 10 ANNI Il giorno dopo la riconciliazione con Andreotti, Vittorio Sbardella si confessa «lo, Giulio e i pidocchi Storia di guerra e pace» ROMA. Onorevole Sbardella, una persona a lei vicina ha detto che dopo la pace con Andreotti lei non s'è più lavato la mano per ricordo. E' vero o è già leggenda? «Non mi ricordo nemmeno se mi sono lavato le mani o no ieri sera tornando a casa. Ma non ho bisogno di reliquie per l'incontro con Andreotti. Anche se sono contento di questa tregua. Finalmente». Tregua, dunque, e non pace? «Non so nemmeno io come chiamarla. Non ci parlavamo più e siamo ritornati a parlarci: per un'ora, forse un'ora e mezzo. Pace? Vedremo. Quel che è certo che la guerra c'è stata. Anche se io non ho mai dato tutte le colpe a lui». E a chi allora? «A certi personaggi, anzi personaggio che io conosco molto bene. E anche lui. Anche se per lui è più difficile vederli. Ha presente quel che diceva Togliatti? Si attaccano come pidocchi alla criniera del cavallo. E Giulio ha il vizio di lasciarli aggrappare e di trascinarseli dietro. E' il suo difetto più grave. Da sempre, da quando l'ho incontrato». Come vi siete conosciuti? (Attraverso un comune amico. Allora con Petrucci eravamo nella corrente dorotea e io cercavo di riunificare la de laziale squassata dalla rottura fra Andreotti e Petrucci. E questa persona procurò l'incontro». Chi è? «Il dottor Santarelli, un imprenditore fuori dalla politica». Che anno era? «La fine dell'81 o l'inizio dell'82». Quale fu la prima impressione che le fece Andreotti? «Una buona impressione. E devo dire che quella buona impressione è durata a lungo, fino a quando è diventato presidente del Consiglio e gli si sono incollati addosso i profittatori, quei pidocchi di cui parlavo prima». ' E' ora di battezzare questi pidocchi: può fare i nomi? «Li conosce anche lei. Basta guardare chi stava intorno al Presidente nell'ultimo governo. Quel Pomicino...Quel Cristofori...». Torniamo al primo incontro: che cosa ricorda? «Se devo essere sincero mi colpì la pacatezza di Andreotti: quel parlare a voce bassa, smitizzando tutto, ammorbidendo, smussando. Poi, la capacità di intuire. Sì, lui è andato avanti più a forza d'intuito che di analisi. Tutto il resto è mitologia». Andreotti le chiese subito di passare dalla sua parte? «Macché, non è nel suo stile. Gliel'ho detto: smussare, ammorbidire. Eppoi i toni bassi. Nessuna richiesta, nessuna pressione. La questione l'ho posta io. Gli ho detto: io vengo». Che cosa gli portò in dote? Cioè, per parlar chiaro: quanto pesava lei allora nella de? «Intorno al 30-35 per cento. Un bel grappolo di roba, non le pare». i Oltre al rapporto politico si sviluppò anche un rapporto personale? «Si, credo di poter dire che con me Andreotti diventò amico. E badi bene che è una cosa rara in quel gruppo in cui tutti gli danno del lei, lo chiamano presidente e se potessero gli darebbero del voi». E Sbardella, gli dava del tu? «Sempre del lei, ci mancherebbe. Solo Lima si permetteva il tu. Ma Lima era Lima. Per tutti noh è anche per Andreotti. Anch'io lo chiamavo presidente». Qua! era il suo posto nella gerarchia andreottina? «Sarò sincero. A livello politico subito dopo Andreotti». Quindi era il numero due? «Beh, non abbiamo mai formalizzato i posti a tavola e i numeri sulla maglia. C'è sempre stato il problema del vecchio Evangelisti, sa com'è...». Allora nella corrente c'erano già i Pomicino, i Cristofori? «Sì, ma vivevano staccati, in mezzo al gruppo, non avevano un vero rapporto politico con noi. Poi quando sono andati al governo le cose sono cambiate. Andreotti non sa liberarsi dalle persone che fanno pressing su di lui. Gli manca l'ultimo dribbling». Sta disegnando un Andreotti inedito: possibile che sia prigioniero dei suoi? «No, non di tutti i suoi, dei profittatori. Quelli che ha avuto intorno durante l'ultimo governo». C'erano riunioni plenarie-dei maggiorenti della corrente? «Qualche volta, in vista dei congressi. Ci vedevamo io, Andreotti, Evangelisti, Lima». E gli altri ubbidivano? «Beh, diciamo che cercavamo di coinvolgere tutti nelle decisioni prese; Masi, ubbidivano». Era Andreotti a fare il mattatore in quelle riunioni? «Ha una grande capacità d'ascolto. Riesce ad ascoltare e qualche volta ad assorbire quello che gli viene detto». Cambiava idea? «No, questo per lui è troppo». I suoi rapporti con il Vaticano sono veri o si tratta di invenzioni giornalistiche? «Sono veri ma c'è anche un po' di leggenda. Lui lo sa e qualche volta ci marcia. Credo che gli dispiaccia non aver fatto il Papa o almeno il cardinale. Una volta gli ho detto che il suo modo di far politica ricorda quello dei cardinali dell'Ottocento: pragmatismo senza ideologie. Lui ha sorriso. Ma poi gli ho spiegato che il pragmatismo è una virtù per un uomo di governo ma è poco esaltante per un uomo di partito». Già il partito. Andreotti ha mai pensato di fare il segretario? «No, è sempre stato ai margini della vita interna della de». E di diventare Capo dello Stato? «Credo di sì, ci ha pensato più di una volta. Ma la cosa che gli piace di più è governare. Col solito guaio, il guaio dei pidocchi». Lei che la conosce dall'interno può disegnarci la vera ge¬ rarchia andreottiana? «Mettiamo la squadra in campo. Andreotti''. farebbe il regista, numero 10,e capitano». : Sbardella? «Il centravanti di sfondamento. Fin che ho retto: e ho fatto anche qualche goal memorabile». Evangelisti? «Il libero». Cristofori? «Un manovratore che va su e giù, senza ruolo, come il vecchio Pandolfini» Pomicino? «Un tornante che cerca di occupare tutti gli spazi e che poi si ingarbuglia dribblandosi da solo. Come il giovane Di Canio, che non cresce mai». Vitalone? «Un panchinaro». Lima? «Era un buon centromediano metodista». E Ciarrapico? «Ma cosa vuole che possa fare... Non ci siamo proprio. Tutt'al più era un massaggiatore, con la borsa*dell'acqua a fianco. Minerale, naturalmente». Una simile intimità le ha mai permesso di accedere al mitico archivio di Andreotti? «Io non l'ho mai aperto». Lei gli ha portato voti? «Certamente». Quanti? «Io ne ho presi centodiciannovernila. Almeno centomila li ho tra¬ sferiti a lui». Quindi solo perché è diventato senatore a vita si è potuto privare a cuor leggero di lei? «Non credo proprio che abbia rinunciato a me a cuor leggero». E allora perchè avete rotto? «C'è stata una lunga incubazione. Prima la vicenda della sostituzione dei ministri della sinistra de: io non ero d'accordo. Poi il discorso del disavanzo pubblico: e io avvertivo il rischio del disastro. Infine io volevo andare alle elezioni anticipate im anno e mezzo prima del 5 aprile. Lui invece ha voluto continuare a governare». Gli ha mai detto Presidente, guardi che me ne vado? «Sì, ma poi quando uno insiste sui problemi diventa sgradevole e sgradito». E il momento della rottura? «Finché c'era Lima funzionava da mediatore. Ecco, con l'attentato a Salvo è saltato il ponte». Lei non si è più incontrato con Andreotti? «Sì una volta al Caffè Greco, per un'iniziativa dei commercianti di via Condotti». Che cosa vi siete detti? «Ciao Vittorio, buonasera Presidente. Niente di più, c'era molto imbarazzo, come tra moglie e marito che aspettano il divorzio e si vedono dall'avvocato». E poi? «Dopo le elezioni i soliti gentiluomini si sono preoccupati di rende¬ re irreversibile la rottura». A chi si riferisce? «A Pomicino e gli altri». Perché l'hanno fatto? «Perché speravano di ereditare una funzione, che non c'è più per la corrente andreottiana». Può spiegarsi meglio? «I numeri pesano, le chiacchiere stanno a zero. E allora i numeri dicono che quando sono arrivato io la corrente, a livello nazionale, contava 1' 11,5 per cento. Poi è cresciuta prima al 15, poi al 18». E adesso quanto contano gli andreottiani? «Il dieci per cento». Ma è vera la storia della «manina» di Andreotti che spunta dappertutto? «Io ho visto soprattutto la mano degli altri. Mano pesante, altro che manina». Con tutte le voci che corrono, nella guerra con Andreotti ha mai avuto paura? «Io no, qualcuno dei miei sì. Ma io ho sette vite. Dicevo: che volete che ci faccia. Aspettate e vedrete». E ieri vi siete scambiati il segno della pace. Chi ha cominciato? «Lui». Dunque lui è più buono? «No, anche Sbardella è buono. Ma lui è più autorevole e anche più anziano. Creda a me, toccava a lui». Maurizio Tropeano Gli davo sempre del lei Ma io ero il numero due Cristofori e Pomicino stavano solo nel gruppo Non ho mai visto archivi Vittorio Sbardella (foto grande) Qui accanto Cirino Pomicino Sotto, Sbardella con Andreotti ed Evangelisti In basso, Nino Cristofori

Luoghi citati: Lima, Pomicino, Roma