LUNGHE OMBRE DELL'OLOCAUSTO

LUNGHE OMBRE DELL'OLOCAUSTO LUNGHE OMBRE DELL'OLOCAUSTO Due scrittrici ricordano FERITE ancora aperte e colpe incancellabili. Mentre i sondaggi rivelano che l'indifferenza si allea con il revisionismo per annacquare il ricordo dell'olocausto nella coscienza degli italiani, due romanzi di donne che hanno vissuto la persecuzione ebraica ci riportano alla responsabilità della memoria. La caduta di Marga Minco (Guanda, pp. 102, L. 18.000, tr. Laura Pignatti), olandese di 72 anni, che ha avuto enorme successo in Olanda (200 mila copie) e nei Paesi di lingua inglese, sfiora lo Shoah in maniera morbida e indiretta. E' la storia di una solitudine femminile ispirata a una cronaca giornalistica. Frieda Borgstein, la protagonista, è un'anziana ebrea che vive in un pensionato, assediata dalla solitudine e dal doloroso ricordo della famiglia persa durante l'occupazione tedesca. Mentre tutto stava crollando, un uomo offrì la possibilità di fuggire in Svizzera in cambio di una cospicua somma di denaro. Ma all'appuntamento decisivo si presentò una pattuglia di SS. Il marito e i due figli finirono in un Lager; lei si salvò «cadendo» dalle scale, ritardando di pochi secondi la sua uscita in strada. Per tutta la vita la donna ripensa a quel momento, convinta di essere stata tradita. Dopo cinquant'anni la verità emerge e le sfugge beffarda, incrociandosi cabalisticamente con due operai che lavorano intorno a un tombino; suggerendo che le leggi impalpabili del caso sono più forti di ogni tragedia. Di famiglia ebraica ortodossa, giornalista fino all'occupazione nazista, anche Marga Minco (pseudonimo di Sara Menco) si salvò per caso, «con una carta d'identità falsa e i capelli tinti di biondo», mentre i suoi famigliari, una cinquantina, morirono tutti nei campi. Fin dal primo libro (nel '57) l'olocausto impregna le sue storie. «Non scorderò mai quei momenti terribili - dice Marga Minco, con la voce affievolita dalla febbre -. E' come qualcuno che ha perso le braccia o le gambe: l'idea dell'olocausto, dei miei famigliari scomparsi, si avvinghia a me sempre e ovunque». Ne La caduta l'olocausto è soft, resta sullo sfondo, impastato con la banalità del quotidiano. Perché questa insostenibile leggerezza del ricordo? «E' il mio stile, il mio carattere. Credo che le parole forti e le immagini dure feriscano la letteratura». Ai milioni di italiani che dimenticano e dubitano della persecuzione cosa dice? «Si leggano Primo Levi». Ha paura del nuovo antisemitismo? «Sono abbastanza ottimista, credo che i gruppi neonazisti che ritornano in Germania e all'Est siano piccoli. Il pericolo è minore di 50 anni fa». L'incredula impotenza degli ebrei tedeschi di fronte alle leggi razziali, i Lager, è invece rievocata in maniera forte dalla scrittrice tedesco-israeliana Cordelia Edvardson, nell'intenso romanzo La Principessa delle ombre (Giunti, pp. 150, L. 20.000, tr. Carmen Giorgetti Cima). Nata nel '29 a Monaco, deportata a Theresienstadt e Auschwitz, la Edvardson è passata per la Svezia e ora vive in Israele. Sua madre era la scrittrice (cristiana) Elisabeth Langgàsser, rimasta incinta di un ebreo prima del matrimonio, costretta dallo scandaloso peccato razziale al silenzio e a scrivere testi pubblicitari sotto falso nome. Nella Principessa delle ombre la ragazzina Cordelia, non particolarmente bella, fa i conti con il suo segreto che la rende meticcia, diversa dai suoi coetanei con gli occhi azzurri. All'inizio l'alterità misteriosa è motivo d'orgo¬ glio e superbia, poi fonte di tragedia. La fanciulla vede Hitler a una parata, favoleggia che abbia sorriso proprio a lei, vorrebbe diventare ragazza hitleriana, ma la maledizione le impedisce di realizzare i sogni. Ama Zarah Leander, l'attrice svedese, sirena del Terzo Reich, ma viene umiliata e offesa ovunque, nella scuola, nelle famiglie degli amici, mentre il tempo scivola via, verso la tragedia finale. Cordelia ottiene fortunosamente la cittadinanza spagnola ma un burocrate della Gestapo le impedisce di espatriare. La obbliga a firmare un foglio per lasciarsi deportare all'Est e a ostentare il marchio dell'infamia: «La stella di David gialla, la può comprare nella stanza di fronte. Costa 50 pfenning». Poi vengono la guerra, la fame, la paura, l'odio, il doloroso stupore per quanto accade. Parenti che si tradiscono, ragazze che si vendono, madri che dimenticano i propri figli. Nel Lager si accatastano i cadaveri, aleggia un odore di «salsiccia affumicata». Mengele sceglie le sue cavie, mollemente adagiato su una poltrona, con la gamba che oscilla nel vuoto. C'è la vergogna mista al terrore nelle ispezioni ginecologiche alle donne del campo. Quando la guerra finisce, Cordelia viene adottata in Svezia. Si rimette, trova un uomo. Ha la forza di guardare indietro e quando le chiedono di dimenticare, perché tutto è passato, si arrabbia. «Non voglio che sia finita!». Non accetta la compassione: «Non devono piangere su di lei come sul diario di Anna Frank», un libro che ha permesso al mondo intero «di ottenere la sua catarsi a un prezzo davvero troppo modesto» che «ha fornito a belle e giovani attrici un bel ruolo da ricreare al cinema o al teatro». No, lei vuole ricordare con rabbia. E' solo mezzo ebrea, ma si mette definitivamente dalla parte del suo popolo umiliato. Liquida con sprezzo il parroco che la vorrebbe convertire: non conosce il suo Cristo e non vuole conoscerlo. Si trasferisce a Gerusalemme, terra aspra ma sicura, dove nello Yom ha-Shoah tutti come statue di sale si fermano a guardare muti nel passato. L'ultima immagine del libro gronda ancora sangue: un soldato è ferito nel Sinai. Ma il popolo d'Israele vive. Contro ogni barbarie c'è un solo antidoto: la memoria della storia e delle vittime. Bruno Venta voli Minco: «Ainaziskin fate leggere Primo Levi» Edvardson: «Non basta piangere su Anna Frank» l ii disegno tratto da «Muus» e//.1/7 Spiegelman (Mitu/io Libri)

Luoghi citati: Germania, Gerusalemme, Israele, Monaco, Olanda, Sinai, Svezia, Svizzera