SINISGALLI: LA POESIA MEGLIO DELL'ATOMICA

SINISGALLI: LA POESIA MEGLIO DELL'ATOMICA SINISGALLI: LA POESIA MEGLIO DELL'ATOMICA Disse no a Fermi che lo voleva in via Panisperna T» YEL 1929 allevo della! la facoltà di MatemaI wL tica e poi d'Ingegneria I S» dell'università di RoI ni ma Leonardo SiniI sgalli rifiutò l'invito ÌK di Enrico Fermi a coliSJ laborare all'Istituto di I flB Fisica. «Potevo troJL, V varmi nel gruppo dei ragazzi che hanno aperto l'era atomica, preferii seguire i pittori e i poeti e rinunciare allo studio dei neutroni lenti e della radioattività artificiale...» avrebbe detto poi, con affettuosa ironia. Si sa che la vocazione alle matematiche è precoce, la giovinezza è il suo regno. Ma nel 1927 Leonardo Sinisgalli aveva già pubblicato a sue spese un libretto di poesie. Cuore, inaugurazione di una lunga serie che sarebbe culminata nel 1939 nel capolavoro Campi Elisi e si sarebbe conclusa con Dimenticatoio nel 1978, tre anni prima della sua morte a Roma. In Furor Mathematicus, il testo che ha fornito il titolo a una splendida raccolta di saggi, tornata in libreria con una bella introduzione di Oretta Bongarzoni proprio in questi giorni per merito di Luca Canali direttore della collana «I rari» edita da Ponte alle Grazie di Firenze, lo stesso Leonardo Sinisgalli narra con il suo estro focoso e cristallino il momento dell'inversione di tendenza. «Che cosa è veramente accaduto non so. Posso dire di avere conosciuto giorni di estasi tra gli anni 15 e gli anni 20 della mia vita, e quando mi capita di poter ricordare quei giorni, quelle semplici immagini, quelle costruzioni di modelli impenetrabili alla malinconia, alle lacrime, un incanto inesprimibile, una pena soave, una musica accorata mi quieta tutte le voglie e io grido all'amico che non mi riconosce più: QUELLA ERA L'INTELLIGENZA, QUELLE ERANO LE SFERE! Ero al primo anno di università e, come i discepoli di Pitagora, ero entrato nella cittadella del sublime pieno di orrore per l'odore delle fave. Mi riuscì facile convincermi dei primi DOGMI: che tutti i cerchi disegnati sopra un piano toccano l'infinito in due punti e che la circonferenza pur essendo un contorno chiuso, e senza un'inclinazione preminente, si agita intorno a due poli ortogonali con tendenza a rompersi e a formare quattro archi uguali. Avevo capito anche alcune fondamentali proprietà degli aggregati numerici. Ma proprio allora un amico volle condurmi la prima volta in una casa di piacere sita nel nostro quartiere che faceva centro nella piazzetta di Madonna dei Monti. Egli mi parlava di delizie oscure, mi disse una domenica di salire senz'altro, in una stanza trovai la DONNA GRASSA E ROSSA che doveva iniziarmi a un mistero diverso da quelli di Cartesio, di Leibniz, di Gauss. Io cominciai a cercarla quasi tutti i giorni la donna superba dalla magnifica mascella equestre. Quel gonfio bipede non si muove-| va mai dal suo pollaio in via delle Frasche...». I poeti e i pittori da Giuseppe Ungaretti a Libero De Libero, da Mario Mafai a Gino Bonichi detto Scipione furono, dunque, in un certo senso, i rappresentanti della carnalità, della concretezza nei confronti della teoria, dell'astrazione dei matematici, da Francesco Severi a Tullio Levi-Civita, da Guido Castelnuovo a Luigi Fantappiè. Il ragazzo nato a Montemurro Potenza nel 1908 (terzo dei sette figli di Vito Sinisgalli, prima sarto a Brooklyn e in Colombia, al ritorno in Lucania agricoltore, e di Carmela Lacorazza), che aveva studiato in due collegi religiosi a Caserta e a Benevento e che era arrivato a Roma con la convinzione di stare dalla parte dell'ombra perché da piccolo aveva troppo a lungo vissuto dietro una finestra dominata da un tumulo di terra, andò avanti con Ingegneria e abbracciò la letteratura, pur non rinunciando alla curiosità per la scienza, pioniere italiano della conciliazione tra le due culture. Dopo la laurea nel 1932 l'ingegnere Leonardo Sinisgalli si trasferì a Milano, nella eccezionale Milano di quegli anni, di cui ci parla Guido Bezzola nel sagace saggio «La Milano letteraria e artistica negli Anni 2040», figurante tra gli atti del convegno su «Editoria e cultura a Milano tra le due guerre» editi dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori nel 1983: «L'Italia culturale convisse col fascismo in un reciproco silenzioso ignorarsi. Non si poteva stampare tutto, non si poteva scrivere tutto, le decisioni sovente gravissime se non terribili erano prese altrove, ma la realtà della dittatura fu molto più sfaccettata di quanto non si possa credere ora, né sarà da dimenticare l'apporto che al cosiddetto "stile fascista" dettero i moderati e i trasformisti, clericali e non, al di là della becera violenza squadrista. Non ci fu, insomma, quel che accadde in Germania dal 1933 in poi, non ci fu quella "tabula rasa" che i nazisti, in un periodo assai più breve, riuscirono almeno in parte ad attuare; quel che avvenne avvenne per tentativi e non è da dimenticare che molte espressioni di quello che Hitler appunto definì "entartete Kunst", arte degenerata, fra di noi trovarono onore ed appoggio. Dopo dieci anni e passa di regime fascista una galleria privata poteva organizzare a Milano una mostra con dipinti di Kandinsky; questo in Germania non sarebbe stato possibile, e ben prima che dieci anni di regime fossero trascorsi: non solo, ma le posizioni stesse di Mussolini sul conto dell'arte erano assai eclettiche e in fondo scettiche; il che consentì non poche evasioni, fino a che nel 1940 Bottai, ministro della Educazione nazionale, fondò la rivista «Primato» nel fallito tentativo di costruire quello che fu detto "fascismo antifascista"...». Che la grafica, l'architettura avessero particolare importanza a Milano era determinato in primo luogo dalla «tenuta» che il capoluogo lombardo aveva avuto dal punto di vista economico anche durante la crisi del 1929. La relativa prosperità di industrie e commerci imponeva nuove sedi, nuove fabbriche e alle nuove domande di pubblicità e informazione rispondeva, agguerrendosi, la solida tradizione milanese artigianale, artistica e universitaria, dalla scuola d'arte applicata del Castello all'Accademia di Brera alla facoltà d'Architettura figlia del «noster Politèknik». A quel fermento di vita nuova Leonardo Sinisgalli ingegnere e poeta di gusti ermetici assunto come «anima- tore culturale» alla Società del Linoleum, primo dei suoi impegni pubblicitari per l'industria privata e pubblica, partecipò appassionatamente, introdotto, consigliato, appoggiato e illuminato dal grande critico d'arte napoletano Edoardo Persico laureato in Giurisprudenza, ma formatosi alla scuola di Lionello Venturi, a Milano dapprima redattore del quindicinale d'arte «Belvedere», poi fondatore e direttore della Galleria del Milione, redattore e condirettore della rivista d'architettura «Casabella», rivendicatore per l'Italia di un razionalismo europeo, guida sino alla morte dei piccoli covi della sinistra intellettuale milanese, le osterie del Verziere e del Bottonuto. «Persico a noi emigranti offrì asilo e aiuto, ma soprattutto la speranza di poter lassù mettere alla prova qualcosa che avesse più valore della nostra intelligenza, non la pigra capacità di scrivere una buona pagina ma l'attiva e affettuosa collaborazione con gli uomini: tipografi, vetrai, disegnatori, architetti, industriali», ricorda Leonardo Sinisgalli in «Edoardo Persico e la crisi dell'architettura», un altro saggio di Furor Mathematicus. «Un critico, se ci sarà, un critico che non si farà sedurre soltanto dalla crisi della metrica, potrà scoprire molti fenomeni curiosi nelle pagine di quei tre o quattro poeti del Regno delle Due Sicilie, trapiantati dal destino in una città di pianura, carica di nebbia, di ciminiere e di coke metallurgico. Quegli emigranti che per otto ore al giorno stavano chiusi in una camera d'affitto a tradurre romanzi americani, o si alzavano alle cinque del mattino per raggiungere l'ufficio del Genio Civile a Sondrio, o correggevano bozze degli annunci economici del "Corriere" o giravano tra Mantova, Varese e Pavia con la borsa piena di campioni di linoleum, incontravano Persico a tarda ora al caffè Donini. Milano non è una bella città, ma i lombardi sono una grande razza. Gli alberi sparsi e radi di porta Nuova, di piazza Tricolore, i tigli di Porta Venezia ti aprono il cuore...». La Milano di cui parla Leonardo Sinisgalli è una Milano di favola e ancor più di favola è la grande razza lombarda da ammirare ed emulare. Saranno mai esistite? Il cuore dice di sì, la ragione è più scettica. Ma il cuore non sta mai a sentire la ragione. Leonardo Sinisgalli era andato ad abitare in via Rugabella, quella specie di Montparnasse lombarda gremita di studi e botteghe di pittori, di architetti, di scrittori, di grafici dove già aveva abitato il Pictor Optimus greco Giorgio De Chirico e abitavano 0 avrebbero abitato il poeta Delio Tessa, lo scultore Marino Marini, il pittore Pompeo Borra, il poeta Alfonso Gatto, il pittore Domenico Cantatore e tanti altri. Il primo anno di lavoro fu duro. Leonardo Sinisgalli dovette provare a scrollarsi di dosso il torpore triste che gli appesantiva il sangue, la terribile avidità meridionale di sonno nella controra. Doveva tornare in ufficio alle due del pomeriggio, s'ingegnò a cronometrare tutti 1 suoi passi, tutti i suoi itinerari, tutti i suoi pasti, il tempo per lavarsi, per vestirsi, per fare le scale, per fumare una sigaretta. Si affidò alla grande precisione degli orologi così fitti nelle strade di Milano e all'inesorabile funzionamento delle sveglie. Al sesto piano di via Rugabella ne teneva due, tornava a casa per dormire esattamente dieci minuti: dall'una e mezzo alle due meno venti del pomeriggio. Anche se gli dispiaceva di non poter rendere un completo omaggio alla controra si appassionò e s'inorgoglì per la puntualità matematica che ritrovava nella sua vita. Edoardo Persico gli spiegò, una volta per tutte, che il sonno non ha una durata, ha invece una profondità: «Basta toccar fondo, basta addormentarsi, è come girare un interruttore. Un secondo vale un tempo infinito...». Così sarà della nostra pia morte. Oreste del Buono ndamentali proregati numerici. ra un amico vol prima volta in cere sita nel nohe faceva centro di Madonna dei parlava di delizie e una domenica tro, in una stanNNA GRASSA E veva iniziarmi a erso da quelli di Lei. Io cartori da Giuseppe ero De Libero, da a Gino Bonichi furono, dunque, nso, i rappresennalità, della connfronti della teoone dei matemasco Severi a Tul da Guido Castelgi Fantappiè. 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