SILLABE DI CUORE di Goffredo Parise

SILLABE DI CUORE SILLABE DI CUORE L'alfabeto di Parise ventanni dopo Zanzotto rilegge il ritomo ai sentimenti l'urisv e isuoi «Sillabari»: ne (ialino parlalo. Ira gli altri, a II'Istilli lo Suor Orsola lieniiicasa c/i Napoli, La ( apria. Siciliano, Xal(lini. Painpa/oiii, (,'arbo/i l'Andrea Zanzotto: del suo intervento pubblichiamo qui la parie iniziale. DOPO l'espressione quasi di un'esperienza collettiva di annichilimento del vecchio umanesimo nel più oltranzistico dei modi, che si era verificato tra la fine degli Anni Sessanta e l'inizio del decennio successivo, Goffredo Parise è tra i primi a sentire la necessità di non subire più oltre la «fascinazione delforno crematorio». Dopo averne immaginato (anche) nel modo più terrificante l'esperienza diretta in uno dei racconti di questo periodo, ricollegato ad un sogno già in precedenza narrato, in cui appare anche Piovene, egli sente la necessità di fare piazza pulita e di muovere lo sguardo verso altre direzioni, verso altre ipotesi, anche se nessuna sembra più possibile. Si dovrà forse «guardare indietro», allora, ma in realtà si farà avanti un «guardare altrove». Sarà que-, sto, un abbassare lo sguardo quasi a raso terra, e quasi un fingere di non guardare. Parecchi autori si sono sentiti spinti su queste vie: quella di Parise, come sempre imparagonabile nella sua radicalità, lo ha portato ai due sillabari. E qui bisognerà ricordare una ben nota pagina di Comisso sui sentimenti, scritta nell'immediato dopoguerra: egli chiedeva un ritorno ai sentimenti, a quello che era il valore della vitalità, intesa soprattutto come espansione dei vari gradi del sentimento, di cui già allora egli denunciava la scomparsa nella letteratura. E ci fu una polemica. Erano anni ancora abbastanza «ingenui»; lo sviluppo sempre maggiore delle scienze umane (e specialmente della psicanalisi) ha aperto in seguito sulla vita psichica un processo ricognitivo molto utile. Oggi tutti lo sanno: sentimenti che a noi appaiono come positivi possono essere mossi da forze che non lo sono. Non si può certo negare la validità dell'opera del¬ le scienze umane in quella che è stata la dissezione, la dislocazione e la fratturazione delle mitologie che l'uomo poteva aver costruito su se stesso, e di quelle sui sentimenti in primo luogo. E' stato giusto, a un certo punto, che venisse attaccato e messo in crisi il modello proposto per secoli dal vecchio umanesimo, esso non avrebbe retto a quello che era l'impeto dell'innovazione; ma un «altro» uomo in un nuovo umanesimo è ancora di là da venire. Ed è una scommessa, non un fatto certo, il suo apparire nel futuro. Ed ecco ciò che intanto resta: fatti psicologici iniziali, fatti vitali, ridotti a spore. Barlumi balbettanti di infanzie che quasi casualmente, come fili d'erba ignorati, continuano a crescere «sul» forno crematorio stesso. Di là si doveva ripartire. Ma i «nomi» da dare a queste realtà o situazioni, a questi «sentimenti», a queste «infanzie» non sono più usabili tranquillamente, e nello stesso tempo urge la necessità di creare parole per significati che sono imprendibilifuturibili. Occorre intanto imparare almeno a sillabarli. Sillabario: e appunto ci viene su evocata l'infanzia. Ma che ritorno alle sorgenti sarà questo? Non sarà per caso l'infanzia dei robot, degli uomini-insetti, quella che apparirà e che noi crediamo sia la nostra infanzia? Non siamo già forse stati condizionati da un certo tipo di linguaggio dei media, dalla violenza di un ambiente inquinato sotto ogni aspetto, così da renderci impossibile non solo una ripresa di contatto con la (mitica) pagina bianca che sta prima di ogni storia, ma anche con un'idea dell'infanzia che possa corrispondere a una nuova infanzia dell'umanità, o di una nuova umanità intesa come autentica nuova epifania dell'umano? Parise lascia scoperto ogni dubbio. Ma si muove, appunto rasoterra, con una necessità di sopravvivenza che potrebbe anche essere «da insetto», ma non cessa di articolarsi verso l'umano, come a riempire la vuota sagoma da «muro di Hiroshima» cui oggi sembra ridotto l'umano. Tra Sillabario n. 1 e Sillabario n. 2 trascorrono parecchi anni, essi sono due libri saturi di colori diversi, ci sono fors'anche miti diversi che si affacciano in essi, ma l'omogeneità d'impulso motivazionale e di lavoro stilistico sussiste pienamente, giustificando il titolo unitario, il suo carattere di «emblema». E l'operazione di Parise, rafforzata nel tempo, risulta tra le più nervosamente originali che siano state compiute su questo terreno. Egli dunque chiama in causa stati d'animo, situazioni e modalità psichiche fondamentali, ma, pur catalogandoli sotto certe antiche parole, li colloca un po' in sghembo rispetto al significato tradizionale di esse. Ad esempio, quando si incontra sotto l'etichetta Felicità il racconto che Parise mette all'inizio del Sillabario n. 2, ci si avvede che esso ha ben poco a che fare con la felicità come normalmente, «tradizionalmente», viene intesa. Si potrebbero citare numerosi casi di relativa incongruenza del titolo rispetto al racconto: è un'incongruenza estremamente significativa (anche se non sempre si verifica) perché non solo crea (denuncia) una specie di spazio libero in cui può precipitarsi la capacità di rimeditazione e di fantasia di colui che legge, ma (come si diceva) fa che si intraveda tutta l'incertezza, l'arbitrarietà, il «tremolare» insiti nel rapporto tra significante, significato e referente, soprattutto in casi come questo, e in un tempo in cui si tratta di rinominare adeguatamente le forze dell'interiorità umana, dopo la rivoluzione e la demolizione di recente operata. Parise ci mette anche in condizione di apprezzare il fenomeno dell'aura che ogni parola, come tale, ogni significante, ha intorno a sé; aura che svanisce con lo svanire della parola. Se invece di «passione amorosa» si di¬ ce, ad esempio, «momento altamente dinamico della libido» si dice la stessa cosa? Sì e no. Il modo stesso di sentire, la strutturazione del fantasma interiore, sono condizionati dalla parola che li denotava fino ad un particolare momento storico o in una particolare situazione geografica e culturale. Si sa che la concezione della struttura dell'io e del rapporto di questo col corpo varia enormemente. Quella di una tribù africana è diversa da quella che avevano i greci del periodo arcaico, o dalla nostra (di ieri - oggi - e domani?), con un diverso coordinamento degli stati d'animo ad organi del «corpo fisico». Nulla esiste di più impreciso che il «senso del proprio corpo», le «sensazioni» della vitalità all'interno del corpo, e i sentimenti veri e propri in rapporto alle precedenti; nulla v'è di meno stabile delle parole che li indicano, e che contribuiscono decisivamente all'atto della loro definizione/incarnazione. Parise coglie questo bisogno di restituire sia pur labilmente, di ricollegare attraverso il discontinuo questi elementi, di enunciare, pronunciare le prime «sillabe». In questi anni si è affermato l'uso dei cataloghi, dei «dizionari» in ogni campo. Venendo meno la fiducia in una enciclopedia totale e globalizzante, si è preferito selezionare temi significativi, organizzandoli nelle forme di dizionari più o meno lacunosi. Ma quello che Parise avrebbe potuto presentare come dizionario, è stato invece da lui qualificato come sillabario. In realtà questo sillabario è anche un dizionario: ma la differenza tra sillabario e dizionario è importantissima. Infatti il dizionario reca in sé l'ombra dell'enciclopedia, portatrice dell'organica autorità del sapere, infine richiama ad una forma di onniscienza (qui riguardante l'esperienza delle passioni). Il sillabario, invece, riporta all'incertezza, all'auroralità infantile, che sente le passioni, ma non riesce ancora a sgrovigliarle l'una dall'altra, e ne tartaglia o improvvisa i «nomi», li sillaba. Ed è proprio questo, e solo questo, che oggi si può fare, dopo il grande sconvolgimento (anche se si crede di saperla più lunga), tuttavia cercando di muovere al di là, verso nuovi spazi e sintesi. Andrea Zanzotto Oltre l'ideologia e la scienza, le parole rivelano passioni e fantasmi interiori I Goffredo Parise I a sinistra. Andrea Zanzotto

Luoghi citati: Hiroshima, Napoli