BREZNEV Dieci anni per morire di Roy Medvedev

BREZNEV Dieci anni per morire E' scomparso il 10 novembre '82 I Una lunga agonia: la ricostruisce Roy Medvedev BREZNEV Dieci anni per morire ONO passati dieci anni dalla morte di Breznev. L'avvenimento, nel nostro Paese che allora si chiamava ancora Unione Sovietica, provocò più sollievo e speranza che ansie e dolore. Il rituale dei funerali del «grande leader della lotta per la pace» e «grande leninista» fu solenne ma piansero solo i familiari. Nikita Krusciov, non importa qui per quali ragioni, aveva almeno dato la speranza di una società dove i cittadini avrebbero potuto respirare, dove i funzionari di partito avrebbero potuto prendere iniziative senza troppa paura di essere perseguiti, dove si sarebbe costruito un certo consenso tra partito e popolo, e dove il Potere avrebbe preferito reggersi più sulla legalità, per quanto «socialista», che sulla paura. Breznev uccise questa speranza. L'Unione Sovietica che Breznev si lasciò alle spalle era un Paese infinitamente più grigio di quello che aveva trovato all'inizio del suo governo. Pochi anni dopo, nel 1973, il professor Evghenij Chazov, allora direttore del sistema sanitario della nomenklatura superiore del Cremlino e medico personale di Breznev, decise di riferire al Presidente del Kgb, Jurij Andropov, che le condizioni fisiche e intellettuali di Breznev - che non si era mai distinto per intelletto e cultura, com'era noto a entrambi - stavano rapidamente degenerando. La notizia del deterioramento della salute di Breznev avrebbe potuto aumentare le rivalità al vertice del Cremlino, dove altri membri del Politburo, ben più anziani di Andropov e meglio piazzati nella gerarchia del partito, avrebbero avuto molte più chances di sfruttare la situazione a tempi brevi. Tra questi si trovavano in posizione di rilievo soprattutto Alexandr Shelepin, Mikhail Suslov, Nikolaj Podgorny, Fiodor Kulakov, Andrej Kirilenko. Andropov chiese allora a Chazov di mantenere segreta questa informazione. Ma né l'uno, né l'altro avrebbero potuto immaginare che l'agonia di Breznev e del suo regime si sarebbe protratta per altri dieci anni. Chazov, comunque, non potè nascondere a lungo al Politburo i risultati delle sue osservazioni mediche sul segretario generale. Infatti, all'inizio del 1975, Breznev fu colpito da un grave ictus che, per qualche tempo, lo mise in condizioni di morte clinica. Anche dopo che fu rimesso in sesto, Leonid Ilich rimase per oltre due mesi in completo isolamento. Una paralisi parziale e la pratica impossibilità di parlare lo rendevano impresentabile al pubblico. Tenere nascosta una tale situazione ai massimi reggitori del Paese era ovviamente impossibile. E altrettanto impossibile era evitare che le voci sulla salute del leader si diffondessero all'esterno dei palazzi del potere. Ricordo che allora, ogni volta che m'incontravo con giornalisti e diplomatici stranieri, mi sentivo porre immancabilmente sempre le stesse domande: qual è lo stato di salute di Breznev e chi prenderà il suo posto. Di Breznev non si può certo dire che avesse una forte personalità. Ma aveva certamente uno sviluppato istinto del potere e conosceva a perfezione le regole del gioco politico russo. Poco dopo essere giunto al vertice aveva subito cominciato a creare le basi di un vasto potere personale, si era circondato di parenti e compaesani che la voce popolare (e di apparato) cominciò presto a definire come la «mafia di Dnepropetrovsk». Impropriamente, perché di questo gruppo facevano parte non solo gli uomini fidati della città da cui aveva preso le mosse la carriera politica di Breznev, ma anche gli amici acquistati durante la sua permanenza in Moldavia, nel Kazakhstan, a Mosca e a Krasnodar. Il peggioramento delle sue condizioni di salute progrediva comunque senza sosta, insieme alla decadenza economica del Paese. Dalle rinnovate polemiche con la Cina all'aggressione contro l'Afghanistan, si può dire che l'Unione Sovietica di Breznev non riuscì mai a sottrarsi al proprio isolamento internazionale, che neppure le conquiste della «distensione» riuscirono a intaccare. Nello stesso tempo il potere personale di Breznev e del •suo entourage continuò a rafforzarsi. Ma il relativo equilibrio all'interno del Cremlino si spezzò alla fine del gennàio 1982 alla morte dell'ottantenne Mikhail Suslov. Il suo corpo giaceva an¬ cora nella bara, sotto le volte della Sala delle Colonne del Palazzo dei Sindacati, che già prendeva avvio, sulla scena del Potere, l'ultimo atto dell'era Breznev. Suslov era il numero due indi¬ scusso della gerarchia del Cremlino. Una volta aveva riconosciuto, in un colloquio riservato, di non pretendere in alcun modo al porto di «numero uno» e che si sentiva impegnato, anche per questa ragione, a stroncare ogni manovra politica per la lotta al trono. La sua morte pose fine quindi all'influenza stabilizzatrice che egli aveva esercitato. Di conseguenza i pretendenti al potere non tardarono a farsi avanti. A metà aprile la rivista americana Newsweek uscì con una singolare copertina che raffigurava un busto di gesso di Breznev coperto di crepe. Il titolo diceva: «GU ultimi giorni di Breznev». All'interno c'era un rapporto speciale dello spionaggio americano che affermava che Breznev, anche dopo essere uscito dall'ospedale, non sarebbe più stato in condizione di mantenere a lungo il posto di segretario generale del pcus e di Presidente dell'Urss. Il rapporto elencava anche i nomi dei quattro possibih eredi di Breznev: Cernenko, Kirilenko, Andropov e Ustinov. Per la prima volta il cinquantunenne Mikhail Gorbaciov veniva indicato come una personalità politica di spicco. Ma lo spionaggio americano era rimasto indietro rispetto agli avvenimenti. A maggio del 1982 Kirilenko non aveva più nessun appoggio nel Politburo, soffriva di un progressivo maiasma senile e si dimenticava perfino i nomi dei suoi aiutanti più stretti. Andropov - assente Breznev - si rivelò la personalità più forte della direzione e venne eletto segreta- rio del Ce del pcus con funzioni di ideologo. Andropov era riuscito nell'intento dopo aver inferto numerosi colpi all'entourage di Breznev tra la primavera e l'estate del 1982. La sua posizione di presidente del Kgb, il controllo sui dossier personali di tutti i leaders lo mettevano in una posizione di forza eccezionalmente vantaggiosa. Ma la cerchia di Dnepropetrovsk resisteva e, coprendosi con la figura di Breznev, cercò di passare alla controffensiva. Nel settembre 1982 Breznev fece un viaggio a Baku, dove venne accolto con incredibile fasto e onori da zar. Ai militari, durante una riunione dei comandanti dell'esercito tenutasi a Mosca, vennero promessi altri denari e nuovi privilegi. Il 7 novembre 1982, durante la sfilata e la manifestazione sulla Piazza Rossa, nonostante il cattivo tempo e gli avvertimenti dei medici, Breznev rimase per alcune ore in piedi sulla tribuna del Mausoleo, salutando la gente che portava un'enorme quantità di ritratti ritoccati del leader, per farlo apparire più giovane. Come di regola, dopo la sfilata si tenne al Cremlino un grande ricevimento alla presenza di diplomatici e ospiti occidentali. Breznev propose il primo brindisi «perii nostro partito leninista» e, dopo una serie di altri brindisi, sollevò ancora il calice «per la salute di tutti i presenti». Sarebbe stata la sua ultima apparizione in pubblico. Come ricorda Oleg Zakharov, un ex funzionario della sua segreteria, il 9 novembre Breznev era nella sua dacia di Zavidovo. Alle 8 del mattino il suo attendente e guardia del corpo, Vladimir Medvedev, sale al secondo piano per svegUarlo. Alle 12 Breznev doveva incontrare Andropov. Alle 12 Breznev arriva al Cremlino, di buon umore, riposato dopo la buriana dei festeggiamenti. Saluta cordialmente i collaboratori e si chiude nell'ufficio con Andropov per un lungo colloquio. Poi pranza, breve riposo e qualche ora di lavoro. Alle 19,30 torna in dacia. La mattina seguente, quando il fido Medvedev sale per svegliarlo - sono le 8,15 - lo trova morto. Questa volta gli sforzi dei medici non produssero risultato. Dopo tre ore di tentativi di riportarlo in vita si prese atto che non c'era più nulla da fare. Andropov convocò quella sera stessa il Politburo e si assunse la guida del Paese senza incontrare opposizione. Solo alle 11 del mattino del giorno dopo la televisione e la radio dettero contemporaneamente la notizia dell'ùnprowisa morte di Breznev. Presero avvio i primi, timidi tentativi di cambiare qualcosa e quando, nel 1985, cominciò la «perestrojka» di Gorbaciov, i tempi di Breznev furono ricordati in termini pesantemente negativi. Si parlò di «tempi del culto di Breznev», di «epoca del servilismo», di «era di nepotismo e corruzione». Poi ci si fermò sulla definizione che tutti accettarono: «stagnazione». Tutte definizioni giuste. Le critiche erano motivate. Ma che dire ora della situazione del Paese? Lo scorso settembre un autorevole istituto sociologico ha promosso un sondaggio d'opinione in 14 città, chiedendo: «Se poteste scegliere, in quale epoca della storia russa vorreste vivere?». Il 7% ha risposto che sceglierebbe i tempi di Stalin. E un altro 7% ha dichiarato di preferire i tempi di Gorbaciov. Molti hanno mostrato inclinazione per i tempi dello zar Nicola IL Ma la maggioranza relativa ha sorprendentemente risposto così: «Vorrei vivere ai tempi di Breznev». E quando la gente semplice, ma anche gl'intellettuali, s'incontrano attorno a un tavolo e guardano quello che c'è sopra, accade spesso di sentire un brindisi «ai dolci anni della stagnazione». Non è un buon segno. Roy Medvedev Breznev nel 79 a Berlino, con Honecker, e sotto nell'80 a Belgrado, mentre viene aiutato a scendere la scaletta dell'aereo bre '82 I Una lunga agonia: la rBDpe