De Martino: è stato il «craxismo» la madre di tutte le nostre rovine

De Martino: è stato il «craxismo» la madre di tutte le nostre rovine : : ' ■■■■■■■ ' ' ' "■ '' :* '' >: :■. ''<< fi , 'fiW::fi£'fifi:Vtà$:fi> LA CADUTA DEL VECCHIO PSI De Martino: è stato il «craxismo» la madre di tutte le nostre rovine SNAPOLI IEDE sulla sua poltrona preferita e lo vedo controluce. Camicia aperta, un cardigan, pantaloni grigi, gli occhi castani. Dalla finestra aperta sul Vomero si vede il mare del golfo velato da una caligine che copre la vista di Capri e di punta Campanella. Soltanto Eduardo, o Ettore Scola, avrebbero potuto proporre un proscenio più vivo e invaso di nostalgia per accogliere un vecchio intellettuale napoletano, oggi senatore a vita e ieri professore di diritto e segretario del psi. L'ultimo segretario del psi prima dell'avvento di Bettino Craxi. Nei giorni faticosi dell'elezione di Scalfaro, con i suoi 86 anni, mi era apparso stremato e indignato perché lo volevano usare come candidato di bandiera usa-e-getta. Oggi ritrovo lo stesso Francesco De Martino di tanti anni fa: apparentemente placido, e serafico. In realtà, molto determinato e tagliente. Dice: «La cosa fondamentale che io rimprovero al psi guidato da Bettino Craxi è lo spreco sconsiderato di un'occasione unica e irripetibile: avrebbe potuto finalmente gettare le basi per una unione delle sinistre, e invece il psi, non il solo Craxi per la verità, si è gettato con accanimento su tutto ciò che poteva dividere, separare, allargare le distanze. E tutto questo perché? Per riproporre, vuota di contenuti e di necessità, l'alleanza che aveva avuto qualche senso durante la stagione del centro sinistra. Un errore grave che lascia la bocca molto amara». A De Martino non è mai piaciuto Craxi, e questo si sa. Ma non gli piace molto neppure Amato, sia pure con qualche sfumatura positiva. Quanto a Martelli, pur apprezzando la sua rottura con il segretario, non lo considera un socialista in senso proprio, ma uno sperimentatore di teorie magari attraenti, magari bizzarre, ma che con il socialismo non hanno niente a che fare. Da dove partire? Magari da un po' d'autocritica? «Perché no. A che proposito?» L'occupazione dello Stato da parte dei partiti. Lei è stato o no uno dei primi occupanti? «Sì, lo ammetto. Noi socialisti, quando cominciò il centrosinistra, e poi in seguito, occupammo nel senso che contendemmo una parte del potere che era stato totalmente egemonizzato dalla de, a cominciare dalla Rai, fino alle banche e agli enti pubblici. E lei è d'accordo o no sul fatto che quella occupazione fu la madre di tutte le rovine suc- cessive? «No, non sono d'accordo. La madre di tutte le rovine successive fu il craxismo. Più il craxismo che lo stesso Craxi. E' stata la grande corsa all'individualismo anche nella politica, la moltiplicazione a metastasi di gruppi e correnti avide di finanziamenti...». Beh, semmai Craxi ha rappresentato il contrario: l'azzeramento delle correnti. «No. Lui ha inventato questa formula: un leader carismatico nazionale, figura mai esistita nella tradizione socialista italiana, rappresentato in periferia da tanti liderin; carismaticini locali, ciascuno con un suo apparato costoso». Che pensa del governo Amato? «Che sembra quello della Thatcher e del primo Reagan: privatizzazioni, monetarismo e una manovra economica che stanga soltanto le masse dei lavoratori». Non le pare di usare concetti e termini molto antiquati? «I fatti sono questi, lo non nego che la manovra andasse fatta e che dovesse comportare anche sacrifici amari, ma c'è modo e modo. Non voglio dare ad Amato colpe che non sono sue, o demonizzarlo. Anzi, credo che la sua azione vada comunque guardata con rispetto, visto che ha trovato una situazione già compromessa, però non è possibile tacere di fronte a certe scelte». Partiamo da capo. Partiamo da quel lontano giorno in cui fu detronizzato al Midas, nel 1976. «Sì. Io allora commisi l'errore di sottovalutare quello che stava accadendo. Pensai a un brusco avvicendamento generazionale. L'operazione che portò Craxi alla segreteria aveva dietro i lombardiani, lo stesso Nenni vedeva di buon occhio, insomma eravamo ancora e pienamente nell'ambito della tradizione socialista...». Ma poi invece... «Poi, piano piano, cominciai a capire. Craxi non portava soltanto una virata socialdemocratica, cosa già per me indigesta perché la nostra socialdemocrazia non era quella svedese o tedesca, ma nel passato, durante il periodo centrista e scelbiano, era stato uno .strumento della guerra fredda... No, Craxi aveva una ricetta personale, più che politica: insediare se stesso come rimedio alla vecchia sudditanza socialista nei confronti di de e pei». Non può negare che la medicina fece effetto. «La medicina di fatto ha ucciso il malato. Craxi ha in qualche modo riproposto il culto del capo carismatico quasi in sostituzione dei normali momenti della vita del partito. Il capo era infallibile e tutti gli altri non contavano niente. La validità dei dirigenti si misurava dalla loro vicinanza o distanza dal capo carismatico e infallibile. E così si passò dal basco di Nenni all'elmo di Craxi». Lei è un maestro di Diritto. Che pensa dei giudici che hanno ordinato i sequestri in casa dei parlamentari? «Penso che la Costituzione e la legge vietano la perquisizione e non parlano di sequestro. Dunque, la faccenda va vista caso per caso. Se un giudice viene da me e dice: intendo sequestrare quel preciso oggetto, è una cosa. Se dice: voglio sequestrare i suoi archivi elettorali, questo implica e machera una perquisizione». Lei ha o no l'impressione che la magistratura segua una sua propria riforma del Paese per via giudiziaria? «Penso che i giudici facciano semplicemente il loro dovere. Semmai resta da chiedersi perché si sono decisi tanto tardi di fronte a casi che erano arcinoti. Ma credo che questo dipenda dal fatto che oggi si sentono sostenuti più di ieri dall'opinione pubblica». Vede congiure giudiziarie? «No. Ci potranno essere punti criticabili, come sempre, ma i magistrati sono di opinioni diverse e non è pensabile una congiura togata». Eppure lei è stato segretario del psi in una fase in cui il suo partito si approvvigionava sicuramente al di fuori della legge per il suo finanziamento. 0 lei si assolve? «Senta, tutti i partiti in quegli anni sono stati investiti dal problema del finanziamento. Ora io non è che voglio santificarmi, ma proprio qualche giorno fa ho avuto sottomano le cifre che spendeva allora il mio psi nei primi Anni Settanta, prima della legge di finanziamento dei partiti». Quanto? «Quattro, cinquecento milioni l'anno. L'Avariti! era la voce più cara, ma avevamo un partito spartano, senza lussi, con le pareti che non potevano essere imbiancate, il mio ufficio di segretario faceva pena... Se lei va oggi a via del Corso trova tutt'altro tenore di vita, un altro regime di spesa, così al centro come alla periferia». Lei è critico, mi sembra, non soltanto di Craxi, ma anche di Martelli che si propone come l'uomo nuovo, anzi il Clinton italiano. Perché? «Io apprezzo quello che fa Martelli, ma dico che il partito avrebbe bisogno di un ricambio totale della sua classe dirigente, almeno di quella che ha condiviso con Craxi una intera gestione...». Martelli sostiene, lo ha detto durante un'intervista alla Stampa, di considerarsi il vero depositario dell'originale disegno craxiano, ormai abbandonato da Craxi. «Ma che cos'era questo craxismo? Il presidenzialismo? Le riforme istituzionali? Il psi non si è mai tirato indietro di fronte alle questioni istituzionali, la Repubblica è figlia di Nenni, tutto sommato. Ma non mi sembra che questo debba essere il contenuto». E quale avrebbe dovuto essere il contenuto? «Il contenuto di un partito socialista è un assetto progressista della società, e in questo Craxi, sia pure con il suo tentativo di fuga verso Proudhom che poi ha abbandonato, era ancora nella tradizione... Ma ci voleva dell'altro: occorreva una sensibilità capace di capire e valutare la portata delle nuove tecnologie, dell'informatica, del nuovo sapere scientifico, della rivoluzione nel mondo della comunicazione. Non si è visto nessuno sforzo ideologico e politico in questa direzione. Peccato di nuovo». Che cosa rimprovera a Martelli? «Martelli mi impressionò per il fatto che andava cercando nuovi autori e nuovi padri da aggiungere alla già sterminata e sovrabbondante letteratura socialista. Tirò fuori, a sostegno delle sue le teorie del merito e del bisogno di Rawls, poi la politica liberale di Shaftesbury». Tuttavia oggi è proprio Martelli che si propone come stella polare della nuova sinistra. «E' molto apprezzabile, è una buona cosa. Del resto Martelli ha spesso differenziato la propria posizione da quella di Craxi, ma resta il fatto che lui è un uomo di quella gestione, come Amato, e questo pesa, non può non pesare». Che tipo di riforma elettorale troverebbe più adatta all'Italia? «Quella francese com'era prima, e a doppio turno. Sono assolutamente contrario all'uninominale: riavremmo i capicamorra, i capima- fia, i potenti e i prepotenti alla conquista del Parlamento». Lei ha sempre creduto all'evoluzione democratica dei comunisti. Ne è ancora convinto? «Più che mai. In Italia il pei si stava riformando da un pezzo e credo che anche il comunismo internazionale, se non fosse crollato di colpo, si sarebbe evoluto. E secondo me l'errore strategico di Craxi fu quello di non puntare su quell'evoluzione, ma di riesumare tutto il repertorio dei fattacci di cinquanta, sessantanni fa per troncare il dialogo con il pei, e rifare il governo con la de». Beh, ma lei non ha fatto altro che governi con la de. «Sì, ma questo succedeva nell'epoca del centrosinistra che, bene o male, qualcosa ha fatto, prima di esaurire il suo ciclo. Rifare il governo con la de dopo, significava andare indietro, invece di andare avanti». Lei dice che i comunisti erano ormai indipendenti dall'Urss e pienamente affidabili. Tuttavia, quando si trattò di schierarsi sulla questione dei missili, che per l'Urss fu l'inizio della fine, il pei si trovò dalla parte di Mosca. «Anch'io ero da quella parte. Anch'io, come i comunisti ero contrario all'installazione dei missili. E mi sembra di essere stato dalla parte giusta se è vero che oggi tutto il mondo applaude Clinton che manifestava contro la guerra che il suo Paese faceva in Vietnam, che stava dalla parte dei pacifisti e del disarmo». Lei votò con i comunisti anche sulla questione della scala mobile, contro Craxi. «Non partecipai alla votazione, ma la mia posizione era chiara: difendevo un principio: quello dell'autonomia del sindacato. E' il sindacato e non il governo che deve trattare i rapporti di lavoro». Che genere di futuro vede? «Vedo una crisi di regime per frammentazione dei partiti maggiori, che poi si va trasmettendo anche ai partiti minori con l'effetto di un pulviscolo vorticoso e irrespirabile. Vedo quindi una graduale corrosione delle basi stesse della democrazia, anche se ho fiducia nel fatto che esista tuttora il margine per porre rimedio a questa crisi. Voglio dire che questa crisi generale non è colpa del psi: al psi va riconosciuto l'errore di aver mancato un'occasione storica. Ma la stagnazione italiana e i suoi in gorghi, quella è una colpa che va ripartita in parti uguali fra tutti» Paolo Guzzanti «Amato come Reagan stanga i lavoratori» «Lui e Martelli hanno condiviso la linea di Bettino» hanno interpretato il suo riconoscimento alla leadership di Amato co¬ manda dellaltro. Al massimo con le mani che s'incaricano di marcare un gesto di disprezzo, dice: «Non sono interessato a lui, è un personaggio inaffidabile. Può rilasciare un'intervista al giorno, ma inaffidabile rimane». Stessa scena si ripete al pranzo offerto dal governo olandese. Occhetto e Vizzini si siedono insieme, mentre al capo opposto del tavolo Craxi conversa per tutto il tempra si è trasformata in rancore? Spiega Occhetto, sfuggito un attimo all'attenta guardia di Fassino: «Quest'atmosfera non l'ho creata io. Che bisogno aveva di dirmi quelle cose? Lui forse si aspettava qualcosa di più, ma io non l'ho mai illuso. Neanche quando ci siamo visti a Berlino. Tutti in Italia sanno qual è la situazione e io, che pure non mi sottovaluto, non ho certo la potenza di cambiare il Nella foto grande Francesco De Martino Da sinistra Pietro Nenni Riccardo Lombardi e Giacomo Mancini' In basso Margaret Thatcher

Luoghi citati: Berlino, Italia, Mosca, Urss, Vietnam