«Ritorneremo a Fiume»

«Ritorneremo a Fiume» Cinquemila al corteo missino contro il trattato di Osimo «Ritorneremo a Fiume» Lanciate in mare 250 bottiglie con un messaggio «Istria e Dalmazia saranno ancora italiane» LA CRISI A TRIESTE TRIESTE DAL NOSTRO INVIATO Nessun brivido dannunziano qui sul molo dello Yatch club Adriaco, qualche bandiera tricolore, qualche applauso, un ironico, triste e solitario canto di bandiera rossa dai magazzini della Sacchetta, quando alle 13 Gianfranco Fini e signora Daniela salgono sulla barca diretta verso la Slovenia per una manifestazione che doveva essere una provocazione e invece assomiglia assai più a una gita domenicale di famiglia sul mare. Alle 14, dicono i testimoni, Fini segretario del movimento sociale, o come cantavano nel corteo di poco prima per la città quelli del «camion» di Bologna il «nostro nuovo Mussolini», ha superato il confine italiano, varcato per una cinquantina di metri quello sloveno, da dove tuttavia Capodistria appariva ancora lontana nel grigio di una giornata fredda e incerta, ed ha lanciato un mazzo di garofani bianco-rossi e duecentocinquanta bottiglie con dentro un messaggio che grosso modo dice: «Istria, Fiume, Dalmazia, ritorneremo». E' stato il clou di una giornata in tricolore per Trieste dove il movimento sociale (terzo partito in città, secondo in provincia alle elezioni di primavera) ha esibito il doppiopetto per prendere la testa del rinnovato scontento cittadino per il rinnovo del trattato di Osimo. La neorepubblica slovena è subentrata alla Jugoslavia nel ruolo di controparte italiana per quell'intesa che nel '75 già tanti malumori aveva acceso qui, dove le ferite della guerra sono ancora aperte. Il governo italiano ha riaccettato il patto «con soddisfazione» (come si leggeva sulla Gazzetta ufficiale dell'8 settembre scorso) senza proporne le minima revisione. Il che equivale a considerare definitivi i confini e le intese che allora parvero un compro messo politico largamente favorevole alla repubblica di Tito. Invece per Fini i tempi sono favorevoli per rinegoziare, dato che «la Slovenia è un piccolo staterello che per essere accolto in Europa deve chiedere l'aiuto di Austria ed Italia». Il segretario del msi ha anche respinto l'ipotesi che il trattato di Helsinki impedisca di rivedere i confini: «Se la Germania avesse avuto la stessa viltà - ha aggiunto - Bonn non avrebbe dato vita all'unificazione con i gemelli dell'Est, né Lituania, Estonia e Lettonia avrebbero conquistato la loro indipendenza». «L'Istria - ha detto - è storicamente italiana, bagnata da mare italiano e soprattutto dal sangue dei martiri italiani che vi hanno combattuto. Non crediamo di tornare al passato dicendo che dove l'Italia è stata per secoli e secoli, l'Italia deve ritornare». Brucia la fine della speranza di vedere riaperta la possibilità che quei confini non diventino immutabili, che l'Istria, Fiume, le terre italiane ora smembrate in pochi chilometri dai confini sloveni e croati potessero restituire terra e radici ai 350 mila che tra il '45 e il '60 furono costretti a lasciarle nella condizione poco felice di esuli in patria. E' un sentimento che si fa tanto più forte in una città dove la crisi economica è devastante, come ricordava ieri il direttore del Piccolo in un editoriale assai polemico con i revanscismi nostalgici che appaiono creati apposta per «distogliere l'attenzione» dai problemi veri. Che sono tanti, a leggere il quotidiano cittadino. Provincia, Porto e Ferriera sono commissariati; il Lloyd Triestino è in pericolo, il progetto Sistiana (di Renzo Piano) affossato, la Monteshell abbandona, l'Off-shore (tra l'altro facilitazioni doganali) ha i giorni contati, il traffico impossibile, i posti barca esauriti, il patrimonio edilizio del centro storico in rovina. E in questa bellissima, decadente e inquieta città di mare non c'è nemmeno una piscina. La mobilitazione riparte invece sulle corde sentimentali del tricolore. La lista per Trieste è pronta a referendum; il movimento sociale, bandiera in pugno, ieri ha organizzato la sua performance. Un migliaio di persone dentro la sala grande della stazione marittima, pochi saluti fascisti, molta commozione all'inno di Mameli, applausi scroscianti per l'abile e misurato Fini che non si è mai rivolto ai «camerati», ma semplicemente ai «cittadini» e agli «italiani». Per l'«Osimo bis», per la mancanza di un minimo tentativo di ridiscutere la questione, il segretario dell'msi ha accusato il governo italiano di «viltà». A mezzogiorno è partito il corteo che ha attraversato il centro di Trieste. Cinque, sei mila persone, moltissimi tricolori, vari striscioni, militanti del Fuan, delegazioni da Mantova, Bologna, Val Camonica, Udine, tre bersaglieri con le piume reduci da quella «brigata Mussolini» che dopo l'8 settembre affrontò la Slovenia. Ma c'era anche molta gente normale nel passo pigro della domenica mattina, signore anziane con il pacchetto delle paste da una parte e il tricolore dall'altra, qualche applauso dai balconi, e nessuna tensione. Cesare Martinetti Fini: se la Germania avesse avuto la viltà del nostro governo non avrebbe mai realizzato la riunifìcazione Lanciate in mare 250 bottiglie con un messaggio «Istria e Dalmazia saranno ancora italiane» Fini: se laavesse avdel nostrnon avrebrealizzato la riunifìc Il segretario del msi Gianfranco Fini A sinistra un'immagine del corteo

Persone citate: Cesare Martinetti, Gianfranco Fini, Lloyd Triestino, Mameli, Mussolini, Renzo Piano, Sacchetta