Socialisti acrobati sul trapezio al centro

Socialisti acrobati sul trapezio al centro IL PALAZZO Socialisti acrobati sul trapezio al centro UNQUE: Craxi o Martelli? Inutile dilemma, e infatti alla fine, con tutti i loro giochetti e visceralità di padre e figlio, si sono trovati su Amato. Però, il socialista furbo quei tre non lo fregano. Chiesto di scegliere tra bianco e nero, sta per innalzare la sua bandiera: grigia. Che fra grandine o solleone preferisce le giornate nuvolose, lui, e tra l'Everest o la depressione caspica cerca i paesaggi collinari. Quindi, dopo aver aizzato Martelli e rassicurato Craxi sulla sua fedeltà, indica quel magico luogo geometrico che sta a mezza strada. Mentre sale l'inno dell'eterna Riscossa, come si chiamava la corrente demartiniana: «Cerco un centro di gravità permanente/ che non mi faccia mai cambiare idea/ sulle cose e sulla gente...». Evviva, appuntamento al Centro. Ancora così piccolo, quello del psi, da raccattarsi la maligna definizione di «Centrino da tavola». Ma crescerà. Eccoti fresco fresco Giulio Di Donato, che demartiniano di ritorno non è, però manciniano sì, e in tempi di revival non guasta. Ecco Gino Giugni, professore di ceppo addirittura brodoliniano, già segnalatosi per un risoluto «non sono mai stato craxiano o craxino, non sarò mai un martelliano o un martellino». Né poteva mancare Agostino Marianetti che, più prosaicamente, dice: «Con chi sto io? Con mia moglie». E via con tutti gli altri socialisti acrobatici che impercettibilmente, passettino dopo passettino, chi dalla maggioranza (Conte, Babbini, Ruberti), chi dall'opposizione (Tempestini, Capria e soprattutto quel Manca che Pasolini, in «Petrolio», già descriveva «indurito e vendicativo») finiscono per ritrovarsi proprio a metà, in quel punto fatale da cui una volta, ai tempi del placido professor De Martino, si governava il psi. E fino a un paio di settimane fa, per certi versi, anche la de. Potenza della geometria politica. Di tutte le possibili figurazioni, «taglio delle ali», alleanza fra le estremità e quant'altro, il teorema del I allei I quai Centro, con il suo astuto appostarsi tra i due litiganti, con l'intento di spezzarne le simmetrie, è quello che ispira le più luminose speranze. E poi, invece, determina le peggiori delusioni. Vedi il big bang del Grande Centro doroteo: già celebratissima intuizione di Gava, in realtà servita solo a consegnare la de a Forlani. «Ho costruito una grande casa, ma la stanza da letto - sospirava don Antonio, come se in fondo fosse un dramma più esistenziale che politico - se l'è presa Arnaldo». E poi l'hanno tolta anche a Forlani. Ma tant'è. Centri che vanno e centri che vengono, o meglio ritornano. Come sta accadendo adesso con questi ex demartiniani: attempati, realisti, volpini e anche un bel po' gattopardi. Così naturalmente equidistanti, personalmente lontani dai furori aggrovigliati di Craxi e dai tormenti passionali di Martelli, come pure dall'acume professorale di Amato. Gente che non ama le spade o le granate ma gli abbracci unitari che paralizzano. Pronti, per ora, a sussurrare: né con Bettino né con Claudio. Sapendo già che in mezzo non c'è Giuliano, in mezzo ci sta la perenne virtù geometrica del Centro. E pare di rivedere il vecchio film socialista degli Anni Settanta. Il congresso? Né troppo presto né troppo tardi. Le tessere? Non tutte vere né tutte false. Il sistema elettorale? Un po' maggioritario e un po' proporzionale. Mentre si celebra la rentrée di antichi moduli lessicali per cui, a proposito di gruppo dirigente, l'«azzeramento» diviene l'«adeguamento». Per una cottura a fuoco lento. Filippo Cec carelli emj

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