«Ecco le trappole dell'Opa»

«Ecco le trappole dell'Opa» RISPARMIO & MERCATI Intervista con Franzo Grande Stevens: perché la legge va modificata «Ecco le trappole dell'Opa» Per il civilista «il provvedimento, di fatto, limita il ricorso alle offerte d'acquisto» Intanto domani in Piazza Affari la Ingersoll avvia la raccolta delle azioni Worthington DMELANO OMANI parte alla Borsa di Milano la terza offerta pubblica d'acquisto nel giro di dieci giorni: quella della società statunitense Ingersoll-Dresder Pump sulla controllata Worthington, di cui possiede già il 52,8% del capitale e che intende togliere dal mercato borsistico rilevando tutte le azioni del flottante. Per ogni azione ordinaria Worthington spa sarà riconosciuto il prezzo di 2800 lire, stabilito in base alle valutazioni peritali. Il prezzo è superiore del 46,9% alla media dei prezzi di compenso degli ultimi sei mesi e dell'8,6% al valore patrimoniale netto per azione che risulta dai dati contenuti nella relazione semestrale al 30/4/1992. L'opa si concluderà il 30 dicembre prossimo e sarà curata dalla Albertini e c. Sim spa. Le banche incaricate sono Credit e Comit. Eppure mai come in questi giorni la legge che ha istituito l'Opa obbligatoria in Italia viene fatta oggetto di pesanti critiche. Dopo i rilievi dei giuristi è stato lo stesso presidente della Consob Enzo Berlanda - principale promotore della legge quando sedeva al Senato - ad annunciare che la stessa commissione si farà promotrice di una profonda revisione della legge da proporre al Parlamento. Berlanda aveva convocato prima dell'estate alla Consob un gruppo di giuristi esperti di diritto societario per avviare una valutazione del regolamento applicativo della legge e si era convinto, sin da allora, che è il testo stesso del provvedimento a richiedere una riscrittura. «L'interpretazione della legge sull'Opa è obiettivamente controversa in molti punti: ecco perché il mercato l'ha accolta con diffidenza ed ecco perché sembra improbabile, per non dire impossibile, il moltiplicarsi dei casi di Opa in Italia». Franzo Grande Stevens, tra i più illustri civilisti italiani, è stato fra i primi, all'indomani della promulgazione della legge, a segnalarne le numerose incongruenze. E non si meraviglia che oggi la Consob di Enzo Berlanda, cioè del «padre» di quella legge, scenda in campo per promuoverne la revisione. Ma, avvocato, cos'ha di sbagliato questa sventurata legge? «Le faccio qualche esempio tra ì molti possibili. Secondo il testo letterale della legge, qualora si assuma il controllo di una società quotata in Borsa, si assume di fatto il controllo anche di tutte le società quotate da essa controllate, e ciò obbliga ad estendere l'Opa non solo sulla prima ma anche su tutte le altre, a cascata: evocando la possibilità di impegni finanziari enormi, insostenibili». Ma la legge intende tutelare i diritti degli azionisti di minoranza... «Ma non è questo il modo: con simili norme di fatto si impediscono le Opa e si ottiene l'unico risultato di ingessare il mercato. E poi proprio sul fronte della tutela del risparmio ci sono molte altre incongruenze». Per esempio? «Per esempio il legislatore ha dimenticato gli azionisti di risparmio. La legge impone l'Opa quando si assume il controllo di una società. Ma non prescrive cosa si debba fare rispetto alle azioni di risparmio quotate. Se cioè un soggetto assume il 100% delle azioni ordinarie di una società, non è vincolato dall'attuale testo della legge a comprare anche quelle di risparmio che restano così quotate da sole». E' vero che la nostra legge è difforme da quelle degli altri Stati Cee? «In molti punti. Per esempio sul problema delle Opa in caso di trasferimenti societari infragruppo. Le direttive comunitarie escludono l'obbligo di Opa quando un gruppo trasferisce il pacchetto di una società controllata da una all'altra subholding. Se la società A controlla la società B che a sua volta controlla la società C, quest'ultima può essere trasferita sotto il controllo diretto della società A senza obbligo d'Opa. Una norma creata per consentire una certa elasticità nella gestione dei gruppi. Questo in Italia sembra vietato quando il passaggio non sia diretto fra società madre e figlia e non sia un controllo di diritto (cioè non si possieda più del 50% delle azioni ordinarie). Mentre, paradossalmente, se si ha il controllo di fatto di una società pur senza avere il 51% di essa, si è liberi di incrementare la quota di questo controllo di fatto, portandola ad esempio dal 40 al 45% del capitale o portandola al controllo di diritto (oltre il 50%) senza lanciare l'Opa. Mentre la società A, che pure ha il controllo di fatto indiretto della società C (attraverso la società B) non può assumere direttamente il controllo della società C se non lanciando l'Opa». Ma come possono capitare simili incongruenze? «Perché le leggi tecniche, una volta impostate dai politici secondo le direttive volute, dovrebbero passare per efficienti filtri tecnici in grado di individuare ed eliminare eventuali errori. Questo invece non accade. O, quando accade - come nel caso del testo originario dell'Opa, proposto da Berlanda -, le corrette impostazioni tecniche vengono poi stravolte all'ultimo momento, magari con l'aggiunta di questo o quell'emendamento politicamente imposto. Si trascura l'appropriato lessico giuridico, si fanno errori da dilettanti creando mostri giuridici che per essere applicati richiedono pronunciamenti giudiziari che si fanno attendere dieci anni. Si scrivono leggi con la stessa approssimazione con cui a volte, andando all'estero, s'improvvisano le lingue straniere. Che meraviglia se poi queste leggi non funzionano?». Sergio Luciano «Normative così complesse andrebbero sottoposte al vaglio degli esperti» A destra l'avvocato Franzo Grande Stevens A sinistra il presidente della Consob Enzo Berlanda

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