«Che Guevara, 25 anni dopo» è veramente un atto d'amore? di Mimmo Candito

«Che Guevara, 25 anni dopo» è veramente un atto d'amore? TIVÙ'& TIVÙ' «Che Guevara, 25 anni dopo» è veramente un atto d'amore? NON se ne vorrà, spero, Gianni Mina se le immagini che più hanno impressionato nel suo reportage dell'altra sera («Che Guevara, 25 anni dopo», Raiuno) sono state proprio quelle di apertura, quando il microfono se ne girava desolato, forse anche imbarazzato, tra i ragazzi incontrati per strada e nessuno di loro sapeva bene chi il Che sia stato. Gli occhi sospettosi come davanti a un qualsiasi trabocchetto di Frizzi o di Magalli, quelle faccine un po' sciocche e un po' stupite di adolescenti romani disturbati nella loro caprina indifferenza, segnavano drammaticamente la voracità rapida della storia d'oggi, o almeno di quella palude vaga dove storia e cronaca ancora affondano inestricabili; e la barba mquieta che ha accompagnato i miti e i bisogni di almeno due generazioni in ogni angolo del mondo finiva tristemente sepolta, venerdì sera, nei cuniteri del nostro passato Gianni Mina è un cordialissmo viaggiatore. Ha la testa a Torino e il cuore in Sud America, e un simile astruso ibrido non poteva che dare un prodotto ben balzano. Ha fatto dell'eccel¬ lente giornalismo sportivo, certo tra il meglio che la letteratura del sudore plebeo e muscolato ricordi, e ha anche fatto dell'ottimo giornalismo politico, traversando da esperto navigatore le latitudini latinoamericane (un giorno di qualche anno fa, all'Avana, Gabriel Garcia Marquez, che è Premio Nobel ma è anche lui un esperto navigatore della vita, abbracciandolo col saluto gli diceva complice: «Che imbroglio stai mettendo su, stavolta?»). Nel corso di queste traversate avventurose, Mina ha anche incontrato Castro e, come dicono le canzonette inglesi, da allora ne è caduto in amore. Intendiamoci, non è facile non innamorarsi del Comandante, anche oggi che la mancanza di libertà per il dissenso a Cuba si vede senza più veli e immagonisce i ricordi d'antan. Basta infatti andare in qualsiasi altro posto d'America Latina e poi passare per Cuba, e si vede subito come la Revolución nell'isola del caimano non sia stata soltanto una parola di comodo, lo strumento di un regime personale, ma invece la realtà concreta, autentica, di sviluppo di una società arcaica. E Castro è un fa¬ bulatore come solo nel passato se ne avevano, quando la storia, quella vera, si raccontava a viva voce, senza l'aiuto di pandette. Questo innamoramento, comunque, ha prodotto cose buone e cose meno buone: ci ha portato in Italia l'allegra banda del Moncada e le ragazze di cosciasoda del Tropicana, ci ha offerto Comandante («genuflesse» ha detto qualche invidioso, e però ugualmente interessanti), ci ha dato una voce che con costanza encomiabile e condivisa ricorda a tutti, dovunque, il dovere di vincere la logica dei blocchi e battersi per far finire l'isolamento di Cuba, e ci dà ora questo reportage di tarda notte. Sì, perché il limite di fondo di «Che, 25 anni dopo» è stata questa sua ottica appiattita sulla storia ufficiale. C'era più cubanismo in quel lungo e fìtto testo che in tutte le memorie raccontate da Hijuelos. Il santino che ne veniva fuori era a tutto sbalzo, anche commovente, ma non so se, alla fine, questo fosse un vero atto d'amore per il Che. Anzi, tendano che proprio non lo Mimmo Candito IHo

Persone citate: Castro, Comandante, Gabriel Garcia Marquez, Gianni Mina, Guevara, Magalli, Moncada

Luoghi citati: America Latina, Avana, Cuba, Italia, Sud America, Torino