Il doppio funerale di Antonio Tatò
Il doppio funerale di Antonio TatòL'ultimo saluto alT«angelo custode» di Enrico Berlinguer ha avuto due momenti distinti di commozione Il doppio funerale di Antonio Tatò Nell'intimità di Botteghe Oscure, tra la folla in chiesa ROMA. «Per dirla con le parole di San Paolo, Tonino ha combattuto - fino all'ultimo giorno una buona battaglia». Così Marisa Cinciari Rodano conclude l'orazione funebre in ricordo di Antonio Tato, compagno di un lungo tratto della sua stessa vita. Piazza Margana è mondata di sole. Si celebra il funerale laico di un dirigente comunista. E questo è il primo atto dell'addio che poco dopo - in chiesa - assumerà la dimensione di un riconoscimento più ampio della sua figura, del ruolo che «l'ultimo berlingueriano» ha avuto sulla scena della vita pubblica. Alle 11 il feretro è uscito dalla camera ardente allestita a Botteghe Oscure. Dalle 8 del mattino era stato un pellegrinaggio, con i picchetti d'onore, il rituale e la scenografia di sempre quando muore un esponente di spicco del partito. «In quest'epoca triste per la politica e la democrazia organizzata, occorre atten¬ dere la morte perché si riscopra l'alto valore umano di storie irripetibili» dirà poi Achille Occhetto. Ma tutti, lì, sanno benissimo l'uno dell'altro. Ci sono i vecchi militanti, i nemici di tante battaglie, quella Roma borghese e intellettuale che - a flussi alterni è ruotata intorno al pei. Tutti si rivedono un po' più vecchi, meglio vestiti, amareggiati e confusi. C'è Letizia Berlinguer, la vedova del leader di cui Tonino Tato è stato il consigliere-ombra, e le figlie. C'è Giglia Tedesco, la seconda moglie, e i figli del primo matrimonio di Tato. Sono pochi gli «estemi»: Galloni, Mattarella, Mammì, Manca. Prevale «un'aria di famiglia», la famiglia allargata del partito che nei momenti del lutto sempre si ritrova compatta e dolente. Si entra e si esce dal bar di Ezio, mitico ritrovo del popolo comunista. Qui sono sempre appesi i ritratti di Stalin, Che Guevara, Lenin. Tutti si conoscono. Ed è il 7 novembre, l'anniversario della rivoluzione bolscevica. Con un applauso della folla, dopo le parole intrise di affetto dei due leader, finisce il funerale pubblico, all'insegna dell'ufficialità. Adesso la celebrazione si fa privata, e gli amici intimi - i compagni dell'esperienza cattolica vissuta da Tato con la stessa intensità di quella comunista seguono il feretro. La chiesa di Santa Maria in Via si riempie. Di gente diversa da prima. Di presenze che danno rilievo e unità alle facce meno note del personaggio-Tato. «La sua casa era diventata, per i segretari del pei prima e del pds dopo, centro di incontri politici ad alto livello» aveva ricordato Occhetto. Ecco adesso - a raccontare quanti fili di alleanze, intese, accordi fra mondo politico e imprenditoriale si sono intrecciati intorno a Tato, il «consigliere del principe» - il presidente della Stet Biagio Agnes, Eugenio Scalfari, l'e- ditore Caracciolo, il prefetto Parisi, il repubblicano Maccanico, i democristiani Rosati, Mattarella, Russo Jervolino. Arriva anche Andreotti, che si siede fra la gente, a metà di una navata, a sottolineare l'amicizia con Tato nata fin dai tempi in cui nel mondo cattolico si giocavano partite che potevano cambiare la nostra storia, quando l'uno diventava de di spicco e l'altro fondava il movimento dei cattolici comunisti. Innumerevoli i laici, non comunisti, che soltanto in chiesa hanno voluto rende¬ re omaggio allo scomparso. Due i religiosi più commossi. Don Carlo Cingolani: alla fine degli Anni Trenta era con Tato poco più che adolescente, Luciano Barca, Franco Rodano, a discutere di fede nelle camerette di San Luigi, nella chiesa di Sant'Ignazio. E don Gino Della Torre, assistente spirituale di Rodano anche negli anni in cui la chiesa lo aveva scomunicato: aveva celebrato le nozze di Tato con Giglia Tedesco. Liliana Matteo Achille Occhetto accanto alla bara di Tonino Tato
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