La Tour Eiffel salvata da un sergente di Enrico Benedetto
La Tour Eiffel salvata da un sergente Rivelazioni sulla resa di Parigi ai tedeschi: disfatta vergognosa, con un po' di humour La Tour Eiffel salvata da un sergente Nel giugno '40 riuscì ad aggirare l'ordine di farla esplodere PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Guy Bohn oggi è un tranquillo avvocato in pensione. Nessun manuale di storia lo cita, ma fu lui a salvare la Tour Eiffel il 12 giugno 1940. Allora sergente nella riserva, quel giorno si vide ingiungere dal suo colonnello, tale Albert Regimbal, un ordine perentorio: minare e far esplodere la Torre - 320 metri, 70 mila quintali, 12.000 pezzi metallici - per sottrarre alla Wehrmacht in arrivo una struttura di formidabili potenzialità strategiche nel settore telecomunicazioni. Doveva obbedire, pena la Corte Marziale, ma il Bohn leguleio venne in soccorso al Bohn militare. Obiettò che gli manca- vano uomini e mezzi, perse ore preziose, infine trovò l'argomentazione vittoriosa: l'iniziativa era incompatibile con lo status di «città aperta». Il colonnello si arrese: la Tour Eiffel poteva sopravvivere purché se ne distruggessero le attrezzature radio. Il sergente eseguì: due giorni dopo, le colonne del III Reich entravano in città. Testimoni chiave e misconosciuti come Guy Bohn, lo storico americano Herbert Lottman ne ha rintracciati a decine per la sua ultima fatica: il poderoso volume The Fall of Paris (La caduta di Parigi), in libreria da pochi giorni oltreoceano presso Harper & Collins e sulla Senna nella traduzione dell'editore Belfond. Quattrocentosettantanove pagine per ripercorrere i 35 giorni che annientarono la Francia, da quando - il 10 maggio Hitler scatenò l'offensiva «Fall Gelb». L'opera copre una lacuna finora inspiegabile nella pur am¬ plissima bibliografia su «dròle de guerre» e occupazione. Come un altro anglosassone - Paxton svelò per primo le responsabilità vichyste nell'Olocausto, Lottman mette a fuoco con puntiglio da cronista e scrittura avvincente l'inconfessabile resa transalpina. Ma, con gli aneddoti e i retroscena, giunge anche una verità storica sottaciuta per decenni: Parigi poteva cadere in una settimana appena. L'umiliazione le venne risparmiata dai generali tedeschi, non certo dalla tardiva resistenza dell'Armée. Il 15 maggio i panzer di Guderian raggiungono Laon, 139 chilometri dalla capitale. La breccia nella difesa francese è larga 80 chilometri. Il generalissimo Game- lin getta la spugna: può garantire Parigi solo per quarantott'ore. Il primo ministro Reynaud sembra rassegnarsi al prossimo arrivo degli invasori, attesi il 16 sera. Ma Hitler non sfrutta l'occasione. Incertezza o errori di strategia? La tesi che propone l'autore è un'altra: il Fuhrer comprese di avere in mano la Ville Lumière e preferì dirottare le forze verso obiettivi meno prestigiosi ma più contesi. Nell'agosto '44 il generale Patton gli avrebbe - per così dire - ricambiato il favore: malgrado De Gaulle scalpitasse, gli americani rinviarono a lungo l'incursione sulla capitale, privilegiando l'avanzata sulla Mosa. E come quattro anni prima il sergente Bohn seppe disattendere gli or¬ dini lasciando integra la Tour Eiffel, i generali tedeschi non si piegarono alla rappresaglia hitleriana: Parigi non bruciò. Il racconto quotidiano dell'occupazione è curioso: c'è il ministro della Guerra, Daladier, che telefona a Paul Reynaud il 15 mattina ore 6, trovandolo ancora nella gargonnière: «Tutto è perduto». Oppure i dossier top secret bruciati nei cortili ministeriali, con i parigini a vedersi piovere dal cielo brandelli nerastri, più eloquenti della rassicuratoria propaganda ufficiale. Ancora: l'ambasciatore americano William Bullit che piomba dal nunzio apostolico implorandolo: faccia scomunicare Mussolini se l'Italia abbandonerà la non-belligeranza. Roma entra in azione il 10 giugno. Simone de Beauvoir annota sul diario che malgrado l'ora tragica i suoi allievi trovano il modo per rallegrarsi che i «bac», le maturità, sono sospese. Brasillach incontra sul treno una famiglia che lascia Parigi in direzione Est, «per mettersi al riparo dietro la linea Maginot». Sergio Bernacconi, corrispondente per il fascista Giornale d'Italia, descrive l'ambasciatore Guariglia mentre cerca invano chi lo riceva per rimettergli la bellicosa dichiarazione mussoliniana. Toccherà a Saint-Exupéry, nel '42, tirare le somme: «La Francia ha ben interpretato il suo ruolo (...): lasciarsi annientare e seppellire». Enrico Benedetto La capitale poteva cadere in una sola settimana: Hitler la «graziò» preferendo altri obbiettivi I tedeschi a Parigi. Sullo sfondo, l'Arco di trionfo
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