Ligresti nella sua clinica

Ligresti nella sua clinica Ligresti nella sua clinica E9 malato, ha perso 14 chili La prima visita dei famigliari MELANO. Dimagrito di 14 chili, zoppicante, debilitato. Psicologicamente stressato dalla lunga inattività e affetto da infiammazione alla prostata. E' il ritratto di Salvatore Ligresti, «re del mattone», quinto finanziere italiano, da ieri detenuto alla clinica «Città di Milano» di sua proprietà. Dopo 112 giorni di carcere. «E' un uomo tutto da ricostruire», dice il professor Luigi Grassi, direttore sanitario della clinica, uno dei pochi ammessi al capezzale dell'ingegnere: reparto urologia, 3° piano, stanza singola. Davanti aUa porta gli agenti, come in carcere. Un ricovero obbligato che ha però diviso la magistratura milanese. Da una parte il giudice Di Pietro: sì al ricovero, ma in un ospedale pubblico. Come per tutti i detenuti. Dall'altra il gip Italo Ghitti: no, Ligresti può andare nell'ospedale che vuole. Lo stabilisce la legge penitenziaria del '75. Articolo 11 : «Il detenuto può essere ricoverato in ospedali civili, o in altri luoghi di cura». E Ligresti sceglie la sua clinica, dove la degenza costa un milione al giorno. Entra alle 10 del mattino, trasferito con un furgone blindato direttamente da San Vittore. In una borsa il minimo necessario, in cella ha lasciato tutto. Un abbraccio al detenuto comune, vent'anni più giovane, che divideva con lui quei tre metri per quattro. Negli ultimi tempi era stato lo stesso Ligresti a chiedere di non essere più solo. Nessuno vede l'arrivo alla clinica, cento metri dietro il palazzo di giustizia. Il primo incontro è con i tre medici chiamati alla diagnosi, tre primari. Un'ora e mezzo di visita e poi il responso: infezione alla prostata. Forse è da operare. Negli ultimi giorni, à San Vittore, il malanno che lo tormenta da tempo si era aggravato. Il trattamento è identico a San Vittore: niente telefono, ammessi ai colloqui solo i difensori. Per i parenti più stretti ci vuole il permesso dei giudici di «Mani pulite». E Ligresti, per la prima volta dal 16 luglio, dal giorno del suo arresto, accetta di incontrare i famigliari. Là dov'era non aveva voluto. Salgono al terzo piano la moglie Giorgina «Bambi» Susini e i tre figli Lionella, Giulia e Paolo. «A quel punto l'ingegnere è crollato», dice un infermiere. In cortile stazionano cinque marcantoni che fermano tutti. «No, non siamo la scorta di Ligresti. Siamo dipendenti della clinica, siamo qui a vigilare», cercano di convincere. Stessi silenzi al terzo piano, dove Ligresti ha la sua stanzetta. Due letti di metallo, il tavolino con la sedia dove mangiare, la Tv e il bagno. Un'infermiera, gentile ma irremovibile: «L'ingegner Ligresti? Non mi risulta che sia qui. Chiedete in portineria». 15 ricoveri, ieri. Tutti segnati sul registro. Meno uno. Fabio Potetti ■ - :

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