Albertazzi: Ronconi, tu uccidi il teatro di Osvaldo Guerrieri
Albertazzi: Ronconi, tu uccidi il teatro L'attore attacca il regista per i 7 miliardi degli «Ultimi giorni dell'umanità» Albertazzi: Ronconi, tu uccidi il teatro «Spende troppo, "Misuraper misura"5 ore di noia» MILANO. Il bengala, questa volta, lo spara Giorgio Albertazzi. Poco prima di andare in scena al Manzoni con «Il ritorno di Casanova», attacca pubblicamente Luca Ronconi e le sue spese per «Gli ultimi giorni dell'umanità». Dice: «Nessuno di noi, nemmeno il più grande, può spendere sette miliardi per uno spettacolo. E magari per poche centinaia di spettatori». A Milano non si sono ancora spenti i commenti sull'attacco di Franco Branciaroli a Giorgio Strehler, che un'altra polemica si fa strada con forza. Perché questa sparata? «Non è una sparata - risponde Albertazzi -. Ronconi spende molto e mi domando se sia il caso, se non si debba calmierare un teatro divenuto magniloquente». Per Albertazzi siamo entrati in un clima nel quale «la prosopopea dell'impresa artistica fa ballare i teatri». Ricorda il ronconiano «Misura per misura» presentato recentemente alla Pergola di Firenze: «Perché cinque ore e mezzo di noia?»; rimbecca Branciaroli, che pur riceveva un miliardo per i suoi spettacoli al Meeting di Rimini. Dice: «Come fanno costoro a far fallire i teatri? Come fa Carmelo Bene a spillare qualche miliardo alla Biennale per non far nulla? Sono bravissimi, sono grandi». Continua: «A Torino forse non importa spendere tutti questi quattrini per Ronconi, forse la città pensa che vada bene così; e non importa se il Teatro Stabile non paga le compagnie. Quella VIDEOGAME di Curzio Maltese «Avrà l'America il suo 5 aprile? Saprà aprire una nuova soglia alle porte del Duemila?» (Controcopertina del Tg3, titolo: «Il 5 aprile d'America?») di Ronconi mi sembra una sperimentazione a margine troppo costosa. Non discuto il fatto artistico, anche se il suo teatro mi annoia». Ciò che fa uscire dai gangheri Albertazzi è il faraonismo, anzi la magniloquenza: «Alla regia sembra di non fare niente se non mette in scena tram, treni, ponti. E' un'elefantiasi, alla quale si contrappone il disprezzo per l'attore, utilizzato come un elemento di composizione. Ronconi sarebbe davvero un grande se evitasse la magniloquenza, ma lui, se non è grandioso, non si diverte. Il narcisismo a teatro è pericoloso. Quando Ivo Chiesa si fa convincere da Benno Besson a provare per novanta giorni allo Stabile di Genova "Mille franchi di ricompensa" commette un errore imperdonabile. Davvero Besson vale tutto questo? E Strehler? Non posso approvarlo quando recita nel "Faust". E' imbarazzante. Anche lì pesa lo spreco di denari. Che poi ci siano approvazioni da tutto il mondo è una cosa fin troppo facile». Se tutto ciò è vero, non è nato per caso. Albertazzi pensa che lo strapotere della regia derivi dall'assenza del grande attore. «L'attore dorme il sonno di Odisseo, è omologato, è "professionale". In questo disastro c'entra la politica, c'entra il '68, c'entra il collettivo. Io mi sono battuto contro queste cose e continuo a battermi contro il degrado. Sono un free-lance, non ho cariche perché non sono affidabile, ho pochissimi meriti: in questa situazione posso dire tutto ciò che penso». E allora, se si vuole risvegliare il teatro, che bisogna fare? Albertazzi non ha dubbi: è necessario ripartire dalla povertà e dall'attore. Ricorda che le cose più belle di Strehler furono fatte in economia. Dice che il suo Casanova è un lungo monologo e perciò è antiteatrale. Ma aggiunge: «Sarebbe antiteatrale se non ci fossi io, l'attore». Osvaldo Guerrieri Giorgio Albertazzi accusa tutto il teatro italiano, compreso Luca Ronconi
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