Montecitorio, forziere d'arte predata

Montecitorio, forziere d'arte predata Dai Savoia all'8 settembre: le collezioni pubbliche smembrate e spedite nei palazzi del potere Montecitorio, forziere d'arte predata «Gli arazzi di Firenze sono diventati stracci» DNO dei problemi più gravi e più urgenti che dovranno venire affrontati, il giorno in cui l'amministrazione delle Antichità e Belle Arti verrà rimessa in sesto secondo un piano di razionalità e di ampio respiro, è quello delle opere d'arte di musei e gallerìe nazionali disperse ai quattro venti, devastando complessi storici, violando precise leggi, asportando senza alcun criterio tessere, anche fondamentali, di un mosaico culturale che dì era venuto formando nel corso dei secoli. Per quel che riguarda i grandi complessi figurativi che arricchivano le sedi del Potere dell'Italia pre-unitaria, la loro dispersione ebbe inizio assai presto, direi con il procedere dell'unificazione. Eredi dei beni delle dinastie spodestate, i Savoia dettero il via ad un vero e proprio sconvolgimento, asportando mobili, arazzi, porcellane, spedite (quando non alienate) verso sedi di altre città. Di tale saccheggio furono vittime soprattutto Parma e Napoli: dalla prima vennero prelevate centinaia e centinaia di mobili, porcellane, argenti e arazzi e bronzi che, mescolati agli arredi pontifici, si trovano oggi nel Palazzo del Quirinale. Da Napoli venne spedita a Roma parte della serie degli arazzi borbonici del Don Chisciotte; ma altri oggetti sia parmensi che napoletani finirono a Torino e altrove, alterando la fisionomia delle sedi di destinazione. Anche Firenze non riuscì a sottrarsi a tale insensato saccheggio, al punto che della fondamentale serie di arazzi fiorentini, le «Storie di Giuseppe» tessute su cartoni di Pontormo e del Bronzino, nove pezzi finirono anch'essi al Quirinale, mutilando uno dei massimi monumenti del Cinquecento toscano (la serie era stata tessuta per il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio). Tutto ciò è acqua passata, ma non si può che restare sbigottiti al constatare la vastità del saccheggio delle dimore dei Borboni di Parma, le cui vicende in rapporto al Quirinale sono descritte, con abbondanza di documenti, nel volume di Chiara Briganti, Curioso itinerario delle collezioni ducali parmensi, apparso nel 1969. Dopo le spoliazioni sabaude, il peggio doveva venire nel nostro secolo, con gli indiscriminati saccheggi condotti al fine di abbellire e decorare i Palazzi di Montecitorio e Madama di Roma, sedi ministeriali, oltre che ambasciate all'estero: iniziata al plausibile fine di arredare in modo dignitoso i luoghi di rappresentanza dello Stato italiano, tale pratica dette subito luogo ad inammissibili abusi e a pratiche di inaudita leggerezza, con risultati a volte disastrosi. La documentazione dei dipinti, soprattutto, spediti altrove fu, in genere, del tutto insufficiente, senza fotografie, con i sog- ontormo getti descritti in modo sommario, spesso con le dimensioni inesatte: talvolta le ricevute erano dei pezzetti di carta scribacchiati alla meglio. Vittime delle insensate scelte furono le Gallerie di tutta Italia, persino di Firenze, dove vennero violate le precise disposizioni testamentarie dell'ultima dei Medici, l'Elettrice Palatina Anna Maria, che donò le raccolte formate dai suoi antenati a condizione che non venissero mai fatte uscire da Firenze o dai confini del Granducato di Toscana, disposizioni che lo Stato italiano aveva accettato e mai disconosciuto. Anzi, a Firenze si iniziò lo smembramento di uno dei massi1 mi tesori del patrimonio artistico nazionale, il Museo degli Arazzi. Ricco, a quanto pare, di più di 2000 pezzi (la maggiore raccolta di arazzi del mondo) il Museo venne disperso; e non soltanto destinando a nuove sedi cicli completi (è il caso di Montecitorio a Roma) ma spezzando serie tessute su cartoni del medesimo artista, serie oggi disperse tra varie ambasciate, uffici, e così via. Qualche pezzo fu destinato a musei, come Pisa, ma la manutenzione di questi fragili tessuti, eseguiti in esemplari unici, non è stata spesso quella richiesta. Ai tempi del Granducato si evitava di esporli ai raggi del sole, cosa che spesso viene oggi trascurata: col risultato che alcuni stupendi campioni dell'arazzerla medicea si presentano oggi slavati, sbiaditi, poco più che stracci. Io stesso vidi alcune portiere (tessute per ambienti specifici) adoperate in uffici, sporche e manomesse, anche a Firenze. Ma ben più grave fu la sorte toccata ai dipinti spediti in deposito: una volta usciti, non è stato quasi mai effettuato un controllo: è quel che toccò a due magnifici Luca Cambiaso della Pinacoteca Nazionale di Napoli, spediti all'ambasciata italiana di San Pietroburgo, dove si credeva fossero andati persi, ma che riapparvero nella nuova sede di Mosca: mi si disse che il restauro di una delle due tele era stato condotto dall'ambasciata stessa, e senza alcun controllo da parte della amministrazione delle Belle Arti. Un caso analogo è quello di Montecitorio, dove quantità e qualità di quadri sottratti a Roma, Napoli, Firenze, Milano sono tali che l'irisieme costituisce una vera e propria pinacoteca, per la quale è stato istituito un laboratorio di restauro indipendente dall'amministrazione. Quale sia stato il destino di alcune, e anche di gran pregio, opere sottratte ai musei, ben lo dimostra una splendida tavola che raffigura l'eroina romana Porzia, e che nel 1925 finì all'ambasciata di Washington: collocata sopra un calorifero, se ne è compromessa la stabilità della pellicola pittorica e della sottostante imprimitura in gesso, provocando gravi cadute di colore nella parte mediana. Soltanto di recente si è scoperto che l'autore di questo bellissimo e disgraziato, dipinto (il cui pezzo compagno, con Minerva, si trova al Louvre) è il giovane Fra Bartolomeo; tornato a Firenze, questo capolavoro è stato incluso nella mediocrissima mostra II Giardino di San Marco, tuttora aperta in Casa Buonarroti, e nel cui catalogo lo si vede riprodotto alla pagina 83. Dopo il 1930 la diaspora dei quadri dei nostri musei prese una vera e propria accelerazione. Il Regime voleva che le nostre sedi diplomatiche mostrassero un'atmosfera di lusso e di cultura; ma, nel frattempo, non c'era ufficio della burocrazia statale che non esigesse il quadro da appendere dietro la scrivania del principale. Si dette il consenso ad una nuova e più ampia dispersione, che toccò il culmine quando Dino Grandi divenne ambasciatore a Londra: il palazzo italiano di Grosvenor Square si trasformò in una sede museale e mondana ad un tempo. Vi si potevano ammirare i dipinti dell'intera collezione formata da Riccardo Gualino, cui erano stati aggiunti persino arazzi della serie, esposta agli Uffìzi, su cartone del Bacchiacca, molte altre cose di altissimo pregio. Sono rimaste famose le sfavillanti cene offerte da Grandi, alle quali partecipavano non pochi nomi delle grandi famiglie inglesi. Ma a Roma si continuò a violare la legge sui Fidecommissi, inviando quadri della Galleria Borghese e della Galleria Spada in giro, i primi all'ambasciata italiana presso la Santa Sede, i secondi nel palazzo del Governatore di Rodi. Scoppiata la guerra, non mancò chi promosse una circolare con cui si imponeva il ritiro delle opere sparse in giro, incluse quelle delle ambasciate; si era, se ben ricordo, nel 1941 o 1942. Ma nulla fu fatto: a quei tempi, con la prospettiva della crisi finale del fascismo, coloro i quali, nella centrale del ministero, si sarebbero dovuti muovere, erano troppo occupati a ricucirsi una parvenza di verginità antifascista, iniziando quell'operazione di trasformismo che ha poi portato alcuni di loro ai sommi fastigi. Sia nel territorio nazionale, sia nelle sedi all'estero, tale incuria condusse, l'8 settembre, a risultati assai gravi, a perdite e salassi di cui nessuno ha mai parlato. Si disse, dopo il 1945, che i bombardamenti tedeschi su Varsavia erano la causa della perdita dei dipmti che arredavano la nostra sede: sta il fatto che la tela di Francesco Bassano, proveniente dagli Uffizi e depositata appunto nella capitale polacca, si trova oggi nel museo di Springfield nel Massachusetts. Rilevanti furono le perdite nell'ambasciata di Berlino, trasformata dalla politica dell'Asse in una sede di primaria importanza: anche lì furono chiamati in causa i bombardamenti degli Alleati, ma in realtà il ricchissimo arredo pittorico degli ambienti era rimasto indenne sino all'aprile 1945, quando divenne preda delle bande di saccheggiatori che per settimane imperversarono nella capitale tedesca. Ne è prova il riapparire, verso il 1960, di un'importante tavola della Galleria Nazionale di Roma, con David e Betsabea, dovuta a Giorgio Vasari o ad un suo stretto allievo. Dopo aver girato sul mercato di Parigi, la tavola è finita nel Wadsworth Atheneum di Hartford nel Connecticut. Più tardi, venne alla luce un altro dipinto della Galleria Nazionale da Roma spedito a Berlino, il magnifico Amor sacro che punisce l'Amor profano, di Giovanni Baglione. Questo è il solo dipinto che sia tornato nella sua sede di provenienza, e vi è tornato per merito di uno studioso tedesco, il dott. Oertel. Egli avvertì la direzione della Galleria romana della ricomparsa del quadro stupendo presso un privato collezionista di Berlino; fu questa segnalazione che consentì il recupero. Gravissime furono le perdite dei quadri errabondi all'interno del territorio nazionale. E' presumibile che molte delle perdite siano avvenute l'8 settembre e nei giorni immediatamente successivi, quando il dissolversi, nella capitale, di ogni autorità costituita fece credere a qualcuno che fosse giunto il momento di far man bassa su quel che era dello Stato. Non farò un elenco delle sottrazioni, di cui fu vittima la Galleria Cosimo I de' Med , del Bronzino Nazionale romana, o delle sostituzioni. Quando, nel 1948, venni incaricato di procedere alla ricomposizione della romana Galleria Spada (le cui opere sono, come è noto, protette da una legge tuttora in vigore) non fu possibile ritrovare una dozzina di tele spedite ad un minuscolo Museo di Civitavecchia e mai fotografate (distrutte? disperse e rubate?) mentre con mio stupore risultò rubata un'anconetta umbra del '400, della scuola del Pinturicchio, della quale resta una fotografia della Ditta Brogi, e che era sparita... dal ministero della 'Pubblica Istruzione. Dal 1948 in poi, fu soprattutto a Roma che fu effettuata la ricognizione dei dipinti concessi in deposito temporaneo e, accanto a centinaia di sparizioni, furono rintracciate cose anche importanti. La Galleria Borghese ritirò quasi tutte le opere disperse, anche un raro dipinto che verso il 1938 era stato donato al maresciallo Pietro Badoglio per la sua nuova abitazione in via di Villa Grazioli a Roma. A volte, i recuperi avvennero casualmente, come quando le Vanità di Angelo Caroselli riapparvero presso un privato dopo essere svanite dal Palazzo della Prefettura, e bisogna aggiungere che molte cose scomparse debbono esistere ancora, immuni da furti; ma, essendo state spostate abusivamente senza avvisare chi le aveva prestate, esse vagolano ignorate in qualche ufficio o occultate in qualche sgabuzzino. Lo dico perché anni fa vidi per caso un capolavoro del '500 genovese dietro la scrivania di un alto funzionario dello Stato: nessuno sapeva donde provenisse, non c'era alcuna ricevuta, non se ne conosceva titolo di proprietà o autore. L'unico prestito che è tornato in sede al completo e senza danno è la Collezione Gualino, che, ritirata dall'ambasciata di Londra, è ora esposta nella Galleria Sabauda di Torino. E poi, accanto ai quadri, ci sono gli arredi, talvolta smembrati e dispersi anch'essi in modo persino delittuoso: come è il caso di Palazzo Reale a Milano, dove le bombe guastarono l'immobile dopo che i preziosi mobili, arazzi, lampadari erano stati quasi tutti messi in salvo. Arredi che oggi si trovano sparsi tra Milano (Museo della Scienza, Biblioteca Braidense ecc.), Urbino, Pavia e, a quanto pare, persino Taranto. E, ancora a Milano, c'è la questione della diaspora dei depositi della Pinacoteca di Brera; ma questo è un tema che esula dall'argomento, rientrando, almeno in gran parte, nel tipo e nel carattere dei grandi musei italiani, un problema che sinora non è stato mai affrontato, e al quale è doveroso dedicare un altro intervento. Federico Zeri «Dalle dimore dei Borboni a Parma prelevati centinaia di mobili e porcellane per abbellire il Quirinale» «Ho visto per caso un capolavoro del '500 dietro la scrivania di un alto funzionario statale: nessuno sapeva da dove venisse» Il palazzo di Montecitorio ha accolto tra gli altri anche alcuni capolavori provenienti dal museo degli Arazzi di Firenze. A sinistra, Palazzo Vecchio. A destra, Federico Zeri. «La visitazione» di Pontormo Cosimo I de' Medici, del Bronzino