DRUSI fratelli di guerra

DRUSI fratelli di guerra Viaggio nel mistero di un popolo: unito dalla sua religione, diviso dal groviglio del Medio Oriente DRUSI fratelli di guerra 7n] daliat el carmel V1 e vuoi vedere i drusi, de« vi salire in montagna. 1 | Sul monte Carmel, sulle bJLÌ alture della Galilea, oppure nel Golan, al confine con la Siria. In montagna, in alto»: Ramai Mansur, sessantun anni, consigliere druso di quattro Presidenti della Repubblica d'Israele (compreso l'attuale), sorride assiso nel vasto salotto all'araba, lieto del primo mistero che ci porge da sotto i bei mustacchi: «Perché? Non per la salute, per l'aria buona, né perché siamo più vicini a Dio degli ebrei o dei musulmani. No. e' perché l'altura dona forza, controllo: e noi siamo forti, flessibili, robusti. Guarda i curdi, gli armeni... Dove sono finiti? Noi che non abbiamo mai lottato per un ideale nazionalistico (non ci importa avere uno Stato) godiamo di una immensa vitalità, siamo sempre in crescita: 80 mila in Israele, 500 mila in Libano, 600 mila in Siria, 50 mila in Giordania e molti ancora sparsi in una diaspora sempre in stretto contatto in tutto il mondo. Non facciamo del male a nessuno, non vogliamo subire ingiustizie». Mansur sorride, sospira, mi porge la tazzina del caffè speziato, e l'uva nera. Gli ultimi tre episodi sulle prime pagine dei giornali in cui si parli di drusi restituiscono subito l'inesorabile intrico che ne governa la vita: è di pochissimi giorni or sono la morte, fra i cinque soldati israeliani uccisi da una bomba degli Hezbollah in Libano, di Sihran Wassan, un druso di vent'anni, un viso magro e timido, un funerale (a Rama, cittadina drusa della Galilea occidentale) affollato di gentiluomini in caffettano nero e cappello duro bianco, alla maniera religiosa, e di militari delle forze di sicurezza. Nella sua famiglia infatti (la famiglia drusa consta di decine e centinaia di membri) è tradizione servire, spesso come ufficiali, nelle rischiose unità di confine. Altre cronache: poche settimane fa, dalle montagne del Golan, oggi al centro dei colloqui nei rapporti Israele-Siria, una delegazione di 200 streik drusi ha marciato al di là del confine, ha raggiunto Damasco ed ha incontrato il presidente Hafez Assad, con cui ha scambiato reciproche dichiarazioni di simpatia e fedeltà. Infine: alla Knesset, la Camera dei deputati di Gerusalemme, il deputato druso del Likud (il partito conservatore) Assad Assad ha rivolto meno di una settimana fa una durissima requisitoria contro il governo, accusandolo di fare dei drusi cittadini di serie B, discriminati e mal rispettati nonostante una fedeltà che dura dal 1948. Da sinistra Saleh Tarif, deputato druso nelle file del Neretz, il partito radicale oggi al governo, scuoteva la testa. E tuttavia anche lui, come del resto testimoniano tanti suoi interventi, è un leader delle lotte dei drusi, ovunque si trovino a vivere la loro frazione di un'identità equilibrista e sempre a rischio. Allo stato attuale, i drusi che risiedono su territorio israeliano, 60 mila nei 17 villaggi del Carmel e della Galilea e circa 17 mila nel Golan di cui la maggiore cittadina è la gialla pietrosa Madjal Shams, da cui scorgi in lontananza il miraggio balenante di Damasco, dopo colline steppose e frutteti di meli, sono fratelli nella religione, nella tradizione e nella lacerazione. I drusi del Golan, a 25 anni dalla guerra che li fece ritrovare su suolo israeliano (erano meno di 10 mila a quei tempi) fronteggiano la prospettiva di tornare ad essere siriani. Un pugno di 180 famiglie israeliane che in questi anni hanno accettato la cittadinanza loro offerta è oggi in gravissima difficoltà: i prosiriani hanno preso il sopravvento, dichiarano a gran voce la loro appartenenza al Paese di Hafez Assad, riprendono il filo delle dimostrazioni che ebbero un vertice nel 1979, quando il governo dette segno di voler cambiare lo status delle alture del Golan da territori occupati a parte integrante dello Stato, e tentò di imporre la cittadinanza israeliana ai drusi del luogo. Si produsse allora una grande dimostrazione degli abitanti, e le sue emanazioni organizzative decisero di «perpetuare l'identità siriana insegnandola ai bambini insieme al diritto di ritorno alla madrepatria» e di «considerare perduta per chiunque accetti la cittadinanza israeliana il diritto alla cittadinanza siriana». L'Intifada ha, per contagiò e anche per diretti contatti fra drusi e palestinesi, reso più aggressivo l'irredentismo dei drusi siriani. Nel maggio '91 gli scontri con la polizia di frontiera sono divenuti terribili, innumerevoli i lanci di pietre e micidiali quelli di patate con l'anima di lama di rasoio. E' un po' surreale l'unanime riconoscimento degli enormi progressi economici e tecnici dei drusi della zona che «rispettano i meli come bambini» (così dicono di se stessi) e producono con l'aiuto degli israeliani i migliori frutti di tutto il Medio Oriente, e la nostalgia per la dittatura di Assad. Per esempio, Fawzi Abu Jabal, di 40 anni, un residente di Majdal Shams che ha passato dieci anni in carcere dopo una condanna per attività anti-israeliane e per contatti col nemico è fra quelli che spiegano che «è perfettamente naturale che il Golan torni alla Siria, di cui è un frammento. La pace dipende dalla disponibilità di Israele a restituire tutto, fino all'ultimo centimetro. Per me, tutto ciò che abbiamo fatto sotto il tallone israeliano, è stato fatto da cittadini siriani. Certo, siamo migliorati economicamente ma per i nostri sforzi personali. In Siria del resto la gente ha tutto il necessario a disposizione gratis: educazione e salute sono un diritto di ciascuno. Comunque non è il benessere l'elemento decisivo: è l'appartenenza nazionale. Io sono un druso siriano, un siriano leale alla Siria, e sempre lo sarò». «Io sono un druso israeliano da secoli. L'alleanza drusa con gli ebrei risale al fondamentale rapporto fra Jetro, il nostro profeta fondamentale, e Mose, di cui è stato il padre spirituale. La nostra alleanza attuale si radica addirittura nel sangue della guerra d'Indipendenza del 1948 e, prima, nell'Aliah, nell'emigrazione ebraica degli Anni 20-30». A Daliat el Carmel, Kamal Mansur ribadisce quietamente la sua appartenenza. «I nostri fratelli delle montagne del Golan sono invece siriani e hanno diritto a proclamarlo. Non mi sentirei mai di parlare al loro posto. Tuttavia, se posso permettermi, le voci dei filosiriani sono diventate molto più forti da quando si prevede che prima o poi quei territori torneranno alla Siria. Non sono sicuro che tutti quelli che ora proclamano la loro appartenenza nazionale siano così felici di questa prospettiva, ma è la loro realtà di domani. In un certo senso, Israele sta per abbandonarli. Che dovrebbero dire? Oltretutto, di là dal filo spinato, risiedono gran parte dei loro familiari. Infine, non hanno tutti i torti quando lamentano una posizione da cittadini di seconda classe. Solo l'anno scorso abbiamo ottenuto un budget per i comuni drusi eguale a quello dei comuni israeliani. Ed è stata una durissima battaglia». Un altro salotto ci attende nel villaggio di Usafija, ancora più vasto, più bello, intarsiato com'è di madreperle egiziane, il tavolo basso, carico di datteri, nocciole, dolci di miele che una signora tutta coperta di panni neri, ma il volto evoluto e sorridente, ci fa servire dal maggiore dei figli, Anan, di 18 anni. E' la casa di un professore di scienze botaniche, Fadel el Mansur, che è anche un grande notabile religioso. Nella bella residenza, che tuttavia sorge su un confuso pendio polveroso ignorante di ogni regola occidentale urbanistica, regna un'atmosfera di dolce dittatura patriarcale. Il vecchio padre di Fadel siede con noi. Anche lui, come il figlio, ha il capo rasato e i baffoni, la gabbana nera, il cappello alto e duro; il primogenito sta per andare nell'esercito, è un bel ragazzo dall'inglese perfetto, rossiccio di capelli, baffuto, un israeliano con fortissimo senso della sua identità drusa. Parla Fadel con carismatica quiete: «Serviamo nell'esercito obbligatoriamente dal 1956. Noi l'abbiamo voluto, per dimostrare la nostra lealtà e per far capire a fondo la nostra parità. Abbiamo dato 289 vite nelle guerre dal '48 in avanti. Non ci siamo tirati indietro (anche se, certo, i rapporti ne sono risultati peggiorati) quando Israele durante la guerra del Libano, nell'82, ha sostenuto i cristiani maroniti contro i nostri fratelli drusi di Jumblatt. Siamo pari, ma non siamo uguali. Io so che non sarò mai il direttore generale del ministero dell'Agricoltura. Né sarò (tanto meno!) ministro. Mio padre è nato sotto il mandato britannico; io sotto la regola militare della sicurezza che trattiene gli israeliani dal fidarsi completamente delle minoranze, e li rende spesso ingiusti e discriminatori. Non siamo rappresentati secondo i nostri meriti. I nostri soldati spesso vanno nell'esercito già sposati, perché da noi ci si sposa in giovane età, e nel frattempo viene loro preferita la manodopera arabo-israeliana, perché gli arabi sono liberi dal servizio militare obbligatorio. Alla fine dell'esercito, ci aspetta un tasso di disoccupazione pari al 13 per cento, con punte fino al 20. Poche strutture produttive, scuole di livello medio-basso. Certamente: gli israeliani ci hanno dato un tenore di vita mai sognato, alcuni uomini di buona volontà, come Begin o come Shulamit Alloni, hanno mostrato di capire a fondo. Ma l'atteggiamento resta sospettoso, i risultati sociali impari al nostro impegno e alla nostra cultura. Io ho sopportato molte difficoltà perché so com'era la vita prima degli israeliani. Ma mio figlio non lo sa. Lui non sopporterà neppure un millimetro di umiliazione». La religione dei drusi è segreta. Il professor Fadel el Mansur ce ne regala qualche goccia: la sua segretezza, spiega, è legata ad una scelta esoterica (compiuta in Egitto alla metà dell'XI secolo) che fa sì che oltre il Corano (prima fonte di provenienza), oltre la Bibbia, vi sia un autonomo libro interpretativo, l'Usdam; la sua chiave è l'illusorietà della vita biologica, e la reincarnazione. Gli uomini tornano solo uomini; le donne, donne; e forse anche i drusi drusi e gli ebrei ebrei; ma questo el Mansur non ce lo vuole chiarire fino in fondo. Un'etica di pulizia ma non di mitezza (i drusi sono guerrieri terribili) sovrintende alla vita quotidiana. E' proibito il matrimonio misto, proibito alle donne lavorare e comunque soggiornare fra gli uomini. Necessaria la compattezza; l'identità di gruppo, al di là di tutto. E' così che i drusi israeliani, libanesi e siriani, appartenenti a diversi eserciti con morti e strazi inesorabili in campo avverso, restano fratelli drusi. La loro religione non ammette proseliti, il loro destino è una chiusa ruota di eternità, un tutt'uno: «Siamo segreti perché se voi ne sapeste troppo - sorride el Mansur - vorreste entrare tutti a far parte della nostra comunità. Ma la porta è chiusa. Ci dispiace per voi». Fiamma Nirenstein Sono oltre 2 milioni, tra Israele e Siria, Libano e Giordania e non chiedono un loro Stato: «Siamo fra tutti ipiù vicini a Dio» Il druso Walid Jumblatt. A sinistra: una famiglia di drusi. In alto: veduta di Gerusalemme