«Andavamo alla Scala fra brividi e paillettes» di Camilla Cederna

«Andavamo alla Scala fra brividi e paillettes» Austerità alla «prima», la Cederna ricorda «Andavamo alla Scala fra brividi e paillettes» tTt] MILANO vk ON si fa in tempo a par- ■ lare di rigore, che subito ■ tutti pensano al contra*■ 11 rio, al fastoso appuntamento del 7 dicembre alla Scala. Ma il lusso della «prima» scaligera ha una vecchia tradizione, e a ricordarla con affetto è una persona che ha ereditato un palco da bambina, da una certa vecchia zia Camilla: «Ricordo quando andavo con le trecce e i nastrini bianchi in questo palco di proscenio, da dove si vedevano naturalmente tutti i trucchi, cosa che mi piaceva moltissimo. E io infantilmente m'innamoravo di quel bruttissimo tenore che si chiamava Pertile, e arrivava a cavallo del cigno nel Lohengrin». Signora Cederna, negli anni del boom economico la borghesia milanese che frequentava la Scala era una borghesia sobria, che non sprecava denaro. Ma anche allora il teatro dava un'immagine di grande sfarzo... «Certo. Sono più di cent'anni che il banco in chiesa, il palco alla Scala e la tomba al Monumentale sono i simboli di prestigio delle famiglie milanesi aristocratiche o altoborghesi. Il palco alla Scala era il più importante di tutti proprio per l'esibizione, il lusso. Ma il pubblico del teatro a poco a poco è cambiato seguendo l'evoluzione politica della città. Ecco, ricordo il ritorno di Toscanini nel maggio del '46, con il sindaco Greppi in grigio, Nenni in marrone, e un gruppo di militari alleati, qualcuno addirittura con la giacca sulle ginocchia e le maniche della camicia arrotolate. Allora le signore non avevano ancora tirato fuori i ventagli di piume, e i gioielli erano quasi tutti in cassaforte». Questo accadeva alla fine della guerra, ma dopo che accadde? Lei allora scriveva articoli in cui raccontava come si prepara una bellezza a una serata alla Scala. Cominci dal principio. «Dai vestiti vuole dire? Era il momento dei francesi, soprattutto di Dior. E le acconciature le facevano i due fratelli De Petris, che sono i miei parrucchieri, da cui si va ancora adesso. Sono un po' invecchiati, ma hanno ancora tutta la gente che conta. Ricordo gli smisurati brillanti della Robiolina, affettuosamente chiamata così dal nome del formaggio che aveva fatto la fortuna di questa signora Invernizzi. Ricordo la scollatura della marchesa Casati, finita uccisa dal marito geloso nella villa di Arcore». Chi era allora in cima alla piramide scaligera? «Le grandi famiglie borghesi ad alto reddito, cioè i Merzagora, i Falck, i Pirelli, Mondadori, Valerio, Feltrinelli, Bonomi, Targetti, Tofanelli, Castellini, e tutte le grandi dinastie ebree: bellissimi, in frac e im- peccabili. Le belle esordienti cominciavano a chiamarsi Lilli Chippi, Diamante, Selvaggia, Cocò». E gli snobbati, li ricorda? «I Riva per esempio. Ci fu un episodio legato a loro che fece passare un brivido sulla Scala, per paura di un embrionale centro-sinistra. Riva, si ricorda? Aveva case in via Montenapoleone e un bunker sotterraneo con i campi da tennis. Questo Giulio Riva a poco a poco si abitua al melodramma e dà feste da satrapo nella sua villa di Saronno. Si faceva fare la lista degli invitati da chi adorava i ricchi, anche quelli nuovi, e finì col conoscere tutta Milano. Ma una sera quando entra nel palco la nuora Luisella, molto bellina e sempre elegante, moglie di Felicino Riva che era suo figlio, si levano urla e insulti dal loggione, da cui piovono volantini di protesta delle sue maestranze, quelle del cotonificio Dell'Acqua, sull'orlo del fallimento». E dopo lo spettacolo che accadeva? «Si andava molto al Savini, e al Biffi Scala che era più intimo. Io però non amavo mangiare la cotoletta a mezzanotte. Grandi pranzi privati se ne facevano meno, data l'ora tarda». Ricorda se anche allora vi fossero cadute di stile? Che cosa era ritenuto volgare? «Le donne vestite in modo fiammeggiante, i vestiti di paillettes, che poi erano pericolosi... Ricordo che una sera una coppia di melomani adulteri s'incontrarono in un palco, naturalmente chiuso a chiave, e protetto da maschere gallonate. E durante il duetto d'amore del secondo atto del Tristano, un classico dell'erotismo con quella sconvolgente ripetitività e accelerazione finale... rimase per terra un tappeto di paillettes». La contestazione del '68 ha portato per qualche anno un po' di rigore? «Certamente, quel lancio di uova (Capanna ci teneva a dire che erano fresche e non marce) causò la fuga delle famiglie aristocratiche e reazionarie, contrarissime alla gestione del sovrintendente Paolo Grassi e ai concerti in data 25 aprile, con un conseguente massiccio imborghesimento del teatro». Livia Manera Abiti, acconciature, pettegolezzi e cadute di stile dal dopoguerra alla contestazione Abiti da gran sera nel foyer della Scala. Sopra Camilla Cederna, in alto la sala del teatro milanese

Luoghi citati: Arcore, Milano, Saronno