L'emigrante ebreo «Mi salvò un italiano» di Furio Colombo

L'emigrante ebreo «Mi salvò un italiano» INTANTO IN AMERICA L'emigrante ebreo «Mi salvò un italiano» ENEW YORK RA una riunione di italiani americani, all'Istituto Italiano di Cultura di New York. Una mano si alza, un uomo chiede di parlare. E' robusto, sanguigno. Piacerebbe a Scorsese per un film sul colore e la vita dei quartieri italiani. «Mi chiamo Israele Cohen», annuncia. Tutti si voltano. «Devo parlare italiano o inglese? Per me è lo stesso». Si guarda intorno. Si sente a casa e vuole farlo capire. Con l'istinto del narratore aspetta il silenzio e racconta. «Io non ero ancora nato. Mio padre era seduto sui nostri mobili (due sedie e una culla) nel porto di Istanbul. «Mio padre era deciso a emigrare, diceva che tutto il Mediterraneo sarebbe diventato un pericolo per noi. Noi eravamo gli ebrei di quella città, o almeno i più poveri. «Il nostro sogno, come il vostro, era l'America. Ma non c'erano navi su quel percorso, tranne i lussuosi piroscafi che non eravamo in grado di pagare. «Mio padre sapeva che c'erano "le navi degli emigran- ti", dei barconi italiani pieni di gente su cui si poteva saltare a bordo e fare il viaggio in coperta, pagando il passaggio ai marinai. «Dai miei ho sentito dire che abbiamo aspettato al porto quasi un mese, accampati sulla banchina. Non so perché le navi degli emigranti che andavano dall'Italia all'America facevano scalo a Istanbul. Quella che abbiamo visto arrivare era sovraccarica. Abbiamo dato ai marinai tutte le lire turche che avevamo e un anello. «Hanno spinto indietro la folla e ci hanno fatto salire con le nostre sedie, il nostro tappeto e la nostra culla. «Sul ponte non c'era posto. Mio padre si è appoggiato a un grosso pacco coperto da un lenzuolo. Non era un pacco, era una damigiana di vino e l'ha rotta. «E' esplosa una rissa a bor¬ do. Un uomo gli gridava in una lingua incomprensibile. Pare che gli abbia detto: "E adesso chi mi rida il mio vino?". «L'uomo era furibondo e mio padre vedeva il pericolo. Mi ha raccontato che lui e il suo nemico erano molto simili, tutti e due scuri, tutti e due coi baffi neri. E' stata una tempesta di parole e di gesti. Mio padre dice che non sa che cosa ha portato la pace, forse il freddo, forse la stanchezza e la paura. «Dice che non è vero che si cantava sui bastimenti. Si stava seduti giorno e notte, gli uni addosso agli altri, per trovare un po' di calore. «Due o tre giorni dopo mio padre e lo sconosciuto italiano hanno cominciato a parlare, ciascuno nella sua lingua. Uno ascoltava l'altro, tale e quale come se si capissero. Mio padre gli ha raccontato la storia della sua famiglia. L'italiano deve avergli raccontato la sua. Poi devono essersi detti che cosa andavano a fare, quale era il loro mestiere. E tutte le leggende dell'America che conoscevano». New York era in vista. Bagnati dal mare, stroncati dalla stanchezza tutti erano in piedi a guardare il miracolo. Solo allora Cohen padre è stato informato da uno che parlava turco. Per sbarcare bisognava dimostrare alla dogana di possedere 25 dollari per ogni persona. «A gesti l'italiano ha fatto capire a mio padre di mettersi in fila subito dietro di lui. Arrivato di fronte alle guardie, ha sventolato il pacchetto di soldi, glieli ha fatti contare. Poi sempre ridendo e parlando li ha ripresi, li ha passati indietro come un prestigiatore, e mio padre se li è trovati fra le mani. «Ha potuto mostrarli. Li ha restituiti. Si sono abbracciati e non si sono mai più visti nella vita. Ma io ho imparato l'italiano e l'ho insegnato ai miei figli. Così sono diventato americano». Furio Colombo

Persone citate: Cohen, Israele Cohen, Scorsese

Luoghi citati: America, Istanbul, Italia, New York