«Vada per un mese volontario» di Maurizio Costanzo
«Vada per un mese volontario» Molte lettere dopo la provocazione di Costanzo: «Il Cottolengo è un ghetto» «Vada per un mese volontario» Tante voci di solidarietà, poche a favore Prima le telefonate, poi le lettere. Indignate le voci e gli scritti per il giudizio dato da Maurizio Costanzo nel corso della sua trasmissione televisiva, sul Cottolengo. Un botto d'autunno mal digerito dai torinesi. E' seguita una prima risposta risentita da parte di autorevoli lettori: il cardinale Saldarini, il sindaco Cattaneo, l'amministratore della Fiat, Romiti, l'ex sindaco Novelli, lo scrittore Ceronetti, don Ciotti, e tanti altri. Ognuno ha dato il proprio contributo di sostegno al Cottolengo, ognuno ha ricordato lo «spirito» che anima gli operatori che dentro il «perimetro del miracolo» dalle parti di corso Regina Margherita da oltre un secolo e mezzo aiuta con amore e dedizione i più infelici, gli emarginati, quelli che nessuno vuole. E se nessuno li vuole non è soltanto per indifferenza o egoismo. Le ragioni sono le più disparate e disperate: vecchi non più autosufficienti, ragazzi privi della benché minima autonomia, infelici che, tra le buone suore, i fratelli cottolenghini e i volontari che arrivano da ogni parte del mondo ed in ogni stagione, vengono assistiti e curati come nessuno immagina né saprebbe meglio. Bisogna poi aggiungere che i servizi del Cottolengo comprendono anche l'ospedale e la distribuzione gratuita di pasti a circa quattrocento bisognosi. Poi sono venute le lettere, numerose. La maggioranza esprime disappunto per le dichiarazioni di Costanzo che alcuni giorni dopo la trasmissione ha precisato sul nostro giornale il senso della sua «provocazione». Alcune spiegano che la realtà del Cottolengo non è solo «amore» e «dedizione» e condividono l'intervento di Costanzo chiedendo che siano le istituzioni pubbliche a farsi carico in modo diverso e meno «ghettizzante» dei portatori di handicap. Crediamo sia nostro dovere pubblicare, seppure in stralcio, i diversi punti di vista. Pier Paolo Benedetto «E' un ghetto. Apriamo le porte, facciamo uscire quegli infelici. E la gente smetta di tranquillizzare la coscienza con l'elemosina». Questa la «provocazione» di Costanzo. Un mondo a parte «Sì, se intendiamo un mondo a parte, ma nella fatale latitanza delle strutture pubbliche, ve ne fossero ben più di questi«mondi a parte» dove reietti e sofferenti vengono restituiti alla loro dignità umana, curati, assistiti non solo con amore eroico ma con efficienza tecnica. A Costanzo un invito: rinunci per un mese alle laute prebende e faccia un uguale periodo di volontariato presso la Piccola Casa». Marco pavera, docente di filosofia della Religione Torino «E' un mondo che esiste perché nessuno si prenderebbe a carico certe infermità. Adotti Costanzo qualcuno di ' quei bambini che vorrebbe veder sorridere in mezzo a noi. Anziché giudicare, operi come fanno tanti, con umiltà e in silenzio». Bianca, Torino «Le battaglie per l'integrazione (e non solo l'inserimento) nella vita sociale e nelle strutture pubbliche le facciamo in tanti, Cottolengo compreso». Daniela Vaschetto, Torino «In punta di piedi si deve entrare nella Piccola Casa e respirare a pieni polmoni, la grande carità di Cristo. E poi stia certo, Costanzo che i bimbi del Cottolengo sorridono eccome». Clarissa Musso, Torino «Come militare ho visitato la Piccola Casa e ho provato indimenticabili momenti di forti emozioni mescolati a disagio e dolore. Se anche Costanzo avesse visitato il Cottolengo non avrebbe mai pronunciato quelle parole». Mario Giordanengo, Torino «Costanzo, perché non va lì un mesetto a imboccare, pulire escrementi e vomiti, a sentire lamenti, a vedere, tutto, tutto. Sarebbe una buona esperienza: rnigliorebbe non dico la sua cultura dell'umano ma forse l'u- manità della sua cultura». Milena Morini, Mirano - VE «Chi riesce a finire i suoi giorni in quel grande complesso, è fortunato, ripeto . fortunato, poiché l'ordine, la pulizia e la pace regnano ovunque e le Sorelle si prodigano senza sosta». Maria Robba, Torino «Chi si prenderebbe cura di questi bambini con l'amore di cui comunque godono e che è il seme del loro sorriso. Lo Stato?». Gisella Viero, Torino «Dopo aver visitato il Cottolengo due sono i sentimenti che emergono: o la paura di non sopportare la visita di tanto dolore, oppure la gratitudine perché si vede che c'è ancora tanta gente che offre la propria vita per salvarne altre». Paola Tironi, Torino «Sono stata ricoverata per cure in questo ospedale e ho trovato medici e personale che sono da ammirare ed elogiare per la loro abnegazione. Ho potuto vedere tanti handicappati trattati con amore e tenerezza da destare commozione». Renza Chiaramello, Torino «Ringrazino il cielo, società politiche come la nostra che ci sono ancora, in mezzo a noi, i Cottolenghi». Benito Zucchetti, medico, Torino «Sono stato ricoverato al Cottolengo alcuni giorni e ho potuto constatarne la grande efficienza. Ricordo la professionalità del primario, la generosità e la sicurezza delle suore, la cortesia e grazia del personale in¬ fermieristico. Vorrei che in Italia, cliniche ospedali ed istituzioni pubbliche e private funzionassero con uguale onestà, capacità, serietà e carità». Nino Cavallotti, Torino «Tra le tante istituzioni che sono allo sfascio, questa funziona bene, perciò lasciamo che vada avanti.' Ho avuto l'esperienza di un ricovero alcuni mesi fa e posso dire che quello è un ospedale modello. Tutto il complesso che assiste migliaia di persone è l'opera più degna non solo della nostra città ma anche d'Italia». Maria Rosa Catapane, Torino I volontari «Siamo volontari del Cottolengo e non ci sentiamo di lasciar passare sotto silenzio l'offesa per le dichiarazioni di Costanzo. Evidentemente egli non conosce la sofferenza che bussa quotidianamente e con intensità a quelle porte. Per l'ammalato povero e solo, per l'handicappato con quoziente di intelligenza zero, per i non autosufficienti che costituirebbero per i loro cari un peso insostenibile è un privilegio poter essere inseriti in una nuova famiglia, che non fa loro mancare affetto, assistenza giorno e notte, rispetto. Non ghetto ma oasi di serenità a cui sovente i volontari stessi attingono forza per superare le asperità della vita. I «mostri» vivono fuori da quelle mura». Seguono undici firme di volontari di Biella «Mia madre era volontaria al Cottolengo mio fratello pure ed i suoi figli fanno lo stesso. Ho letto la lettera di precisazione del signor Costanzo e credo che abbia cercato di mettere una pezza e a capovolgere i fatti. L'intolleranza di cui accusa là società non c'entra; gli ospiti del Cottolengo non sono "diversi". Il Cottolengo funziona grazie al volontariato e alla generosità della gente. Costanzo lo visiti: il Cottolengo è l'unica cosa che funzioni». Martuccio. Massaglia, Taranto «Non tutti purtroppo riescono a capire quanto vale il Cottolengo. Noi conosciamo persone che passano diversi giorni della settimana come volontari nelle corsie dell'ospedale. Una di queste ha anche organizzato un concerto al Regio che ripeterà il 15 novembre prossimo. Sempre con lo stesso scopo: donare un po' d'amore alla Piccola Casa. Speriamo, che i torinesi accorrano numerosi». Amiche del Lingotto, Torino «Siamo due volontarie da otto anni ÉflCottblengo di Dtìcenta (Ce). Da lei, signor Costanzo, "paladino" dei diritti umani non ce la saremmo aspettata. La realtà che abbiamo conosciuto è diversa. Il problema è complesso e va chiarito. Le possiamo garantire che soprattutto le suore ed i fratelli cottolenghini sarebbero lietissimi se i loro ospiti potessero essere iiiseriti in famiglie e quindi nella società. Ma nella maggior parte dei casi è impossibile. E allora ben venga un istituto come il Cottolengo. Agli occhi degli altri accudire i poveri ed i mostri può apparire un gesto eroico ma i nostri amati "amici" sono le persone più belle, più pulite ed innocenti che si possa immaginare, le quali in cambio delle poche ore che dedichiamo loro ci donano una carica di vita, un'iniezione di fiducia indescrivibile». Amalia Danzi e Antonella Abbate, Aversa Dalla parte di Costanzo «Sono il genitore di una ragazza handicappata psichica e vorrei spezzare una lancia a favore della tesi che gli istituti siano essi laici o religiosi dovrebbero gradualmente passare la competenza della cura e dell'assistenza a coloro che le vigenti leggi dello Stato dispongono che se ne debbano fare carico. Può darsi che l'amore non fabbrichi ghetti ma posso dire per conoscenza diretta che qualunque istituto pur bello dà pur sempre un senso di costrizione o quantomeno di emarginazione. Ci possono essere soluzioni alternative. Una: io e mia moglie abbiamo stipulato con il Comune un atto di donazione del nostro alloggio con l'impegno che esso venga utilizzato come comunità per handicappati dove potranno essere accolti con nostra figlia altri soggetti». Carlo Sessano, Torino «Mettere in evidenza che l'esistenza di una struttura come il Cottolengo è da preservare e difendere, sa tanto di difesa di «statu quo». E' vero invece che l'impegno delle associazioni che si occupano di questi problemi ha dimostrato che, laddove sorgono servizi, i genitori preferiscono tenere con sé i loro congiunti. Le esperienze dei centri socio-terapeutici e delle comunità alloggio sono valide testimonianze che i tempi cambiano». Utim, Torino «Ho 47 anni; appena nato a causa del mio handicap e di una cultura emarginante che ha spinto mia madre a sbarazzarsi di me, sono stato rinchiuso al Cottolengo per ben 35 anni. Qui, l'ideologia che ci veniva inculcata era quella secondo la quale noi dovevamo espiare i peccati altrui. Il farci credere che noi rappresentiamo il disegno di Dio significa uccidere la nostra capacità di ragionare sulla condizione in cui viviamo. Da undici anni vivo in un alloggio insieme al mio amico Piero anche lui handicappato grave, affrontando quotidianamente i problemi di tutte le persone. Ho costruito rapporti sociali e affettivi come una qualsiasi persona "cosiddetta normale". La mia crescita sarebbe risultata impossibile se avessi continuato a vivere in un istituto protetto». Roberto Tarditi, Torino Una mostra fotografica per conoscere i mille volti della sofferenza La mostra «Compagni di viaggio silenziosi» dal 5 al 30 novembre in via Maria Vittoria 5
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