Galileo, padre snaturato

Galileo, padre snaturato Mentre la Chiesa lo riabilita, dalle lettere di Celeste, la figlia monaca, emerge il suo lato oscuro Galileo, padre snaturato Seppellì in convento le bambine ~7n~| 0NCUBIN0 egoista, patì dre snaturato, carceriere I delle figlie ingombranti I i per la sua libertà e la sua SAI ambizione. E' il pessimo ritratto del Galileo Galilei privato: mentre la Chiesa, dopo quattrocento anni, si appresta a cancellare la condanna del Sant'Uffizio, a chiedere scusa, a riabilitare il genio, l'uomo riceve un colpo durissimo dalla figlia Celeste. Oggi Giovanni Paolo II parlerà dello scienziato a chiusura dei lavori della commissione che ne ha riesaminato la vicenda. Ma contemporaneamente stanno andando in libreria le Lettere al padre di suor Celeste Galilei, che Giuseppe Marcenaro ha riscoperto e ha curato per le edizioni Ecig di Genova (erano state pubblicate alla fine del secolo scorso). Sono lettere che condannano l'egoismo privato del grande uomo di scienza. La figlia, in dieci anni di scritti (fra il 10 maggio 1623 e il 10 dicembre 1633) si mostra tenera, affettuosa, rispettosa, generosa. Ma dietro si vede chiaro il dramma. Lo ha colto bene Giovanni Ansaldo in uno scritto del 1927 che esce solo ora dai suoi cassetti e appare come prefazione al volume: un saggio ironico, talora sarcastico, ma documentato. Ecco Galilei che approda a Padova, nel 1592, a 28 anni. Vorrebbe prender moglie, ma non ha intenzione di andarsi a raccontare in un confessionale. Perciò convince la «giovane e costumata» Maria Gamba a una convivenza che lasci fuori panche e pratiche religiose. Le vieta di frequentare preti e messe, in cambio promette di mantenere per tutta la vita lei e la sua prole. Dopo Vincenzo, nascono nel 1602 Polissena (poi suor Maria Celeste) e nel 1604 Virginia (poi suor Arcangela). Lo scienziato si guarda bene dal riconoscerle e si premura di farle registrare figlie «di padre incerto». Quando decide di tornare a Firenze, trova un sostituto alla sua donna e la sistema con «un toscano di nome Bartoluzzi, intendente in casa Dolfini», a lui «bene accetto». Quelle creature rimangono un bell'impiccio. Scrive Ansaldo: «Le due figlie gli stanno sulle braccia. Sono due bambine ancora. Ma egli pensa di chiuderle, a buon conto, in convento. Comincia a scrivere e sollecitare amici fiorentini, perché trovassero un convento che accogliesse le due bastardine: tratta per chiuderle alle Nunziatine, ma non le vogliono; e dopo lunghi contrasti, nel 1613, riesce a chiuderle nel convento di San Matteo in Arcetri, di dove non dovevano più uscire». E' il 1613. Celeste ha 11 anni, Virginia 9. Il clero stesso avanza dubbi di fronte all'età delle bambine, ma Galileo riesce a sbarazzarsene. Annota Ansaldo: «Come mai il libero pensatore, il nemico del matrimonio sacramentale e della educazione religiosa, si è deciso a chiudere le sue figlie in convento? Galileo ha di meglio da fare, che tirare su due bambine; ha le sue esperienze, le sue ri¬ cerche, ha il principino Ferdinando da istruire, ha la carica di filosofo mediceo da disimpegnare». E poi gesuiti, teologi, peripatetici, il Granduca, il cardinale Bellarmino, il Papa, e «ha da sostenere le proprie dottrine». Celeste continua ad amarlo anche dalla sua «prigione», in pieno rispetto delle decisioni paterne: «Per non la infastidire di troppo farò fine, salutandola affettuosamente insieme con suor Arcangela e l'altre di camera». Dove suor Aracangela è la sorella. I sentimenti sono sempre frammisti alla concretezza: «Ricevemmo i poponi e' cocomeri buonissimi, e ne la ringraziamo». Mai dimentica la gratitudine: «Gli avevo domandato dieci braccia di roba con intenzione che pigliassi rovescio stretto e non questo panno di tanta spesa e così largo e bello, quale sarà più che abbastanza per farne le camiciuole». Racconta la quotidianità misera del convento: la monaca folle che riempie le notti con urla e tentativi di suicidio, i trentasei scudi pagati per aver la cella, il vitto sciagurato: «Solo gli dirò che la provisione che ci dà il monastero è di pane assai cattivo, di carne di bue e di vino che va in fortezza; io mi godo il suo. del quale ne ho ancora un fiasco e mezzo, e non me ne fa di bisogno per ancora, perché bevo pochissimo»). Si interessa alle vicende del padre: dalla lettera del Papa alla condanna del Sant'Uffizio. Ma pesano sempre l'assenza di lui, le scarse visite, le poche missive. E' una cantilena tenera: «L'aver V.S. lasciato li giorni passati di venir a visitarne sarebbe bastante a causar in me qualche timore che è forse in parte diminuito l'amore che grandissimo ne ha sempre dimostrato». Oppure: «Credo veramente che l'amore paterno dei figli possa in parte diminuirsi mediante i mali costumi e portamenti loro; e questa mia credenza vien confermata da qualche indizio che me ne dà V.S. parendomi che più presto vadia in qualche parte scemando quel cordiale affetto che per l'addietro ha inverso di noi dimostrato; poiché sta tre mesi per volta senza venire a visitarne, che a noi paion tre anni, ed anco da un pezzo in qua, mentre però si ritrova con sanità, non mi scrive mai mai un verso». Finché la tristezza la rende più ardita: «Essendo io stata tanto senza scriverli (meno d'un mese, ndr), V.S. potrebbe facilmente giudicare ch'io avessi dimenticato sì come potrei io sospettare ch'Ella avesse smarrito la strada per venir a visitarmi, poiché è tanto tempo che non ha per essa camminato». L'immagine di padre snaturato vien fuori proprio dal misto di rispetto, affetto, gratitudine della giovane. Annota Ansaldo: «Non si riceve impressione di tetraggine scorrendo l'epistolario. Ma impressione di tristezza rassegnata». Celeste chiede poco, il 22 marzo 1629 lo prega di spedire due breviari con i quali sostituire quelli che lei e Virginia portarono con sé quando entrarono in convento: l'uso li ha sgualciti. Galileo è preso dai massimi sistemi, «deve regolare il corso dei pianeti», deve decidere fra Copernico e Tolomeo. Così le visite si diradano, le lettere tardano. E da quelle di lei trasuda altra amorosa rassegnazione. Il 5 aprile 1634 la giovane suora muore. Ha trent'anni. Galilei dirà che l'aveva amata «molto» e che la morte lo lasciò in «estrema afflizione». Ma quei dieci anni di costante richiesta d'affetto lasciano l'immagine di due figlie sacrificate all'ambizione scientifica, ai numeri e ai pianeti. Marco Neirotti Oggi il Papa parla di lui: verrà cancellata la condanna. Ma la vita privata non era certo esemplare Galilei. La figlia e morì e 1634. re dirà amata molto» quella mparsa asciato strema izione» Galileo Galilei. La figlia Celeste morì il S aprile 1634. Il padre dirà di averla amata «molto» e che quella scomparsa l'aveva lasciato in «estrema afflizione» Giovanni Paolo II ha istituito una commissione pontificia per riesaminare la condanna emanata 400 anni fa dal Sant'Uffizio

Luoghi citati: Firenze, Padova, Virginia