Crovi, un poeta a Piazza del Gesù di Liliana MadeoRaffaele Crovi

Crovi, un poeta a Piazza del Gesù INTELLETTUALI E PARTITI Crovi, un poeta a Piazza del Gesù «Ma voglio lavorare, non sarò una firma di lusso» SROMA CUSI, Crovi, ma chi glielo fa fare a entrare nello staff di Martinazzoli? Lei è romanziere, poeta, editore. Perché fare il responsabile del dipartimento cultura della de? «Come cittadino non mi piace la situazione italiana dove, al di là delle proteste, non vedo nessuna iniziativa propositiva. Penso che va cambiata la politica culturale fin qui seguita dai partiti e che deve finire questa nevrosi di una cultura esibita, velleitaria, gridata. Io non so che cosa mi sarà chiesto. So che mi interessa lavorare, per individuare i problemi, vedere se in qualche modo si può capire meglio il Paese e uscire da una situazione di sfascio preoccupante». A fianco di Martinazzoli? «Ho sempre considerato Martinazzoli l'intelligenza più rigorosa della de, l'uomo che avrebbe dovuto fare il segre- tario. Quattro anni fa gli avevo proposto di scrivere per la mia casa editrice, Camunia, un libro su "le regole della politica". Lui si disse interessato, ma si chiedeva se era all'altezza, se ne valeva la pena... Il libro non è nato, ma la nostra stima reciproca si è consolidata. Ora sono stato contattato per studiare, scoprire le priorità culturali delle singole aree nel quadro di un progetto complessivo di cambiamento. Il disegno delle grandi riforme per cambiare il rapporto società e partiti, società e istituzioni, lo condivido. Se vedi il cardinale Martini e Martinazzoli come un punto di riferimento, e se vivi in quest'area, in quest'area devi starci». E lei che cosa vuole fare? «Lavorare in gruppo, in modo aperto, consultando tutte le possibili rappresentanze sociali. Andare a vedere, con altri, che tipi di programmi culturali servono. Penso che va¬ dano individuate, provincia per provincia, le esigenze concrete della comunità. La cultura non è insieme di idee, confronto di ideologie. Né, come finora i politici l'hanno pensata, iniziative gratificanti, mecenatismo spicciolo. Fare cultura significa aiutare a vivere meglio, a fare meglio il proprio mestiere. Se qualcuno recepirà qualcuna di queste idee, potrei essere contento». Ma lei con i Gava, gli Andreotti, che cosa ha in comune? Come potrà stare al loro stesso tavolo di lavoro? «Se ho ben capito, a questo tavolo loro non siederanno. Io stesso non so se sarò chiamato a questo tavolo. Non ci andrò comunque, se capirò che la mia nomina è solo formale, una griffe o un attestato di stima. E mi ritirerò subito, se le linee progettuali del segretario non risponderanno alla mia posizione, se la pista del sondaggio e del dubbio non sarà percorribile. Ho una certa tendenza a fare buon uso della pratica delle dimissioni». Lei ha già lavorato per la de, non le è bastato? «L'autoritarismo culturale è stato sperimentato in tutti i partiti. Non mi piace. Per questo sono uscito dalla politica attiva nel '60. Dal '54 facevo parte della giunta nazionale dei giovani democristiani. Mi occupavo di cultura. Poi ho fatto parte del comitato direttivo del dipartimento cultura durante la segreteria De Mita, e me ne sono andato. Gli impedimenti venivano dalla stessa de, che non è mai stata interessata a una ricerca di campo che significava anche cambiamento, rottura con le vecchie logiche». E oggi? «La cosa che ha offeso la mia dignità di cittadino e uomo di cultura è stata la trasformazione della politica in tecnica di spartizione del potere. Una strategia e una pratica che incominciano a essere smantellate. Io la buona volontà per contribuire a questo processo ce la metto tutta». Liliana Madeo Raffaele Crovi

Persone citate: Andreotti, Crovi, De Mita, Gava, Martinazzoli