«Noi italiani siamo tutti terroni» di Gianni Brera

«Noi italiani siamo tutti terroni» TRA SPORT E POLITICA «Noi italiani siamo tutti terroni» Brera: non sono filoleghista ma «lombardista» TMILANO ERRONE è l'italiano. Anzi, l'italiota, detto alla greca. Non dimentico che Italia vuol dire madre dei vitelli. L'Italia è dunque una vacca». Ancora: «Bossi s'è comportato bene su questa storia del manifesto trentino contro i terroni. Mi sarei sdegnato anch'io. Non ammiro molto Bossi, ma riconosco in lui un'efficacia politica stradarla». Gianni Brera si aggiusta la spalla fasciata («mi son rotto sabato il collo chirurgico dell'omero sinistro andando a caccia di anatre e beccaccine»), solleva un bicchiere di bonarda pavese («medio proporzionale fra la ciurlino, emiliana, cioè la pisciarella de! lambnisco, e il vino severo dei piemontesi»), brandisce un toscano e scioglie la lingua per intervenire sull'ultimo infortunio della Lega Nord. Perché Brera? Perché il più celebre scrittore italiano di sport interpreta lo sport come gioco di forze anatomiche e razziali. Il calcio sarà pure un mistero agonistico protetto dalla dea Eupalla, come dice lui, ma l'altezza e le ossa e i muscoli dei giocatori sono decisivi. Gli italiani per lui non possono che fare Davide contro Golia: difendersi e fiondare in contropiede. Perché dice che il terrone si identifica con l'italiano? «La terroneria è categoria dello spirito, valutazione psicofisica e civile. L'italiano è gente indolente, cialtrona, rodomontesca e paurosa». Come è arrivato a questa conclusione? «Quando andai con gli stivali rigidi e la divisa diagonale a Barletta nel '41 per comandare un plotone di Arditi ed Esploratori, presentai domanda di fare il paracadutista e un maggiore, un notaio mite della lucana Venosa, mi disse: "Brera, siete nu bravo guaglione, perché ci andate? Quelli là, i fascisti al pote¬ re, non lo meritano". Faceva il doppiogioco con perfetta naturalezza. Io stesso ero antifascista ma scrivevo sul Popolo d'Italia di Mussolini. Tutti avevamo una doppia anima. Terroni siamo... Lungo la ferrovia che scendeva da Ancona mi accompagnava lo sciabordio del mare e in Puglia comincio a vagare: chi sono i pugliesi? Apuli, Dauri, Greci, Epiroti, Albanesi, Illiri...». La parola «italiano» che cosa le evoca in definitiva? «Un pot-pourri, un etnos composito. Per cui a chi mi dice che sono razzista rispondo che è un imbecille. Me lo ha detto il signor Saverio Vcrtone. Per gli italiani che non hanno razza, quando uno parla di etnie è un razzista. Razzista è chi si considera il più bello e il più colto. Io, avendo coscienza di cos'è l'Italia, mi guardo bene dall'esserlo. La terroneria, la terronidad, è conseguenza di tutti i nostri malandari (da male andare). Il nordico d'Europa sì che è razzialmente superiore ed è razzista, stando seduto in punta di chiappe nei bar d'Europa a farsi ammirare». Lei ha detto che non ammira Bossi. Le idee della Lega Nord come le considera? «Tutti mi dicono: "Vai nella Lega". Mio cugino, che è ricco, mi offriva di pagare le spese per le elezioni. Ma io non faccio il leghista perché sono stufo di fare l'italiano, cioè di fare il doppiogioco come l'ho fatto nel '41, nel '42 e nel '43. Io ho un direttore di giornale che si chiama Scalfari e che è un calabrese nato a Civitavecchia e cresciuto a San Remo. Posso fare il leghista di fronte a uno come Scalfari che mi dà 300 lire, cioè 300 milioni all'anno? Il tradire è endemico negli italiani-terroni. Io ho 73 anni e cerco di essere coerente almeno da vecchio. Per fare il leghista dovrei essere libero da impegni con il signor Scalfari e con la signora Repubblica». Questo vuol dire che se un quotidiano filoleghista le desse di più, aderirebbe? «Non lo so. Certo io sono lombardista: continuo a parlare della Lombardia per consolarmi d'essere italiano, riconosco il primato lombardo di attitudini lavorative, produttive, civili. Dal 1000 al 1500 siamo stati il Paese più ricco del mondo». Lei non aderisce alla Lega. Dà un'adesione ideale? «Gliela dò, purché la Lega non offenda gli altri italiani». E' d'accordo con il senatore Miglio e con la sua visione di una Padania felix ancorata alla Germania? «Miglio non titilla il mio lombardismo. Io ho letto per davvero Cattaneo e ne sono stato seguace. Ma fino a un certo punto. Cattaneo preferiva restare nell'impero austriaco perché lì saremmo diventati i primi. Ma a noi mancava la cultura degli austriaci e dei tedeschi. Il signor Bismarck aveva detto che gli austriaci sono l'anello di congiunzione fra l'animale e l'uomo. L'uomo sarebbe il tedesco e l'animale l'italiano. Mi sono ribellato. E ho superato Cattaneo: sto coi piemontesi perché da loro mi viene tesa una mano come a un loro simile». Lei si è presentato in liste elettorali col psi. Si candiderebbe ancora con loro? «Mi sono candidato anche con i radicali. Mai eletto... Sono di sinistra, ma non vado con il pds. Questi partiti hanno fermato Milano e dunque l'Italia. Sono disperato. Gente che mai avrei supposto rubasse, ha rubato. Ero paterno amico di Tognoli: è scomparso. Ero amico di Pillitteri: non lo vedo più. Martelli era assistente del filosofo Banfi, è un culto: gli auguro di reinventare il suo partito... Ero socialista. Non sono niente». Claudio Altarocca Il giornalista Gianni Brera