La coca dei boss viaggiava col pesce di Giovanni Bianconi

La coca dei boss viaggiava col pesce Il traffico scoperto per caso a Livorno, tonni e gamberi erano avariati La coca dei boss viaggiava col pesce Dai narcos500 chili al mese ROMA. Quando il carico di pesce surgelato arrivò a Livorno, il gioco sembrava fatto. Dalla motonave Cinta, battente bandiera ecuadoriana, dovevano essere scaricati e sdoganati due container: in uno c'erano 11.703 chili di gamberi sgusciati, in un altro una quantità imprecisata di tonni. Gli emissari di Cosa Nostra non s'aspettavano certo che tutto venisse bloccato dall'ufficio d'igiene con un improvviso blitz. E invece ecco l'inconveniente, determinante per il fallimento dell'operazione: con tanto di timbri e certificati i responsabili di Livorno dissero che quel pesce non poteva entrare in Italia; l'acquisto di gamberi sgusciati dall'Ecuador è vietato, e i tonni avevano un coefficiente di mercurio superiore alla media consentita nel nostro Paese. «E adesso?». Per gli uomini dell'organizzazione il problema non era certo il pesce, ma i 526 chili di cocaina nascosti accuratamente nei doppifondi delle pareti dei container, a stretto contatto con il pesce. A quel punto bisognava trovare un'altra via d'uscita, e stavolta l'offrivano le vittime della guerra in Croazia. Un emissario, Pietro Marino, si presenta a Livorno, dice di essere un funzionario del ministero degli Esteri responsabile degli aiuti umanitari per i Paesi coinvolti nella guerra dell'ex Jugoslavia. I funzionari della dogana di Livorno vengono convinti a far transitare il carico di pesce dall'Italia, destinazione Trieste: gamberi e tonni verranno consegnati successivamente ai profughi croati. Arriva l'ok, ma il trasporto in camion dei due container sarà più lungo del previsto. Da Livorno, prima di arrivare al valico di Fernetti con la ex Jugoslavia, si fa tappa a Roma. Qui, in un garage della periferia, arriva un signore che, armato degli strumenti del mestiere, apre i pannelli, estrae la cocaina e richiude tutto. Nel frattempo gamberi e tonni sono diventati merce avariata, ma ai responsabili del traffico questo non importa. Ricaricato il tutto sui camion, il pesce riprende la via della Croazia e verrà effettivamente consegnato ai profughi. La droga invece viene spartita fra romani e palermitani: poco meno di 200 chili restano nella capitale, il resto viene spedito in Sicilia. Questa operazione, avvenuta nel giugno scorso, è stata scoperta grazie alle confessioni di Bettein Martens, la bionda olandese arrestata un mese fa nell'operazione «Green Ice», e alle indagini condotte dal Servizio centrale operativo della polizia e dalla Squadra mobile romana. E' uno dei cardini della seconda parte di «Green Ice», che nei giorni scorsi ha portato all'arresto di altre dodici persone richiesto dai tre sostituti procuratori della Repubblica di Roma Ionta, Palma e De Siervo. Altri ventisei ordini di custodia cautelare sono stati notifcati ad altrettanti detenuti arrestati un mese fa, mentre cinque persone risultano latitanti e sono tuttora ricercate in Colombia. Tra i responsabili dell'operazione «pesce surgelato» sono finiti in carcere i destinatari della droga, i titolari delle so¬ cietà di import-export coinvolte, quelli della ditta di trasporto e gli autisti dei camion. In Sicilia sono finiti in manette tre membri della famiglia Cangemi di Partinico, il padre Angelo e i figli Antonio e Francesco; nell'organigramma di Cosa Nostra sono considerati bracci dei «corleonesi». Viste le complicazioni verificatesi nell'arrivo del primo carico, i trafficanti di droga colombiani hanno deciso a settembre di gestire in proprio una seconda spedizione di cocaina in Italia. Ma non hanno avuto miglior fortuna: la nave con trecento chili di polvere bianca è stata bloccata e se¬ questrata direttamente nel porto di Cartagena, in Colombia. E non è tutto. Come fanno le case farmaceutiche, gli uomini del «cartello» colombiano mandano in giro per il mondo vari campioni della droga che poi mettono sul mercato. E' così che tre chili di cocaina pura al 98 per cento (un coefficiente elevatissimo, che permette di duplicare o triplicare le possibilità di «taglio» e quindi di guadagano) sono arrivati in Italia nascosti in libri di storia dell'arte debitamente sventrati all'interno e riempiti di droga, a sua volta nascosta in carta assorbente imbevuta di inchiostro per passare il controllo dei cani-poliziotto. Il destinatario del campione di cocaina, Efisio Marcialis, è stato arrestato, così come i responsabili di una ditta, l'Interdibipak di Rho, in provincia di Milano. L'azienda, specializzata nella spedizione di macchinari per l'imballaggio, impacchettava le banconote italiane con cui veniva pagata la droga e le spediva in Colombia. L'organizzazione sgominata era in grado di far arrivare in Italia circa cinquecento chili di cocaina al mese, valore di mercato cento miliardi di lire. Giovanni Bianconi I corleonesi per recuperare la droga hanno tentato di dirottare il carico in Croazia, come «aiuto umanitario» Il capo della Mobile romana Nicola Cavaliere durante la conferenza stampa. Quindici gli arrestati, a sinistra la cattura di Davide Retazzi a Milano

Persone citate: Cangemi, Davide Retazzi, De Siervo, Efisio Marcialis, Green, Ionta, Martens, Nicola Cavaliere