Il Canada, un Paese da rifare di Paolo Passarini
Il Canada, un Paese da rifare Rivolta contro il governo centrale, sei province su 10 bocciano la riforma Il Canada, un Paese da rifare Bandiere autonomiste sventolano a Montreal WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Una schiacciante maggioranza di canadesi ha bocciato la riforma costituzionale sottoposta lunedì scorso a referendum popolare. Ben sei delle dieci province hanno rigettato, per ragioni opposte, il «compromesso di Charlottetown», salutato come una svolta storica dai politici e dal 60% degli elettori quando, il 28 agosto scorso, venne raggiunto nell'omonima cittadina dell'isola Prince Edward. Ma, negli ultimi due mesi, il vento era cambiato e i sondaggi avevano puntualmente anticipato l'esito del voto. «C'è stata una rivolta populista - ha osservato un politico di Montreal solo che, in genere, le rivolte populiste avvengono in favore di un cambiamento, mentre questa propugna il mantenimento dello statu quo, il che è tipicamente canadese». La rivoluzione autonomista che il «compromesso» offriva è cancellata per sempre. Nel Quebec, lo sventolio delle bandiere separatiste saluta la sconfitta del «compromesso» e annuncia rischi di disgregazione nazionale. Deluse e addolorate, le minoranze indiana e esquimese accusano i canadesi bianchi di aver riportato la loro condizione indietro di 125 anni. Da più parti vengono reclamate le dimissioni del primo ministro Brian Mulroney, che, se riuscirà a salvarsi, lo farà solo grazie alla promessa di elezioni anticipate entro sei mesi. Circa il 56% dei canadesi recatisi alle urne si sono espressi per il «no», in una consultazione a basso assenteismo, in cui ha votato il 72% dei 18 milioni che ne avevano diritto. Per spedire la riforma costituzionale nei cassetti della storia sarebbe stato sufficiente che una sola delle province la rigettasse. Ma, anche dove è stata approvata, cioè in Ontario, New Brunswick, Newfoundland, Territori del Nord-Ovest e Isola di Prince Edwards, il «sì» ha prevalso di un soffio, 49,8% contro 49,6%. Nel Quebec, dove vivono sette dei 27 milioni di canadesi, i «no» hanno sconfitto i «sì» con un largo margine, 55,4% contro 42,4%. La stragrande maggioranza degli abitanti ha ritenuto che la riforma offrisse loro troppo poco, nonostante contemplasse, tra le altre cose, la garanzia di un quarto dei seggi nella Camera dei Comuni per i loro rappresentanti. Ma è stato ancora più grosso il margine, 67,9% contro 31,9%, con cui il «compromesso» è stato respinto dagli elettori della British Columbia, per i quali la riforma offriva, invece, troppo al Quebec. Nel voto contrario si sono quindi accoppiate spinte opposte. La colla che le ha saldate indissolubilmente è stata la sfiducia generale che i canadesi hanno maturato, in misura crescente nelle ultime settimane, contro l'intera classe politica, il governo conservatore, tutti e tre i partiti che avevano sostenuto il «compromesso» e i governatori di tutte e 10 le province che lo avevano appoggiato. Carburante della rivolta populista è stata la diffusa insoddisfazione per il perdurare di una crisi economica abbastanza profonda. Il «compromesso» era piuttosto avanzato. Offriva maggiore autonomia amministrativa a tutte le province, un Senato al¬ l'americana (uguale numero di rappresentanti per ciascuna provincia indipendentemente dalla popolazione) e autogoverno alle minoranze etniche. Al Quebec, la provincia a maggioranza francofona dove esistono forti spinte separatiste, era stato garantito, oltre il 25% dei seggi alla Camera, anche un terzo dei giudici della Corte Suprema. I separatisti, sconfitti nel referendum dell'80, da cui sarebbe potuta nascere la Nazione Autonoma del Quebec, annunciano un forte rilancio della loro iniziativa. Il loro capo, Robert Parizeau, ha dichiarato ieri: «Questa volta abbiamo detto che cosa non vogliamo, la prossima diremo quello che vogliamo. Siamo già una nazione, vogliamo essere una patria». «Avete deciso di mantenere vivo l'apartheid in Canada - ha invece commentato con amarezza Ron George, rappresentante degli indiani che vivono nelle riserve -. Congratulazioni, spero che ne siate contenti». «Dobbiamo aspettare altri 125 anni? - ha chiesto Ovide Mercredi, un altro rappresentante delle minoranze etniche -. Siamo stati respinti dai canadesi e ne siamo molto delusi. Ci hanno buttato fuori dalla porta e, francamente, siamo stanchi di tutto questo». Paolo Passarini Sostenitori del «no» festeggiano la vittoria nel referendum sulla riforma costituzionale [FOTOAFP]
Persone citate: Brian Mulroney, Ovide Mercredi, Prince Edward, Prince Edwards, Robert Parizeau, Ron George
Luoghi citati: Canada, Columbia, Montreal Washington
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