Naziskin, amici miei: «Sono recuperabili non possiamo bruciare tutti i crani rasati»

Naziskin, amici miei: «Sono recuperabili non possiamo bruciare tutti i crani rasati» Il missino Teodoro Buontempo difende i violenti di estrema destra: «Vivono la ribellione metropolitana in una periferia terribile» Naziskin, amici miei: «Sono recuperabili non possiamo bruciare tutti i crani rasati» I FANTASMI DEL RAZZISMO ROMA EH, Marco ha 22 anni, la testa rapata e un giubbotto nero. Lavora in un bar, è un ragazzo d'oro». D'oro? «Sì, d'oro. Quel suo modo di essere, quegli abiti lo fanno uscire daill'awilente mediocrità in cui vive la sua generazione. Marco fa le sue belle scritte sui muri e la sera va a letto più contento». E quasi quasi rimboccherebbe le coperte, sussurrando «buonanotte» al buon naziskin, l'onorevole missino Teodoro Buontempo. Che pure non è un tenero, né un sentimentale: «Sono stato fermato dalla polizia qualche centinaio di volte». Insomma, di scontri e tumulti se ne intende. E a differenza del suo segretario Fini, i naziskin lui li ha difesi, li difende e per quel che riguarda il futuro denuncia: «Come per la strategia della tensione si sta creando il mostro dei naziskin a cui, un domani, attribuire atti di efferatezza e di criminalità». Abruzzese di Carunchio (Chieti), 46 anni, voce roca, fisico tarchiato, prototipo di un populismo nero che lo rende poco classificabile all'interno del suo stesso partito. Segnalatosi per un fortunato, autocelebrativo slogan elettorale («Piccolo grande uomo») e per una campagna contro i lavavetri non esattamente improntata alla solidarietà («Ai semafori - strillava il poster - vogliamo essere lasciati in pace»), Buontempo è figura per certi versi storica del neofascismo romano. Segretario del Fronte della Gioventù negli anni di piombo (1968-1977), quasi 12 mila voti alle elezioni, chissà perché soprannominato «er Pecora». Teste rasate di nuovi fascisti e teste ormai stempiate di vecchi. «Se io li seguo un po' è anche perché sono preoccupato per un eccesso di criminalizzazione nei loro riguardi. Criminalizzazione che oltretutto può spingerli ad abbracciare forme di lotta politica da vicolo cieco». Già adesso, comunque: pestaggi sugli autobus, coltellate a extracomunitari, tifoserie un po' più che esuberanti. «Ma dove? Appena compaiono allo stadio in gruppi di dieci, con la croce celtica al collo, vengono circondati, perquisiti. Se un'altra comunità subisse la persecuzione che subiscono loro, in Italia succederebbero cose incredibili». Li vede spesso, i naziskin? «L'ultima volta, in un ristorante, dopo la campagna elettorale. Ce n'erano una ventina, quasi tutti rapati. Sono più allegri di come sembrano, cioè cupi, truci. Però ancora una volta ho colto una gran voglia di comunità. Ai miei tempi, in cene come quella, si finiva a pezzi di pane in faccia. Loro si sono alzati in piedi a cantare. Da un lato poteva essere auto-esaltazione, dall'altro la voglia di comunicare». Una specie di cerimonia. «Una specie di messa fascista». Come li ha conosciuti? «Sapevano chi ero. Sarà stato il 1987. Si sono presentati. Io li ho invitati a casa mia, ho prestato loro dei libri: Gentile, Drieu De la Rochelle, Primo de Rivera, Codreanu. Però poi i rapporti si sono interrotti quando hanno dato vita al loro "Movimento politico". Fino a quando, nel 1989, vedo una manifestazione della sinistra con caschi e bastoni. C'erano alcuni naziskin che se ne stavano lì, come agnelletti, chiusi in una piazza da ore. Dovevano raggiungere un locale per una loro festa. "Se lo fate da soli - gli ho detto - vi massacrano". In breve, ho trattato con la ps e garantito il trasferimento, in gruppi di cinque, verso una pizzeria in campagna». E lì dentro che ha visto? «Ero troppo curioso, sono ripassato alle 11 di notte. Ballavano, con un'esteriorità accentuata». Che? «Ballavano in circolo, guardandosi in faccia, come se fosse una trasmissione magnetica. Questo avveniva anche con canzoni e con il saluto romano, che poi non era il saluto romano...». Che vuol dire? «Beh, uno fa il saluto e basta. Ma se io resto con il braccio alzato per un'ora, significa che mi voglio esaltare. Ecco, ho avuto la sensazione di qualcosa che usciva dai canoni normali dei giovani che stanno insieme. Rituali più forti». Come i vostri da giovani? «No, noi avevamo un nemico ideologico, un nemico culturale, una fede, una speranza. Questi qui non hanno nulla. Vivono la loro ribellione metropolitana in una periferia che è terribile. E così quei loro rituali sono una specie di corazza. In quel modo ritrovano le gerarchie che non ci sono più nelle loro famiglie, l'ordine corale della comunità, la forza per affrontare la vita». Lei porterebbe i capelli in quel modo, la indosserebbe quella specie di uniforme? «Io mai. All'età mia oltretutto sarei ridicolo. Io vado sempre in giacca e cravatta. Che poi è anche un modo che se ti corrono appresso ti nascondi meglio, entri in un bar e sei normale. Però, come in tutti i fenomeni giovanili la fragilità interiore impone di essere appariscenti». Ecco anche la svastica... «Che è un altro mito forte. La società dovrebbe apprezzare che non si nascondono. E vorrei capire perché non si dice mai che dicono no alla prostituzione, no alla droga, no alla delinquenza». Ma lei non ha mai sentito parlare di «delinquenza d'ordine»? «Io tanta violenza non la vedo, anzi. Per il loro raduno ai Pratoni del Vivaro, in piena campagna, saranno stati due-trecento, e per impedirghelo hanno bloccato strade, raccordi, autostrade. La sfilata ai Fori Imperiali? Lo stesso, nessuna violenza». Era Carnevale. Gii skin marciavano e strillavano «viva U Ducei». Ma il loro Mussolini è anche il suo? «Il mio Mussolini è sociale. E' quello delle bonifiche pontine, delle case ai contadini. Il loro Mussolini è un cavaliere, l'uomo forte e giusto. Così come la nostra era una ricerca di idealità, la loro è una difesa in un mondo degradato. Rispetto ai giovani missini sono dei "primitivi", molto più poveri culturalmente, e più netti, più intransigenti. Si <_ difendono in gruppo». Lo sa cosa disse quel maresciallo di Ps che arrestò i naziskin responsabili dell'accoltellamento, l'altr'anno, di due arabi a Roma? Disse solo: ((Famiglie sfasciate». «Saggio maresciallo. Però intanto la rabbia cresce sempre di più. E allora che facciamo? Li voghamo bruciare tutti vivi, i cattivi naziskin? Ci sono, esistono. Cerchiamo di inserirli nella società, magari con la loro rabbia. Il vero rischio è la criminalizzazione». Sono anche violentemente razzisti, questo fa spavento e lei non può negarlo. «Non si può confondere la reazione all'immigrazione con il razzismo. Essere contro una società multirazziale non vuol dire essere razzisti...». Via, Buontempo... «Può significarlo per alcuni. E tra loro penso che razzisti ce ne siano pure. Ma il punto è che razzisti possono diventarlo non solo i naziskin, ma persone normalissime. Pensi alle reazioni della periferia romana di fronte ai campi nomadi che uccidono l'ultimo barlume di vivibilità». Senta, lei viene dall'Abruzzo, terra di emigrati. Come crede che li vedessero anni fa in Germania gli abruzzesi che li a cercavano lavoro? «Io mi sento la coscienza a posto. Ho vissuto per tre anni dentro una Cinquecento a Villa Borghese. La notte facevo il cameriere, di giorno politica, e dovevo anche spedire a casa un po' di soldi. Mi lavavo la faccia alla fontanella e due volte la settimana andavo a fare la doccia alla "Casa del passeggero" dalla signora Elena. Il punto però è che se insieme a me fossero arrivati a Roma due milioni di abruzzesi senza lavoro e senza casa, avremmo creato lo stesso problema che creano oggi gli immigrati di colore. E allora? Giù botte? Spintoni sugli autobus? Che altro? «I naziskin violenti e razzisti vanno individuati e perseguiti, ma come tutti gli altri. Se si facesse un'indagine si scoprirebbe che rispecchiano le percentuali presenti nella società. Sbaglia, anche nel mio partito, chi si fa trascinare da questa ondata di criminalizzazione. Sono giovani che a grandi linee si riconoscono in un'ideologia che ha caratterizzato la mia vita. Per la maggior parte sono ragazzi ingenui. Secondo me non si rendono conto che il regime gli sta preparando un biscotto di quelli terribili». Filippo Cec carelli Una manifestazione nazista a Birmingham. I germi delle teorie più violente rimettono radici in tutta Europa e si presentano in forme molto preoccupanti anche in Italia

Persone citate: Buontempo, Drieu De La Rochelle, Filippo Cec, Mussolini, Primo De Rivera, Teodoro Buontempo