Quella voglia matta di plebiscito

Quella voglia matta di plebiscito - ÀPPLAUSR E NOVITÀ' APPLAUSI E NOVITÀ' Quella voglia matta di plebiscito CLAP clap. Poi clap clap. Quindi clap clap. E infine clap clap clap. Si è riunito il Consiglio nazionale de. Chi non era d'accordo è rimasto a braccia conserte. Anche per oggi non si vota, si acclama [clap). La de ci ha preso gusto. Mino Martinazzoli, segretario eletto dieci giorni fa per acclamazione, propone e fa eleggere, sempre per acclamazione, Rosa Russo Jervolino a presidente del Cn. Organismo del quale, fino a pochi istanti prima, non faceva parte. Ma l'applauso salvifico che, prevedibile e previsto, scroscia a comando nell'affollata sala giallastra di Palazzo Sturzo compensa e raddrizza tale questioncina statutaria. La nomina della direzione no. Ma sul resto la via democristiana al battimano procede ormai in discesa senza quasi più ostacoli. Quei pochi rimasti, il trepido Gilberto Bonalumi (che oltretutto è un seguace antemarcia di Martinazzoli) e l'Ombretta Fumagalli («A questo punto confessa - credo per mia deformazione professionale») vengono guardati come maniaci della forma e segnati a dito come pericolosi rompiscatole. Il massimo del pubblico dissenso per le regole del gioco democratico che saltano lo esprime dalla tribuna il forzanovista Bonalberti con un ironico «Viva il Re! E adesso viva anche la Regina!». Ma in privato, più che ai troni, sostiene che l'acclamazione gli ricorda procedure in voga negli ex paesi dell'Est, soprattutto la Bulgaria, dove non si votava. «Ma nei abbiamo votato - fa finta di non capire uri sorridente Zaniboni - Abbiamo votato con l'applauso». Come se davvero «la democrazia dell'applauso» - così s'intitolava un famoso articolo che Norberto Bobbio scrisse all'indomani dell'acclamazione di Craxi al congresso di Verona - fosse, in generale, «democrazia». E invece non lo è, anzi si configura come «la più radicale antitesi dell'elezione democratica». Come se veramente, nel Ombretta Fucaso specifico di questo Con¬ magalli siglio nazionale, quel plauso fosse la prova dello straordinario potere di Martinazzoli. Mentre al contrario la sensazione è che quella sonora investitura sia in realtà il sintomo di una situazione traballante, vischiosa, di passaggio. Una situazione nella quale non si capisce se il segretario è prigioniero dei vecchi marpioni o se è un leader indiscusso con poteri speciali. Forse è un po' l'uno e un po' l'altro, oggi, Martinazzoli. Ma solo una bella votazione e non una folla indistinta e plaudente - potrebbe dire come stanno le cose. Misurare il grado di consenso reale che c'è attorno alla nuova segreteria. Evitare il giochetto di battere le mani in aula e dieci minuti dopo, in una sala a fianco, impugnare la boccetta di veleno o lo stiletto. Una volta nella de, per fregare qualcuno si chiedeva lo scrutinio segreto. Adesso c'è questa astuta, corale procedura per rinviare e sminuzzare. Questa bugiarda voglia di plebiscito che sanziona un'apparente unanimità in cui il singolo non ha voce. Ma tant'è. Si vede che per la maggior parte dei de l'elezione-ovazione è efficace, in certi momenti: «Tempi di paura e straordinarietà della situazione» sintetizza Mastella. E' sbrigativa: non fa perdere il pranzo, si applaude la Jervolino e via a casa. E' utile quando c'è una sola candidatura: «Avvertita, per giunta - infioretta Pisicchio fin dalle fibre più intime». Poi è propagandisticamente spettacolare, televisivamente di scena: la de non perde tempo, con un blitz di pochi minuti ha eletto... E pazienza se, come ricorda lo storico Di Capua, c'è un solo precedente di segretario acclamato: Alcide De Gasperi, luglio 1944. Pazienza se Moro, che pure era Moro, impose di essere votato (all'unanimità) presidente. Lo scrutinio presentò dei problemi. Lui si fece votare di nuovo. Soltanto dopo il secondo annuncio si sentì clap clap. Filippo Cecca rolli Bili | Ombretta Fumagalli

Luoghi citati: Bulgaria, Verona