Le vecchie correnti dc bloccano Mino

Le vecchie correnti dc bloccano Mino Non passa il dimezzamento della direzione, ma il segretario resiste e rinvia la riunione Le vecchie correnti dc bloccano Mino RussoJervolino acclamata presidente del partito ROMA. Doveva essere il giorno del primo atto dell'era Martinazzoli, quella che dovrebbe rilanciare la de per altri quarant'anni. Doveva essere il giorno del battesimo della direzione degli uomini nuovi. Già, ieri a Palazzo Sturzo doveva essere tutto questo, ma invece non è stato. Anzi, è stato il giorno i cui è ricomparsa la vecchia de e le correnti sono tornate a dettare condizioni. E a Martinazzoli non è rimasto che dire «no» e rinviare. Pallido e amareggiato il segretario de ha annunciato alle 20 di ieri sera la sua ribellione, ma anche la sua ritirata. Ha spiegato che la de non può rinunciare «ad un decalogo eticopolitico» e subito dopo ha spiegato i motivi che lo hanno portato a soprassedere, per ora, alla nomina della nuovo organismo dirigente del partito: «Mi era sembrato giusto - ha detto - di proporvi il dimezzamento della direzione. Io questa proposta la pensavo per superare il vecchio schema, le vecchie logiche e i vecchi modi. Prendo atto che forse sono stato frettoloso. Meglio fare un passo indietro e riprendere fiato». Strano effetto deve aver fatto a Martinazzoli la giornata di ieri. Al mattino tutto è cominciato nel migliore dei modi. Il segretario non ha avuto nessun problema a far eleggere Rosa Russo Jervolino alla presidenza del consiglio nazionale. Poi è salito sul podio di Palazzo Sturzo per chiedere al partito altri segnali di rinovamento: una direzione dimezzata a 15 membri, con uomini diversi e non inquisiti; un ricambio della classe dirigente in periferia attraverso dei congressi da celebrare con regole nuove o eleggendo i nuovi dirigenti in tempi brevissini tutti lo stesso giorno, per non dare il tempo alle correnti de di organizzarsi. Ma la platea de, che si è trasformata negli ultimi tempi in una palude infida, ha detto «sì» con le parole e «no» con la mente. Il segretario se ne è accorto seguendo at tentamente le mosse di chi gli era seduto di fronte. Intanto i vecchi, con quei visi da sfinge, hanno cominciato a masticare male il nuovo. Arnaldo Forlani e Antonio Gava in seconda fila, Giulio Andreotti in settima e Ciriaco De Mita in ottava, quasi di comune accordo, hanno deciso di fare lo sciopero del silenzio. Nessuno di loro si è iscritto a parlare per far pesare sul dibattito la loro assenza. Certo non sono più loro a comandare. Certo i tempi sono cambiati per un Forlani che per lasciare palaz zo Sturzo ha dovuto strappare un passaggio al ministro Merloni visto che il suo autista se ne era an dato al bar, o per un Andreotti costretto a chiedere ad una delle collaboratrici di Martinazzoli il permesso per usare il bagno del segretario. Ma la vendetta dei vecchi, come al solito, è raffinata e il loro silenzio ieri è stato, di fatto, un messaggio in codice chiarissimo: Martinazzoli ha voluto fare il segretario, ha voluto la biciclet ta, e allora pedali. Se la veda lui con le «correnti», con tutta quella pletora di ministri inossidabili, di ras democristiani chiacchierati, di cinquantenni che vogliono far carriera, quel «mucchio selvag- gio» che fa il bello e il cattivo tempo nella de. Se vuole emarginarli lo faccia, se vuole escluderli si accomodi, se vuole trattenerli va benissimo. Ma tutto quello che vuole il segretario lo deve fare da solo. E ieri, più che mai solo, Martinazzoli ha dovuto sentire i consigli, le blandizie e le minacce di quel «mucchio selvaggio» pronto ad acclamarlo segretario ma anche a cacciarlo. Sulla tribuna di palazzo Sturzo sono sfilati tutti i notabili che per un caso o per l'altro rischiavano di non entrare nelle rtUOVà direzione». L'andreòttiano Paolo Cirino Pomicino ha posto le prime condizioni: ha parlato di «rinnovamento nella continuità» e ha intimato al segretario di rispettare «l'unanimità» nelle scelte. Come dire: qui o si decide tutti insieme o non si decide niente. Dopo è stata la volta di un altro dei pos¬ sibili esclusi, Riccardo Misasi. E con lui le minacce si sono fatte più chiare. «Ho sentito dire da qualcuno che bisogna tagliare le teste ha detto - io ho sempre paura quando sento affermazioni del genere. Perchè quando si cominciano a tagliare le teste, si finisce per tagliarne tante. E alla fine cadono anche le teste dei tagliatori come è successo a Robespierre». Questo sul palco. In platea le cose sono andate anche peggio. Silvio Lega, altro candidato all'esclusione, ha consigliato al segretario prudenza. «Il cambiamento - ha detto - deve essere ancorato alla realtà, altrimenti non c'è democrazia». E oltre agli esclusi hanno sbuffato anche i delusi, come Vincenzo Scotti che voleva fare il presidente del partito: «Non me ne importa un fico secco - si è sfogato - se hanno fatto la Jervolino, la verità è che Mino deve avere il coraggio di rischiare». Poi alle 14, nella stanza che sta accanto all'aula, le «correnti» hanno svelato al capo della segreteria di piazza del Gesù, Castagnetti, il loro vero volto. Il «grande centro» ha portato la lista decisa la sera prima nella riunione dello stato maggiore della corrente a Villa Gava. Uno dopo l'altro comparivano in quel foglio i nomi di Lega, Leccisi, Prandini, Casini, Scotti e Zampieri. Poi, Pomicino ha portato i nomi degli andreottiani: ha chiesto tre posti, per sé, per Andreotti e per Baruffi. A quel punto si è fatto avanti Vittorio Sbardella, reclamando anche lui una poltrona. «Altrimenti - ha minacciato - invece dell'acclamazione per l'elezione della direzione chiedo il voto». Castagnetti per calmare il pa- drone della de romana ha chiesto agli andreottiani di offrire uno dei loro posti a Sbardella. «Amici cari - è stata la risposta sprezzante di Pomicino - non è della nostra paranza». Così alle 14 e 30 per far posto a Sbardella il segretario è stato costretto ad aumentare da 15 a 16 il numero dei membri della direzione. Solo che a quel punto dentro la nuova direzione ci sarebbe stato un po' di tutto. E questo non è andato giù alla sinistra de, cioè alla corrente del neo-segretario, che non ha accettato di dare le stimmate del rinnovamento a personaggi come Lega e Baruffi, raggiunti da avvisi di garanzia per Tangentopoli, o a uomini come Prandini, Pomicino e Leccisi. Naturalmente, come avviene sempre, le riserve su quei nomi sono state espresse discretamente ma con decisione. «Io se ci sono quei nomi - ha detto Guido Bodrato al segretario - non entro in direzione». E insieme a lui, sia sul palco di Palazzo Sturzo, sia nei corridoi, i «pasdaran» del rinnovamento hanno fatto sentire la loro voce. Solo nel suo studio, Martinazzoli ha valutato per tutto il pomeriggio la situazione. Ha chiesto alle correnti di dargli una rosa di nomi da scegliere. Ma invano. Franco Marini è andato da lui chiedendogli «una prova di forza»: «Digli che o ti danno carta bianca, o te ne vai». Una «forzatura» gliel'ha consigliata anche De Mita che è andato a trovarlo alle 17 e trenta. Ma il neo-segretario non se l'è sentita, il peso della carica che ricopre da qualche giorno si è fatto avvertire e come i rivoluzionari che vanno al potere è diventato più prudente, più realista. E alla fine è approdato alla più classica delle decisioni de, quella del rinvio: già, «meglio fare un passo indietro». Augusto Minzolini Scotti: «Abbia il coraggio di rischiare» Misasi: «Chi taglia le teste rischia di fare la stessa fine di Robespierre» In senso orario, da sinistra in alto: Arnaldo Forlani, Riccardo Misasi, Paolo Cirino Pomicino Nella foto grande: Rosa Russo Jervolino con Mino Martinazzoli

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