«Un milione di serrande chiuse» di Zeni

«Un milione di serrande chiuse» AD ALZO ZERO CONTRO VISENTIN! «Un milione di serrande chiuse» Orlando il Cileno e la rivolta dell'84 R MILANO IECCOLO l'ottobre caldo dei negozianti. Riecco le minacce di serrata. Come otto anni fa, come quel 23 ottobre 1984, un martedì, passato alla storia per la prima serrata dei commercianti d'Italia. Un milione di serrande chiuse, così aveva chiesto Giuseppe Orlando, l'uomo che allora, in quel 1984 di crisi e di passione, guidava la Confcommercio. E un milione, forse qualcuna di meno ma che importa?, di serrande quel martedì di fine ottobre scesero veramente. Contro Visentini, l'odiato Bruno Visentini che guidava le Finanze e che di fronte al dilemma di sempre - riempire la casse vuote dello Stato - si era permesso di introdurre i dannati registratori di cassa prima e poi di chiedere l'istituzione del regime forfettario per il pagamento di Iva e Irpef. «No pasaran», aveva tuonato Orlando, la guida, il leader, il padrone assoluto del milione e passa di aderenti alla Confcommercio e dei loro voti. Padrone di mezza de. Così, in quegli anni, era conosciuto nei corridoi del Palazzo Giuseppe, detto «Don Orlando». Lui, di rimando, mai una piega. Tranquillo come un papa, dispensava scrollate di spalle, la sua unica risposta a chi lo definiva grande distributore di voti per questo o quell'esponente politico de e gran capo della lobby più forte e più ascoltata in Parlamento. Lobbista, io? Padrone della de, io? Memorabile, per capire il rapporto dell'uomo con la politica, una risposta a Giampaolo Pansa, al tempo vicedirettore di «Repubblica»: «Le imprese toccate da Visentini sono 4 milioni. Ci metta un milione di liberi professionisti. Totale: 5 milioni. Moltiplichi almeno per due. Nuovo totale: 10 milioni di elettori. Forse di più. Non tutti vote¬ ranno scheda bianca, certo. Ma è sempre un bel flusso biblico». E ancora, di nuovo in risposta a Pansa: «Lobbista io? Io sono il rappresentante di un mondo, di interessi reali». Allora, quel 23 ottobre di otto anni fa, saracinesca selvaggia che lui, Orlando, corresse subito in «Saracinesca civile» - colpì duro. «Chiuso contro Visentini», si leggeva in via Montenapoleone a Milano, in via Roma a Torino, in via Bagutta a Roma. Qualcuno, per esempio i sindacati, Cgil, Cisl, Uil, lanciarono l'allarme: «La Confcommercio apre le porte al golpe, come in Cile dove lo sciopero dei camionisti ha portato al potere Pinochet». Anni duri, quei primi anni Ottanta. Inflazione a due cifre. Deficit pubblico in crescita. Crisi nell'industria. E quadro politico in evoluzione. Scontato agitare i fantasmi, inevitabile definire «Orlando il cileno» chi invitava i negozianti a chiudere le serrande e a sfidare il fisco di Visentini. Per fermare il pericolo cileno, quei giorni, il 23 ottobre e il 13 dicembre, Cgil, Cisl e Uil invitarono i dipendenti di tutte le strutture commerciali a recarsi al lavoro. Qua e là i sindacati organizzarono anche contromanifestazioni contro i commercianti evasori. A Milano, allora ancora capitale morale d'Italia, furono duemila a sfilare sotto le finestre dell'Unione commercianti in corso Venezia: pochi rispetto alle previsioni. «Mi danno del cileno?», chiedeva Don Orlando. Secca la risposta, datata 18 ottobre 1984, cinque giorni prima della serrata: «Io sono uno che va controcorrente, sono un personaggio scomodo». Scomodo lui, Orlando, che un anno e mezzo dopo la serrata venne sostituito alla testa dei commercianti dall'attuale presidente, Francesco Colucci. E scomoda la sua Confcommercio che da allora, dicono, ha cambiato linea. La de, quella stessa de dove Orlando, nell'84 di fuoco, citava tra gli uomini più sensibili alla sua Confcommercio «i giovani emergenti, D'Onofrio, Sanza, Rubbi e anche Mastella», è sempre partito prediletto. Ma non l'unico. E da quando la crisi del sistema politico si è fatta sentire, anche nella monolitica Confcommercio, confessa chi sa, nelle unioni provinciali e nei mandamenti, certe cinghie di trasmissione sono andate in tilt. C'è chi- tifa apertamente per la Lega di Umberto Bossi, adesso. E dopo il fallimento della lobby che non è riuscita a bloccare la minimum tax, c'è chi dà per scontato che tra gli orfani di Don Orlando il «senatur» piaccia sempre di più. Del resto, a suo modo, anche lui, il vecchio Orlando, già allora aveva fiutato che i tempi stavano cambiando nel rapporto tra grandi lobby e grandi partiti. «I commercianti votano dopo aver valutato con attenzione il comportamento di tutti i politici», spiegava in quell'ottobre dell'84. Aggiungendo: «Quando sento qualche politico parlare di voti in libera uscita, dico: "Eh no, cari, se non muta il vostro comportamento quelli sono voti persi per sempre"». Armando Zeni A destra il presidente dei commercianti Colucci A sinistra l'ex presidente della Confcommercio Giuseppe Orlando

Luoghi citati: Cile, Italia, Milano, Roma, Torino