Nel Palasport dell'ira anche i pugliesi per Bossi di Flavia Amabile

Nel Palasport dell'ira anche i pugliesi per Bossi SE LA LEGA ENTRA IN BOTTEGA Nel Palasport dell'ira anche i pugliesi per Bossi «»ROMA OSSI, Bossi, Bossi...»: il presidente della Confcommercio, Francesco Colucci, solleva lo sguardo verso i piani alti del Palasport. I suoi occhi azzurri scandagliano i settori da cui gli sembra che arrivino le grida. Cerca di individuare i volti dei facinorosi che, più facinorosi degli altri che stanno urlando «serrata, serrata, serrata...», invocano il senatur. E' un gruppetto lì, in alto: saranno una cinquantina, tutti in piedi e con i pugni alzati. Colucci scrolla le spalle, quasi con noncuranza: è convinto di sapere di chi si tratta. Sono quegli esaltati della Lega, pensa. Se li aspettava, immaginava che sarebbero arrivati e che si sarebbero fatti sentire. Riabbassa lo sguardo e sembra concentrarsi su un problema che gli sembra più urgente in quel momento: come dominare l'insurrezione dei quattordicimila commercianti assiepati nel Palasport e insorti di Fronte al suo no allo sciopero. Ma il gruppetto lì in alto continua «Bossi, Bossi, Bossi...» e poi, ancora, «venduto, venduto, venduto...». E un sospetto si insinua nel presidente della Confcommercio: c'è qualcosa nel modo di urlare quel nome che gli suona strano, qualcosa di molto familiare per lui. E' una «o», la «o» di Bossi: non ha nulla di settentrionale in quel grido, è stretta e allungata come fanno, invece, i suoi conterranei, i pugliesi. E allora Colucci capisce che a rivoltarsi contro di lui in quel modo così provocatorio non sono i leghisti, ma la sua stessa terra. Sono proprio loro, i pugliesi, infatti, i più agguerriti. «Siamo in viaggio dall'una di questa notte per sentirci dire che non si fa sciopero: ma chi crede di prendere in giro Colucci?», si ribella Pietro Altamura, salumiere. Poi, se la prende con un uomo corpulento tutto vestito di nero: Gianni Favaro che vende formaggi ed è stato il primo a urlare il nome del senatur: «Come ti è venuto? In questo momento dobbiamo restare uniti...». «E che dovevo urlare risponde lui -. Farace? Non lo conoscono mica questi qui il nostro onorevole...». «Ha ragione Gianni - interviene Antonio Maffei, pizzaiolo - perché a noi se non ci fosse Bossi che incita a non pagare le tasse, chi ci penserebbe? Stamattina nessu- no ha detto una parola sulle condizioni in cui lavoriamo. L'altro giorno nel mio ristorante è arrivato un brigadiere della Finanza con tutta la famiglia: 230 mila lire di roba hanno mangiato. Mica mi hanno pagato...». Se i pugliesi invocano Bossi e considerano Colucci un «venduto», non è che nel resto degli spalti le cose vadano molto meglio per il presidente della Confcommercio. Ormai è alla fine della sua relazione: «Il problema non è la minimum tax...», sostiene con tono freddo e distaccato, ma viene accolto da un boato di fischi che vorrebbe fargli capire che, invece, il problema è proprio quello. Allora passa alle forme di lotta per evitare lo sciopero: «... oscurate insegne e vetrine», è la prima proposta che invia agli associati. «La mia insegna è bella grossa, te la ficco dove so io, altro che oscurarla», gli urla Giacomo Roinassi, industriale di Parma, stemmino del Rotary sulla giacca e aria vagamente effeminata. «Abbassate le saracinesche», è la seconda forma di protesta possibile secondo Colucci. «La saracinesca la abbassiamo pure, ma solo se sotto ci sei tu», risponde una signora elegantissima nel suo tailleur blu di lana, Maria Giovanna Anselmi, commerciante di porcellane a Genova. Poi, si alza e si avvia verso l'uscita. Ha deciso che della manifestazione ne ha avuto abbastanza. Una volta fuori le si avvicina un uomo con dei volantini della Lega in mano. Lei gli fa un gesto come per rifiutare e precisa: «Non ce n'è bisogno: vi ho già votati ad aprile». Flavia Amabile un (■Pagine del Palasport di Roma con uno dei manifestanti che distribuisce volantini sugli spalti

Luoghi citati: Genova, Roma