Com'è giovane il jazz dei vecchi

Com'è giovane il jazz dei vecchi Successo a Torino, per il concerto della Superband Philip Morris Com'è giovane il jazz dei vecchi La lezione di Phil Woodsjimmie Heath & Co. TORINO. Il Big era gremito, l'altra sera per il concerto Philip Morris. Un concerto che si fa apprezzare maggiormente in questi tempi difficili, in una città come Torino dove c'è un assessore che spende i miliardi del Comune per il balletto e poche lire per il jazz. Tre band, dunque. La prima è formata da solisti giovani e poco noti: Ryan Kisor e Michael Leonhart (trombe), Jesse Davis (sax alto), Joshua Redman (tenore), Mike LeDonne (pianoforte), Christian McBride (basso) e Lewis Nash (batteria). Guardano al passato per costruirei un futuro nell'attesa che arrivi il nuovo Coltrane. La loro musica si ispira infatti alle composizioni e allo stile dei «Messengers» di Blakey (nel periodo tra il '55 e il '65). Nel loro repertorio non per caso figurano brani del primo Quincy Jones (il gillespiano «Jessica's Day») e di Cedar Walton. Ma tutta l'architettura del gruppo si rifa a quell'epoca ormai, lontana quando il jazz viveva i suoi giorni migliori con solisti innovativi come Clifford Brown, Kenny Dorham, Hank Mobley, il primo Sonny Rollins, il primo Wayne Shorter accompagnati dalle ritmiche più fantasiose e intense che si possano ricordare. I giovanotti della Morris fanno bella figura - preparatissimi, forse sono strumentisti superiori ai loro predecessori -, tuttavia danno l'impressione sgradevole dei replicanti di una cibernetica da fumetto: robot. Esprimono tanta potenza ma poca vita e anche il loro swing pulsa ormai secondo una scansione irrigidita da un inconscio contagiato dal rock. Applausi anche per Nnenna Freelon, ragazza copertina con una bella voce, usata con intelligenza e buon orecchio. Miss Freelon non improvvisa come Io-celebri colleghe del jazz, è piuttosto un'elegante espositrice di temi che sa selezionare con gusto («Angel Eycs», «Jin-Jin»). Con lei - tra gli altri - un maestro del pianofor¬ te, Norman Simmons (per la prima volta in Italia), sapiente accompagnatore, solista dalla vena «bluesy». In chiusura i sessantenni del Bebop (Phil Woods, Donald Byrd, Jimmie Heath, Slide Hampton), accompagnati da Kenny Barron, Bob Cranshaw e Kenny Washington. Sono i vecchi a fare la musica più giovane, più fresca. Hanno il pregio dell'autenticità, non solamente la classe dei superpro. Lavorano con impegno e trovano sempre l'ispirazione per costruire frasi scorrevoli, fluenti senza costringere l'ascoltatore a fare apprezzamenti di tipo sportivo. Leader del grappo è Jimmie Heath, tenore della prima scuola bebop poi convertito al modalismo coltraniano. I suoi brani d'un tempo sono esemplari ancora oggi, come quel «C.T.A.» che anche a Torino ha riscosso l'ennesimo trionfo. Franco Mondini

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