Gorky, i segni raccontano l'amore finito e il suicidio

Gorky, i segni raccontano l'amore finito e il suicidio Roma riscopre il grande artista amico di Breton Gorky, i segni raccontano l'amore finito e il suicidio FROMA INALMENTE una mostra su Arshile Gorky, e l'emozione è forte: le Opere su I carta, fino al 30 novembre al Palazzo delle Esposizioni, ci introducono dietro le quinte delle sue magnifiche tele, in quel laboratorio privato dove schizzi, studi e progetti permettono di individuare le gioie, le tensioni e il dramma di un grande artista in Italia non ancora conosciuto come merita. L'unica personale, la prima in Europa, gliel'aveva dedicata nel '57 la galleria romana «L'Obelisco». Come allora, la proposta organizzata dalla Fondazione Guggenheim a cura di Philip Rylands e Matthew Spender, costituisce un avvenimento. Tra i disegni a matita e a carboncino, le chine, le gouaches e le tecniche miste, ci sono parecchi lavori esposti per la prima volta, a cominciare ààlì'Ecorché del 1932, che affronta in modo personale un soggetto accademico. Opportunamente la mostra privilegia il disegno: per Gorky era «la base dell'arte, la strada verso i capolavori». Dalla limpida rielaborazione di motivi cubisti per evocazioni in bianco e nero come Immagine di Khorkom o Notte enigma e nostalgia degli Anni 30, alla scansione teatrale dei bozzetti per murali affollati di figure o di prodotti della tecnologia, a cavallo degli Anni 40; dal colorato e gioioso polimorfismo dei Paesaggi della Virginia fino all'inasprimento del segno e alla cupa irruenza del nero degli schizzi per Agonia, in queste opere su carta c'è la sua storia. Ragazzo russo allievo a Boston Nato nel 1906 a Khorkom, in Russia, arriva quattordicenne a Boston dove comincia gli studi di disegno che proseguiranno nelle due scuole più prestigiose di New York. Per vivere insegna disegno. Se vuole ritrarre figure umane deve recarsi da amici che possono pagarsi delle modelle. Agli allievi insegna che «per dipingere, bisogna disegnare per più di dieci anni». Sul volto, gli si legge la malinconia dell'immigrato e l'origine armena: grandi occhi lucidi cerchiati, lineamenti forti nel volto scavato e incorniciato da baffi folti e capelli nerissimi. Frequentatore di gallerie e musei, copia da riviste e libri le opere dei grandi maestri del passato. Molto la critica ha insistito sulle imitazioni, sulle parafrasi e sui prestiti utilizzati da Gorky: soprattutto Paolo Uccello, Cézanne, Picasso e De Chirico, Mirò, Kandinskij e Matta. Altri artisti vengono in mente di fronte alle sue opere su carta. Leonardo, Léger e Picabia, per esempio. Ma fin dai disegni degli Anni 30, non sfugge l'originalità della sua organizzazione formale. Il pathos e la raffinata sensibilità pittorica orchestrano questi studi in modo inconfondibile, come d'altronde tele della maturità quali The Liver is the Cocks Comb o The Diary ofa Seducer. Anche nel suo periodo più maturo, dopo l'adesione al surrealismo intorno al '43, mantiene un certo eclettismo, ansioso di imparare e riluttante a chiudersi nei limiti di una tendenza. I suoi lavori rivelano che sul sogno e sul delirio dell'immaginazione seguitano a prevalere le emozioni e la memoria. Nel formicolio di geroglifici animali, vegetali e minerali che fluiscono dalla sua matita, bastano delle piccole macchie di colore a suggerire le foglie di un albero o i frutti dell'orto e una screziatura giallastra a evocare il profumo delle albicocche. L'incontro e il sostegno di Breton fu comunque fondamentale. Nel 1945, ripubblicando II surrealismo e la pittura, il leader del Movimento allora insediato in volontario esilio negli Stati Uniti, volle aggiungervi un testo in cui, riconoscendo in Gorky il primo pittore capace di utilizzare la «molla dell'occhio», metteva in guardia dall'interpretare le sue composizioni come semplici nature morte, paesaggi o figure. Secondo Breton, dalla natura traeva delle «sensazioni capaci di agire come trampolini per l'approfondimento, conscio e inconscio, di certi stati d'animo», che si esprimevano in delle forme ibride ad alta concentrazione emotiva. 1945, in fiamme casa e dipinti Mentre si afferma come artista, il destino comincia però ad accanirsi. Nel '45, un incendio gli distrugge la casa riducendo in cenere quasi tutta la sua produzione. Si rimette al lavoro, ma deve operarsi di cancro. Due anni dopo, un grave incidente automobilistico lo lascia semiparalizzato. Intanto, sfuma la serenità famigliare. Sembrano lontani quel viaggio coast to coast che gli aveva fatto ritrovare in California alcuni elementi della sua Armenia, e le estati in Virginia insieme con Agnes Magruder sposata nel'41. All'inizio del 1948, portandosi dietro i due figli, Agnes lo abbandona per un artista amico di famiglia che Breton si affretta a escludere dal Movimento «per immoralità». Qualche mese dopo Gorky pone fine all'agonia, uccidendosi. Su un biglietto ha scritto: «Goodbye my Beloveds», alludendo anche a quegli oggetti d'amore che erano stati i suoi lavori. Lo testimonia lo schizzo per UAmato carbonizzato. Come quello per Agonia: colpisce al cuore per l'urlo di dolore, l'effetto di corda tesa oltre il limite di resistenza. A dispetto di tanta tragedia, e di chi non gli riconosceva sufficiente originalità, il voto di Gorky s'è realizzato: l'influenza esercitata sull'espressionismo astratto, su Twonbly, Novelli, Perilli e Afro, per esempio, testimonia che la sua opera ha funzionato da «anello della catena ininterrotta dell'arte». Paola Decina Lombardi Armeno di New York vicino al successo la sua casa bruciò perse moglie e figli finì in un delirio Pi Arshile Gorky. A destra, «Encorché» (1932. matita su carta), esposto per la prima volta. Diceva: «Per dipingere, bisogna disegnare più di dieci anni»