11 settembre '43, l'ultima carica a Torino

11 settembre '43, l'ultima carica a Torino LETTERE AL GIORNALE: IL LUNEDI' DI O.d, 11 settembre '43, l'ultima carica a Torino Il ragazzo che gridò Gentilissimo signor Del Buono, riguardo alla lettera pubblicata il 12 ottobre sull'ultima carica del Nizza Cavalleria, la pregherei, se rientra nella sua discrezione, di valutare questa mia. Dopo tanti anni, ritengo di aver fatto il mio dovere di cittadino. L'I I settembre 1943 avevo 19 anni e abitavo con i miei familiari in corso Stupinigi n. 5 che dopo la guerra si chiamò corso Unione Sovietica, oggi Turati. La casa al numero 5 era una piccola casa antica, un po' sbrecciata e fatiscente, lo abitavo al pianoterra, accanto al portone di entrata e quel pomeriggio vidi davanti a me una lunga colonna di cavalleggeri italiani disarmati in marcia verso la stazione di Porta Nuova. C'erano una camionetta di tedeschi al principio, una alla fine e un'altra andava su e giù lungo la colonna. A un tratto la marcia fu fermata, la colonna fu divisa dall'ufficiale tedesco, poiché sopraggiungeva un tram in corso Sommeiller e si immetteva nel cavalcavia che va in via Nizza. La camionetta tedesca si trovava in quel momento all'inizio di via Sac- chi e il passaggio del tram nascose agli occhi dell'ufficiale tedesco la colonna in corso Stupinigi. In un balzo di altruismo, senza pensare al pericolo, alzai le braccia e gridai ai militari che mi erano davanti: «Fuggite, fuggite, venite dentro casa». Un primo soldato si buttò giù dal cavallo e fu seguito da una ventina d'altri. In cinque si precipitarono sotto i letti di casa mia, altri infilarono le scale della cantina e sparirono. Tornai sul portone e una raffica di mitraglia mi sfiorò, conficcandosi nel legno del portone. A terra in mezzo al corso giacevano alcuni cavalli uccisi dalle sventagliate dei tedeschi. Ormai i soldati, chi a piedi, chi a cavallo eran già tutti fuggiti. Alcuni civili che avevano assistito ai fatti si procurarono coltelli, forbici, ferri e assalirono i cavalli ormai morti, tagliando pezzi di carne e un tale con le mani grondanti sangue me ne dette un pezzo di tre o quattro chili. Allora, vi era molta fame e la carne non si vedeva da un pezzo. Spero che qualche soldato di allora sia ancora vivo e possa ricordare. Da parte mia sono lieto di ricordare di avere dato nel mio piccolo un contributo alla solidarietà umana... Aldo Bonatesta (classe 1924) Torino Le ragazze che li salvarono Caro OdB, c'ero anch'io. Finisco in questo momento di leggere la lettera sull'ultima carica del signor cap. magg. Dino Gamba di Torino. Ho pianto con tutto il mio cuore. Sono una donna, ma non per questo me ne sono slata alla finestra a guardare. La carica del Nizza Cavalleria l'abbiamo vissuta in molti. Quando nel 1940 scoppiò la guerra avevo 15 anni, la mia famiglia appartiene alla gente che si spezza ma non si piega, con due zii morti in combattimento, uno zio confinato in un'isola per 22 anni, mio padre riuscito a rifugiarsi all'estero nel momento in cui venivano ad arrestarlo in casa. La nostra casa era sempre sotto controllo. Preciso che siamo cristiani cattolici, ma il nostro grande torto era che eravamo amici degli ebrei, molti dei quali abbiamo salvato, abitando in una casa detta la Casa degli Ebrei. I tedeschi ci sguazzavano. Tutti i giorni avevamo le loro visite sgradite. Mi scusi, signor Del Buono, per il preambolo. L' 11 settembre 1943 avevo 18 anni. La nostra casa era tra corso Sommeiller e corso Stupinigi. Sapevamo che i militari del Nizza Cavalleria li portavano incolonnati a Porta Nuova, destinazione Germania. Noi donne, madri, figlie, zie, nonne, cugine, amiche, passata parola, ci raggruppammo all'angolo di corso Sommeiller con tanto di sassi da buttarli per fare imbizzarrire i cavalli. In quel momento, fortuna volle che arrivasse il trenino per Orbassano e si dovesse fermare proprio davanti al cavalcavia di corso Sommeiller. Noi donne a urlare ai soldati: «Scappa, scappa». Avevamo lasciato i portoni aperti e così molti si rifugiarono da noi. Li nascondemmo anche nelle soffitte, nelle grondaie, molti eran feriti alle gambe, alla testa. Li abbiamo medicati, gli abbiamo cercato abiti borghesi e ne abbiamo sotterrato nella notte le divise. Non po¬ tevamo bruciarle. I tedeschi se ne sarebbero accorti dal fumo. Tutti i giorni, più di prima, venivano i tedeschi a rovistare l'edificio dalle cantine alle soffitte e noi donne a fare le gentili (tremando). Il marciapiede davanti alla casa, le vie del vicinato erano impraticabili tanti erano i cavalli morti. Quando i militari furono in grado di camminare, li accompagnammo a Porta Nuova, erano della provincia di Vercelli, di Novara eccetera, come fossero i nostri fidanzati li abbracciammo e baciammo. Finita la guerra, Natale 1945. Riceviamo un pacco da Vercelli, apriamo, conteneva 20 kg di riso! Il biglietto d'accompagnamento diceva: «Ai nostri Salvatori con tutto il cuore». Sei firme con solo il nome, il cognome non conta in questi casi... Rosa Maria Ganglio Pautasso Torino La ringrazio per aver pubblicato Egr. sig. De Buono, ho letto sulla Stampa dell'ultima carica della Caval¬ leria. Mi trovai coinvolto anch'io con un reparto di Artiglieria someggiata che venne inviato nella caserma Morelli la notte tra il 9 e il 10 settembre 1943, e anch'io venni preso NI, con tutti gli ufficiali, ma riuscii poi a fuggire. Le unisco la cronaca di quei giorni scritta molto tempo dopo. Purtroppo i soldati del mio reparto vennero invece inviati in Germania, da cui alcuni non sono tornati: essi avevano fatto la guerra sul fronte occidentale e in Albania con i muli e i carriaggi della prima guerra mondiale di cui erano ancora dotati. La ringrazio per aver pubblicato la lettera del Gentili signori Bonatesta, Pautasso, Giorgini sono io a ringraziarvi di tutto cuore per avere risposto al mio invito a collaborare. Questa storia dell'ultima carica a Torino è così piena di umanità e di ribellione al destino che ne ho voluto saper di più. Ora, per merito vostro, il panorama e la sequenza dei fatti mi sono maggiormente chiari e consistenti come storia della vita di una città. Raccontare la propria città può essere un antidoto ai tempi difficili. Ricordare la vostra città, la sua ribellione alla congiura degli eventi, può significare anche la forza di ritrovare la capacità di guardare il presente, la forza di cercar di intuire il futuro. C'è sempre tempo per arrendersi. Prima è meglio tentare di sfuggire alla morsa. [o.d.b.] i cap. magg. Gamba e la prego di gradire i miei saluti migliori... Carlo Franco Giorgini Torino