I segreti di Spilotros, mostro per beffa di Pierangelo Sapegno

I segreti di Spilotros, mostro per beffa Tutti i particolari che avrebbero dovuto far capire agli investigatori perché stavano sbagliando pista I segreti di Spilotros, mostro per beffa Nel suo diario ha annotato settantun incontri di pugilato mai combattuti «Con un pugno ho ucciso l'avversario. Mi spiace per lui, meglio per me» UNA RECITA DA MAN BACO MILANO DAL NOSTRO INVIATO Adesso che Stefano Spilotros sta per uscire dalla scena, forse sarà più facile capire. Capire come abbia potuto un ragazzotto di periferia tenere in scacco decine di investigatori. E capire perché c'è ancora chi ci crede, chi non riesce a vedere Stefano soltanto come il frutto disperato di una follia da metropoli. Anche se c'erano molti elementi che lasciavano intuire sin dall'inizio come avrebbe potuto concludersi questa vicenda. Adesso che Spilotros esce di scena ricostruiamo i segreti di questa storia incredibile. Il biglietto. E' il primo segnale che lascia l'assassino di Foligno. Comincia con un appello: «Aiutatemi», dice il mostro. Uno psichiatra legge questa invocazione come una beffa, ma nessuno gli dà retta. Si preferisce credere al mostro pentito. Poi, 5 righe scritte in stampatello, con una perfezione e un ordine quasi maniacale. Ogni riga ha la stessa, precisa distanza dall'altra, e comincia nello stesso punto. Il foglio è a quadretti, dello stesso tipo che gli inquirenti trovano nell'ufficio di Stefano Spilotros. Non è una prova, ma un labile indizio sì. E c'è un'altra cosa che colpisce gli inquirenti. Le ultime due righe del messaggio, introdotte da un Post scriptum, sono scritte in maniera diversa, sempre a stampatello maiuscolo, ma disordinate, una avvicinata all'altra. «Non sono mica stupido», afferma il mostro prima di firmarsi. Una frase, quella, che ritornerà come un intercalare negli interrogatori di Spilotros, quasi con ossessione. Ma se Stefano ha letto i giornali, gli è fin troppo facile usarla per ingannare gli inquirenti. Le telefonate. La prima chiamata al numero verde di Foligno arriva una settimana esatta dopo 11 ritrovamento del biglietto nella cabina di Foligno. Martedì 6 ottobre il mostro lascia il messaggio. Martedì 13, Spilotros chiama Mario. Altra coincidenza? Comincia un dialogo che dura per 12 chiamate, durante le quali Spilotros dà indicazioni ritenute «troppo precise». L'arresto. «Quello chi è?», chiede Spilotros prima di salire sulla macchina della polizia. «E' il dottor Ninni, della Mobile, di Milano». «E quello?» «Della mobile di Firenze. E quell'altro è venuto da Roma». Spilotros guarda il poliziotto cercando conforto al suo stupore: «Sono venuti apposta da Roma e da Milano per me», dice. Qualche elemento psicologi- co per cominciare a dubitare della fondatezza delle affermazioni di Spilotros c'era sin dall'inizio, a dire il vero. Stefano non sembra proprio uno destinato a caricarsi sulle spalle l'accusa terribile e infamante che sta per ripetere agli inquirenti. E' tranquillo, incuriosito, quasi soddisfatto. Per lui comincia un'avventura. «Mamma, stasera non torno». E ci mancherebbe. Al poliziotto: ((Andiamo pure», dice. Quasi derisorio. Gli interrogatori. Gli investigatori aspettano la confessione e lui non si fa pregare: «Ho ucciso 10 Simone», dice, ma aggiunge di averlo fatto sabato 3 ottobre, non domenica. Come per lasciarsi una via di fuga. E quando spunteranno come funghi i testimoni che lo scagionano, lui guarderà sorridendo il commissario che lo interroga: «Ho detto di essere stato a Foligno sabato, non domenica». Racconta d'aver fatto con la sigaretta una bruciatura dietro l'orecchio di Simone. Questa è una prova, pensano gli inquirenti. Fornisce particolari inediti sull'abbigliamento del bimbo (com'erano le scarpe: in un primo momento sbaglia, poi si corregge; 11 colore esatto della camicia; il tipo di blue jeans). Ora alla Questura sono certi: è il mostro. I dubbi. Ci sono solo due persone che buttono acqua sul fuoco. Uno è il vicecapo della Mobile di Milano, De Matteis, e l'altro è proprio il giudice responsabile delle indagini, Fausto Cardella. A De Matteis non convincono alcune incertezze, alcuni atteggiamenti. Sembra quasi che Stefano si sforzi tutte le volte di dare la risposta che gli altri si aspettano da lui. Cardella invece capisce subito che Spilotros non è mai stato a Foligno. Dà indicazioni troppo vaghe, o inesatte. Dove hai preso il panino? «In quel bar, vicino all'edicola». Quale edicola? «Non ricordo». E la cabina, dov'era? «In quella piazza, vicino all'edicola». Ma se Spilotros non è mai stato a Foligno, come fa a sapere tutte le cose che ha raccontato? Il secondo uomo. A questo punto, gli inquirenti cominciano a credere che in realtà Stefano nasconda il vero assassino. Solo così potrebbero spiegarsi i particolari sul delitto che il giovane è riuscito incredibilmente ad azzeccare. Quando Cardella si arrende all'evidenza e gli chiede come abbia fatto a indovinarli, lui sorride di nuovo: «Sono un sensitivo», dice, «ho sognato quell'omicidio». E, guarda caso, proprio pochi giorni prima in tv è stato trasmesso un film con una trama analoga. Ma stavolta, finalmente, non gli crede più nessuno. Qualcuno gliel'ha raccontato, pensano. Qualcuno che lavora a Milano e va sovente a Foligno, o che vive in Umbria e viene spesso su, in Lombardia. Qualcuno che avrebbe scritto quel biglietto as¬ sieme a lui (e il post scriptum sarebbe di Stefano), e che potrebbe essere il regista di tutta questa operazione-beffa. Si indaga sul mondo del lavoro, sulle amicizie, sulla famiglia. Invano. L'attore. Quello che resta alla fine è la figura chissà quanto incredibile di questo ragazzino con la faccia da discoteca. L'immagi- ne quasi folle di uno come tanti che passa i suoi giorni tutti uguali nella nebbia fra Melzo e Rodano, fra un bar fumoso e un locale da ballo, e che capisce improvvisamente di potersi sentire un eroe a spacciarsi per un mostro. «Sono un pugile», racconta ai poliziotti. Loro vanno a casa sua e lo chiedono alla mamma: «Sì, va in palestra», dice lei. Vanno in palestra e gli allenatori sogghignano: «Si allena da noi, solo questo». Lui invece tiene un diario puntiglioso. 71 incontri, 70 vinti e uno perso. Una sola vittoria per ko. Lo sfidante, tale Mack di Dusseldorf, è morto tre giorni dopo: «Mi dispiace per lui. Meglio per me». Per fortuna, Mack non è mai esistito. Ma chissà cosa è davvero esistito nella vita sbagliata di Stefano. Si sta già preparando per gli amici, per le sorelle: «Avete presente fuga da Alcatraz? Beh, mille volte peggio...». Pierangelo Sapegno In questura come segnasse un film Alle sorelle: sembra Fuga da Alcatraz Simone Allegretti A fianco il questore Achille Serra e a sinistra Stefano Spilotros, indicato come il mostro di Foligno e poi scagionato