Export ad ogni costo
Export ad ogni costo Export ad ogni costo L'Ice: bisogna riprendere quota o Francia e Spagna ci schiacciano VERONA. «C'era una volta il Made in Italy» è un slogan che non ha bisogno di spiegazioni, specie se riferito al vino. E' stato il tema di un convegno sul destino dei vini italiani nel mercato mondiale, tenutosi ieri a Lazise (Verona) organizzato dall'Anca Lega e dalle cantine associate. Con le esportazioni di vino il nostro Paese incasserà quest'anno quasi 2 mila miliardi di lire; non per niente siamo il primo Paese esportatore in termini quantitativi. Tuttavia, salvo poche eccezioni - come ha detto a Lazise il direttore gestioni normative dell'Ice, Filippo Luciano - «la presenza dei vini italiani in Europa non è proporzionata alle nostre capacità produttive e alle nostre tradizioni enologiche». Inoltre, si tratta d'una presenza non qualificata: «Anche se le vendite dei vini di qualità negli ultimi anni sono aumentate, il rapporto è ancora troppo sbilanciato tra vino esportato in bottiglia e quello allo stato sfuso, e tra vini a Doc e da tavola». Quindi, vendiamo all'estero vino di scarso valore: pur partecipando con il 30 per cento alle esportazioni mondiali, incassiamo soltanto il 20 per cento degli introiti valutari complessivi. La spiegazione sta in questi prezzi medi di vini esportati (listini 1991): vino in bottiglia 2800 lire il litro, Doc 2728, non Doc 964, sfuso 620 lire il litro. Questo «vendere male» è anche colpa della non buona immagine del nostro vino, come hanno ribadito, oltre lo stesso Luciano, il presidente del Gruppo Italiano Vini Cesare Selleri, e Pietro Pittaro presidente dell'Associazione enologi. Vediamola, dunque, questa immagine, confrontata con quella dei nostri diretti concorrenti, i francesi e gli spagnoli. La Francia rappresenta agli occhi del mondo «la patria del vino», con una superiorità culturale, più che produttiva. Quello francese - per un americano, un inglese, un tedesco non è «un vino», ma «il vino». La Spagna è il paese sfidante. Il suo vino si sta dotando di immagine, di pedigree. Ha il vantaggio di non avere i retaggi negativi che si ritrova l'Italia. E veniamo a noi. Il vino italiano ha un'immagine sostanzialmente simile in tutti i paesi, migliorata nel tempo ma non ancora ad alto livello. In passato era consumato soprattutto dai nostri emigrati: il simbolo era il bottiglione o il fiasco. Fino ad alcuni anni fa era legato a un'immagine di mediocre gastronomia italiana. Oggi ai vini di media qualità si sono aggiunti quelli più nobili, il prezzo medio è aumentato e la partecipazione dei Doc è cresciuta. Ma, come ha detto Luciano, non vendiamo in proporzione alle capacità della nostra enologia. Quali rimedi? Ovviamente, per prima cosa trovare spazi nel settore dei prodotti a maggior valore aggiunto (vini Doc). Poi entrare nei paesi ancora insufficientemente inesplorati, ma con forte potere d'acquisto, come ad esempio il Giappone. Terzo, tener conto che i ristoranti italiani non saranno più sufficienti ad assicurare un'ulteriore crescita del nostro export. E quindi trovare altre, nuove strade di penetrazione. Livio Burato
Persone citate: Cesare Selleri, Filippo Luciano, Livio Burato, Pietro Pittaro
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