Il giallo dei «gialli» di Oreste Del Buono

Il giallo dei «gialli» Poliziesco made in Japan Il giallo dei «gialli» ni 'ACCORDO, dire giallo per poliziesco è solo un uso italiano, e bisognerebbe, parlando di 1 romanzo poliziesco giapponese,'1"rinunciare agli scherzi sulla sovrapposizione di giallo a giallo, ma La belva nell'ombra di Edogawa Ranpo, appena uscito nella bella «Letteratura universale Marsilio» nella versione e a cura di Oraziana Canova, con una prefazione di Maria Teresa Orsi, costituisce una grande tentazione. Perché non è un semplice romanzo poliziesco, ovvero giallo, scritto da un autore giapponese, ovvero giallo, ma la lotta tra due autori gialli di gialli rifacentisi a due scuole di giallisti. Un supersupergiallo, in parole povere. Incominciando da Edgar Le origini del romanzo poliziesco in Giappone vengono collocate in era Meiji (18681912) e se ne individuano i primi modelli nella produzione occidentale legata a nomi famosi da Edgar Allan Poe a Arthur Conan Doyle eccetera. Tuttavia, come ricorda Maria Teresa Orsi in «Dal giudice al detective senza qualità», non diversamente da quanto era avvenuto in Occidente prima della fatidica apparizione nel 1841 del racconto Gli assassina della via Morgue., il genere, giallo era stato preceduto in Giappone da una produzione letteraria vastissima che ne annunciava le caratteristiche. In particolare, durante l'epoca Tokugava (1603-1867), narrativa e teatro elaborarono vari schemi precorrenti in qualche modo la narrativa poliziesca, quale il «racconto giudiziario» che, a sua volta, si rifaceva a un famoso testo di provenienza cinese, Casi paralleli all'ombra del pero, raccolta di 144 casi giudiziari completata nel 1211 da Gui Wanrong, funzionario durante la dinastia dei Song meridionali. E, risalendo verso i primi abbozzi di storie di intrighi e di cacce alla verità, la raccolta in questione contemplava una serie di enigmi risolti da famosi magistrati in un lungo arco di tempo, presso a poco, contando a ritroso e secondo il nostro modo, dal 1100 circa d.C. al 300 a.C. Progettato per fornire a magistrati e funzionari una guida pratica, come è specificato dallo stesso Gui Wanrong, Casi paralleli all'ombra del pero riveste interesse non solo dal punto di vista giuridico e dal punto di vista, per così dire, sociologico, ma anche dal punto di vista letterario, perché come similari manuali apparsi più tardi servì da spunto a innumerevoli racconti non solo cinesi ispirati al mondo del crimine. Un'edizione di Casi paralleli all'ombra del pero arrivò in Corca e, quindi, raggiunse il Giappone nel 1649 in una traduzione di impronta popolare accessibile al lettore comune per la presenza di una scrittura in gran parte fonetica e di una fraseologia piana destinata ad avere influenza su certa letteratura susseguente indebitata con il testo cinese, a cominciare dal titolo. Casi paralleli all'ombra dei ciliegi del nostro paese s'intitola, a esempio, una raccolta apparsa nel 1689 di Ihara Saikaku dedicata soprattutto a enigmi risolti dal famoso Itakura Katsushige, governatore di Kyoto dal 1601 al 1620 eccetera. Insomma, La belva nell'ombra, romanzo del 1928 di Edogawa Ranpo, nome d'arte di Hirai Tarò (1894-1965), per quanto la struttura possa apparire derivante dalle famose regole su come dovrebbe essere composto un romanzo giallo enunciate proprio nel 1928 dall'americano S.S. Van Dine, nome d'arte di Willard Huntington Wright (1888-1939), padre del famoso e pomposo detective Philo Vance, rispecchia una remota tradizione letteraria giapponese e cinese. Ma Edogawa Ranpo (pseudonimo che letteralmente vorrebbe dire «a zonzo lungo il fiume Edo», come precisa Graziana Canova in «Edogawa Ranpo: la vita le opere», ma che Hirai Tarò ha scelto perché nella pronuncia giapponese suona come Edgar Allan Poe) rispetta solo alcune delle regole di S. S. Van Dine, ovvero quelle che prescrivono che nel romanzo devono comparire un investigatore, un colpevole e una vittima; che il colpevole non deve essere un criminale di professione, ma deve uccidere per motivi personali e deve essere uno dei personaggi principali; che tutto deve essere spiegato razionalmente senza che intervengano clementi e avvenimenti fantastici. Ma in questo caso sia l'investigatore sia il colpevole sono romanzieri gialli, ovvero autori gialli di romanzi gialli, e Edogawa Ranpo trasgredisce palesemente a una delle regole di S. S. Van Dine, la regola che prescrive che da una detective story deve essere bandito l'amore. Investigatore e criminologo L'amore, invece, domina La belva nell'ombra. E' per amore della bella Shizuko, moglie di Oyamada Rokuro, che il giallista Samukawa si mette sulle tracce del giallista Oe Shundei. «Esistono due generi di scrittori di romanzi polizieschi», narra nell'incipit in prima persona Samukawa. «Uno è il criminologo che nutre interesse soltanto per il delitto in sé, un tipo di autore che, anche se scrive un racconto poliziesco "a enigma", non è soddisfatto se non raffigura passo passo la mentalità crudele del criminale. L'altro può essere definito un investigatore: molto equilibrato, ha interesse soltanto per lo svolgimento dell'inchiesta intellettiva; è lo scrittore che trascura del tutto la psicologia del criminale. L'autore di romanzi polizieschi Oe Shundei, di cui parlerò tra poco, appartiene alla prima categoria: io, al contrario, faccio parte piuttosto della seconda...». Teoricamente insomma i due erano già avversari prima che Shizuko, lettrice di romanzi polizieschi, si rivolgesse a Samukawa chiedendogli protezione contro Oe Shundei, che sarebbe il nome d'arte di un suo antico innamorato rifiutato e deciso a perseguitarla per farle scontare quel rifiuto. Samukawa cerca disperatamente Oc Shundei che non si lascia rintracciare. E l'indagine scivola, precipita, s'inabissa, nella tragedia più cupa e più sorprendente. La belva nell'ombra è un grande romanzo giallo, un classico del romanzo poliziesco rivelatore degli abissi della natura umana. Tanto giallo, troppo giallo per non essere nero. Oreste del Buono

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