Eroi e rivincita della radio in diretta un grande futuro

Eroi e rivincita della radio in diretta un grande futuro Dai pionieri del microfono alla tv: retroscena, strategie Eroi e rivincita della radio in diretta un grande futuro "Wl ROMA I ' HE invenzione, la «scatoI la sonora». E che straor|1 i dinario privilegio, per \é 1 l'umanità di questo secolo, «poter ricevere tra le pareti domestiche le voci del mondo esterno». Esce per la prima volta in Italia una storia della radio, un inno a quell'apparecchio magico che ha portato nelle case degli italiani canzonette ed echi di tragedie lontane, chiacchiericcio e solenni proclami, svago e schianti d'emozione. Mille volte data per spacciata, mille volte risorta, la radio italiana ha ora trovato il suo monumento. Per la verità il libro di Franco Monteleone che uscirà tra qualche giorno da Marsilio si intitola Storia della radio e della televisione in Italia. Ma in queste oltre cinquecento pagine folte di nomi, programmi, cifre e trasmissioni, il racconto dei trionfi della Grande Sorella televisiva non offusca la strenua ed eroica battaglia ingaggiata dalla Cenerentola per non soccombere alla schiacciante potenza della dittatura delle immagini. Monteleone, dirigente della terza rete radiofonica della Rai, di certo non minimizza la rivoluzione portata in Italia dalla televisione. Scorrono nel suo libro eroi e miti del teleschermo e anche i nomi degli uomini che hanno dato un volto e una fisionomia alla tv, a cominciare da Ettore Bernabei, cui l'autore, uomo di sinistra, non risparmia elogi. Ma è la «scatola sonora» la vera protagonista del libro, indispensabile voce d'accompagnamento per quei 29 milioni e 800.000 connazionali di Guglielmo Marconi che, dati ufficiali Audiradio, si mettono giornalmente all'ascolto della radio. Ed eccola, l'epopea di quello strumento dapprima mastodontico e ingombrante e poi, con l'invenzione del transistor, sempre più invisibile e personalizzato, che ha formato carattere e mentalità degli italiani. Ecco i primi balbettii, 1924, di una radio che offre alle poche migliaia di abbonati musica classica, bollettini e rare conversazioni. Poi, nel 1926, la prima timida apparizione della «reclame radiofonica». E poi l'irreggimentazione radiofonica promossa dal fascismo, la radio come «veicolo di addottrinamento», amplificatore di ogni detto mussoliniano, spia della prodigiosa potenza politica di uno strumento trionfante nell'America rooseveltiana come nella Germania di Hitler. Ma anche gli sketches di Vittorio De Sica e Umberto Melnati che si concludono immancabilmente con il celeberrimo «dura minga!». Con Campanile e Zavattini Gli italiani, scrive Monteleone, fischiettano «i motivi orecchiabili del Trio Lescano e del Quartetto vocale dei fratelli Mida». Collaborano alla radio Achille Campanile e Cesare Zavattini. La Buitoni e la Perugina inaugurano l'era delle sponsorizzazioni. Ma è con le prime dirette degli eventi sportivi che la radio raggiunge una dimensione di massa. Si comincia con l'incontro di boxe Bosisio-Jacovacci nel 1928. Si prosegue col Giro d'Italia, la Mille Miglia e la Targa Florio. Poi arriva il calcio, autentica mania nazionale. E viene consacrato come il più famoso radiocronista sportivo Nicolò Carosio, che assieme a Mario Ferretti, Giovanni Buratti e Alfredo Gianoli comunica l'è- mozione di eventi non visti agli italiani stretti attorno all'apparecchio radiofonico. Scoppia la guerra, e nel crepuscolo del fascismo anche l'etere diventa un campo di battaglia. Imperversano le sparate di Mario Appelius, «linguaggio diretto e colorito, condensato in frasi brevi, in modo da creare una comunicazione di tipo altamente drammatico». Risponde da Radio Mosca Mario Correnti alias Palmiro Togliatti. E poi gli storici rintocchi che annunciano Radio Londra. Radio Bari, la «prima voce sonora della democrazia italiana», dove lavorano tra gli altri Anton Giulio Majano e Giorgio Spini. Radio Napoli, con Antonio Ghirelli, Raffaele La Capria, Luigi Compagnone e Maurizio Barendson. Radio Palermo, affidata al sergente americano di origine polacca Misha Kamenetzki, noto come Ugo Stille. E venne «La voce dei partiti» Nell'Italia democratica, l'Eiar diventata Rai inaugura la stagione dell'informazione pluralistica con un titolo che oramai suona come un beffardo scherzo della storia: «La voce dei partiti». Ma è attraverso un saluto che farà epoca, «cari amici, vicini e lontani», che l'Italia libera stringe il suo legame sentimentale con la radio. Lo pronuncia Nunzio Filogamo presentando nel 1951 la prima edizione del Festival di Sanremo. E in quegli anni, mentre si svolgono le prime «prove tecniche di trasmissione» della tv, gli italiani si familiarizzano con i personaggi del varietà e della rivista trasmessi dalla scatola sonora: Nino Taranto e Renato Rascel, Walter Chiari e Franca Valeri, Carlo Dapporto e Carlo Croccolo. Nel frattempo Mike Bongiorno spopola con «Il motivo in maschera», che la nuova tv riproporrà con «Il musichiere» di Mario Riva. Arriva, prepotente e seducente, l'era della televisione. Per la radio s'annuncia la stagione più difficile. Ma la «scatola sonora» dimostra una vitalità che le consentirà di passare indenne attraverso la tempesta. E mentre gli italiani scoprono il piccolo schermo, nascono nondimeno programmi destinati a uno straordinario successo. Con «Clausura» nel 1958 Sergio Zavoli realizza attraverso la radio un'impresa inaudita avvicinando le «recluse» di un monastero di carmelitane scalze a Bologna. Debutta Alighiero Noschese con «La trottola» e Maurizio Costanzo, con il «Cabaret delle 22», perfeziona un genere che gli porterà molta fortuna: il talkshow. Arriva la trasgressione via radio. Prima «Bandiera gialla», «severamente vietato ai maggiori di anni 18», poi «Per voi giovani», trasmissione culto per la nuova generazione. Ne sono ar¬ tefici, rispettivamente, Gianni Boncompagni e Renzo Arbore che, insieme, inaugureranno nel 1970 «Alto gradimento», stravagante galleria di personaggi, «modello - nota Monteleone - di quasi tutte le radio libere apparse nel decennio». Alcuni programmi, specie nella fascia oraria del mattino, diventano appuntamento fisso degli italiani. «Gran varietà» di Amurri e Jurgens rivolge con puntualità la buona domenica all'Italia. «Il Gambero» di Enzo Tortora inventa il genere del «quiz alla rovescia». La «Corrida» di Corrado porta in scena un incredibile campionario di umanità bizzarra. E nel 1966 con «Chiamate Roma 3131» condotto da Franco Moccagatta ha inizio la «febbre del telefono» da parte dell'ascoltatore ignoto, la smania contagiosa di partecipare, dire, interloquire «in diretta» che farà strada nella radio come nella televisione. Siamo oramai agli Anni Settanta. Scoppia la rivoluzione delle radio private. C'è Radio Radicale e a Milano Radio Popolare. Un'emittente bolognese, Radio Alice, diventa il quartier generale del movimento del '77. Ma inizia anche l'era del disc-jockey, singolare figura a metà strada tra l'imbonitore, il capotribù e l'amministratore dei nuovi gusti musicali. La radio resiste, inseguita dalla voracità della tv rinasce attraverso mille metamorfosi. Gianni Bisiach, con «Radio anch'io», calamita verso la radio un'audience invidiata da molte trasmissioni televisive. E ogni domenica si rinnova implacabile l'immagine del maschio italiano con la radiolina incollata all'orecchio per seguire con trepidazione «Tutto il calcio minuto per minuto». Per la radio si annuncia un grande futuro. Pierluigi Battista 1 Monteleone storico di sinistra rivaluta la Rai di Bernabei Così cominciarono Tortora Corrado e Mike Bongiorno. Le follie di Alto gradimento 3131, la febbre del telefono 1 A destra Gianni Bisiach, che con «Radio anch'io» calamita un'audience invidiata da moke trasmissioni televisive Sotto. Claudio Villa e Nunzio Filogamo In alto, Arbore e Corrado presentatori radiofonici A destra Mario Riva A sinistra Nicolò Carosio tra Veltroni e la Pasquini Sotto, Aldo Fabrizi, Boncompagni e Moccagatta al «3131 »