Caro Costanzo, l'amore non fabbrica ghetti di Maurizio Costanzo

Caro Costanzo, l'amore non fabbrica ghetti PANEALPANE Caro Costanzo, l'amore non fabbrica ghetti ON è stata una battuta «coi baffi», ma soltanto una incredibile sciocchezza quella di Maurizio Costanzo. Attribuendosi (sono gli scherzi dell'audience televisiva) un esagerato magistero intellettuale e morale, ha detto che il Cottolengo dovrebbe essere cancellato, perché espressione di una cultura del ghetto, assimilabile a una delle mille forme di razzismo che imperversano per il mondo. Il ragionamento di Costanzo - per quello che si riesce a cogliere sotto l'offesa gratuita - mi sembra decisamente zoppo. Quando ammettiamo l'egoismo e la stoltezza di molti benpensanti che vedono nel Cottolengo un museo degli orrori (e frequentano con assoluta imperturbabilità i «mostri» comuni, quotidiani, che vivono all'esterno) non abbiamo risolto niente. Resta il discorso di fondo, se dobbiamo mettere fuori o no i ricoverati, compresi quelli che costituiscono il nucleo «forte» della cittadella. Affideremo alle cure delle Usi commissariate i portatori di handicap totale? Faremo giocare alla palla nei giardini pubblici i fratelli siamesi? O lasceremo che un dolce mattocchio torni a dormire sulle panchine, per offrirsi al rogo di qualche sciagurato teppista? Basti pensare a come funzionano i centri dì igiene mentale ipotizzati dalla legge Basaglia; all'aria che si respira in una società dove, non soltanto i feti, ma i neonati vengono buttati nei bidoni della spazzatura. Dove i vecchi, se non sono così arzilli e assatanati da lavorare fino allo stremo, tendono a essere evitati, letteralmente non visti, come se fossero messaggeri di ferali annunci. Parlare di ghetto, a proposito del Cottolengo, è un nonsenso. Il ghetto semmai è quello privilegiato della nostra coscienza. Le porte di quella incredibile città sono aperte a chiunque: ai parenti, agli amici, ai giovani volontari che danno prova di una straordinaria, allegra abnegazione. Sono spalancate agli spiriti randagi, per necessità o vocazione, che rimediano un piatto di mi^ìestra, si assoggettano a una doccia, si fanno medicare un piede. Fedeli per giorni all'appuntamento, all'improvviso spariscono, come gli uccelli di passo. Barboni, extracomunitari, persone disturbate nello spirito... Si obbietta: il Cottolengo, come altre forme di volontariato, svolge un'azione di supplenza che dovrebbe apparire superflua in uno Stato ideale. Appunto per questo, giù il cappello. A parte il fatto che, nel deserto dell'emarginazione, c'è spazio per tutti. Non è stato detto abbastanza autorevolmente - me lo conceda Costanzo - che «ci saranno sempre dei poveri fra di noi»? E se vogliamo prenderla più bassa: è proprio il caso, nell'Italia delle tangenti, dell'intreccio mafiapolitica, dell'insolvenza economica sparare contro una istituzione che riesce a funzionare come una azienda moderna, scommettendo paradossalmente sul grado zero dell'umanità e della pietà? Anni e anni fa Italo Calvino «entrò» da scrittore nel Cottolengo. Armato di spiriti libertini, non intendeva vietarsi provocazione è 3T* leggio. Ne ricavò un senso di inquietudine, come se fosse'vittima di una'soave'e1 insieme ferrea sopraffazione: «L'idiota e il "cittadino cosciente" erano uguali in faccia all'onniscienza e all'eterno, la Storia era restituita nelle mani di Dio, il sogno illuminista messo in scacco». Si arrese infine alla sostanza di quell'altra utopia annidata nel cuore di Torino: «L'umano arriva dove arriva l'amore, non ha confini se non quelli che gli diamo». Ma quanti sono ancora disposti, nel grande spreco di sé e nell'universale blablà, a confrontarsi con le cose vere, che si possono toccare con mano? Quanti trovano il tempo di leggere o rileggere le parole ferme di un libro? Lorenzo Mondo ido

Persone citate: Barboni, Basaglia, Italo Calvino, Lorenzo Mondo

Luoghi citati: Italia, Torino