Torna il pentito e racconta «Così massacrarono Livatino»

Torna il pentito e racconta «Così massacrarono Livatino» Caltanissetta, la fuga prima di deporre è stata una mossa per avere più soldi Torna il pentito e racconta «Così massacrarono Livatino» CALTANISETTA NOSTRO SERVIZIO Stavolta il pentito Gioachino .Schembri ha accettato di presentarsi davanti allo schermo tv per la prima videoconferenza via satellite della storia giudiziaria italiana. L'altro ieri Schembri, 37 anni, sparito per alcune ore dalla circolazione, disertò l'appuntamento con la Corte d'assise. «Ho avuto un momento di sconforto - ha spiegato -. Mi sono sentito abbandonato dallo Stato dal punto di vista economico». Il mistero della momentanea scomparsa, quindi, è stato spiegato dallo stesso pentito: ha voluto «bussare a cassa» per ottenere, prima di parlare davanti ai giudici di Caltanissetta, un adeguamento dei fondi assegnatigli in cambio della collaborazione. Per motivi di sicurezza s'è preferito tenerlo nella località segreta dove è protetto dai carabinieri dei Ros. Nell'aula dove è in corso il processo di mafia per l'omicidio del giudice agrigentino Rosario Livatino, addetto alla sezione del tribunale per le misure antimafia, le immagini e la voce del pentito hanno tenuto banco per ore. Ma su richiesta del difensore Francesco Crescimanno non è stato ripreso il volto di Schembri. L'udienza si è svolta a porte chiuse. Schembri ha confermato tutte le accuse a Gaetano Puzzangaro, 27 anni, indicatoda lui e da un pentito tedesco, Heiko Kshinna, come uno dei killer che massacrarono il magistrato la mattina del 21 settembre 1990. Ma il teste-bomba sul quale il pm Francesco Polino tanto confidava si è rifiutato di accusare gli altri due imputati, Paolo Amico e Domenico Pace, catturati dai carabinieri e dalla polizia tedesca in Germania poco tempo dopo il feroce agguato avvenuto sulla superstrada Agrigento-Caltanissetta. «Non li conosco e non ne so niente» ha risposto Schembri, che come i tre accusati è originario di Palma di Montechiaro, dove le co- sche mafiose negli ultimi anni sono cresciute a dismisura. Secondo l'accusa, la condanna a morte di Livatino fu decisa per dare «un nuovo segnale» agli altri giudici, con il duplice intento di intimorirli e di eliminare uno dei magistrati più decisi e impegnati nella lotta ai boss. Complessivamente Schembri, che a Mannheim, vicino a Colonia, gestiva una pizzeria frequentata da molti emigrati siciliani parecchi dei quali con un passato non proprio cristallino, è stato sottoposto a 150 domande. Si è rifiutato di rispondere a 50, quattro delle quali rivolte dall'avvocato Vittorio Mammana, patrono di parte civile per i genitori della vittima. Fra le risposte che il pentito non ha dato una riguarda la causale del delitto. Poi è stato laconico, soprattutto quando si è parlato di Amico e Pace e di altri del commando rimasti ignoti. A niente è valso il richiamo del presidente Renato Di Natale: «Lei è un collaboratore della giustizia». Lui pronto, di rimando: «Sì, sono collaboratore ma mi rifiuto di rispondere circa gli altri nomi per motivi di sicurezza e per le indagini». A questo punto tuttavia Schembri non ha esitato ad affermare che Puzzangaro non gli aveva mai parlato di Amico e Pace ora sul banco degli imputati. «Mi disse solo alcuni nomi. Non tutti. O non lo so» ha aggiunto il pentito, replicando ancora al presidente che con insistenza ha provato a strappargli altri particolari. Schembri si è dilungato invece senza riserve su Puzzangaro, indicato dai carabinieri come uno dei giovani assoldati dai boss in Germania, un killer-pendolare per fulminee missioni di morte in Sicilia. Viaggi rapidi: arrivo in aereo nell isola, il delitto, l'immediato ritorno in Germania. Qui ormai gli investigatori antimafia danno per certo il trapianto di numerosi boss e di loro prestanome. Questi ultimi, utilizzati in particolare nel riciclag¬ gio di un vero fiume di denaro «sporco», proveniente dal traffico internazionale della droga. E per Puzzangaro indubbiamente la deposizione via satellite del pentito si è rivelata un colpo durissimo. Schembri ha confermato che fu lui stesso, forse per «farsi bello», a confidargli, presente Kshinna, di essere uno degli assassini di Livatino. «Fu lui a sparare a Livatino - ha precisato Schembri -, quando il giudice si fermò con la macchina e corse verso la campagna. Livatino gli domandò: "Cosa vi ho fatto?". E Puzzangaro rispose: • "Tieni, pezzo di merda". E sparò. Puzzangaro era armato con un mitra e una calibro 9. Prima usò il mitra, pensava fosse caricato a raffica, invece era singolo e restò deluso. Quando raggiunse il giudice, gli sparò con la pistola in bocca». Particolari agghiaccianti che proverebbero la buona fonte del teste, che ha proseguito nella sua deposizione citando altre circostanze. Schembri ha aggiunto infatti che Gaetano Puzzangaro ebbe affidato un altro delitto che però fallì. «Mentre percorreva una strada di campagna - ha riferito - la sua auto si ribaltò e dal fucile partì un colpo che lo ferì al pollice del piede destro. Mi mostrò anche la ferita». Ed inoltre al presunto killer sarebbe stata commissionata anche l'uccisione di Pietro Ivano Nava, il rappresentante di commercio brianzolo che, impietrito, assistette dalla sua auto a breve distanza alla feroce esecuzione di Livatino e che, raggiunto il primo telefono pubblico, telefonò al 113 avvertendo la polizia. Nava riconobbe poi in Amico e Pace due dei killer. Schembri ha anche raccontato che Puzzangaro gli confidò di essere stato «rimproverato» per non aver ucciso anche lo scomodo testimone. Il processo riprenderà martedì. Antonio Ravi dà Schembri inchioda uno dei killer mafiosi «Il giudice gridò ai sicari: perché mi uccidete?» «L'assassino lo insultò e gli sparò in bocca» La scena dell'omicidio Livatino e l'aula del processo (a sinistra) ilSlt Il giudice Rosario Livatino, sul cui omicidio il pentito Schembri ha rivelato macabri particolari

Luoghi citati: Agrigento, Caltanissetta, Colonia, Germania, Mannheim, Palma Di Montechiaro, Sicilia