«Missili a Cuba, vidi le lettere che salvarono il mondo»

«Missili a Cuba, vidi le lettere che salvarono il mondo» La crisi atomica 30 anni fa. Azhubej, genero di Krusciov, svela i retroscena sul carteggio fra Kennedy e il capo sovietico «Missili a Cuba, vidi le lettere che salvarono il mondo» MOSCA DAL NOSTRO INVIATO «Se non impazzisco per questo trentesimo anniversario della crisi di Cuba, vuol dire che finirò i miei giorni sano di mente. I corrispondenti stranieri fanno la fila per ascoltare i miei ricordi. Ma solo gli stranieri. I russi non vengono. Si rivolgono a un gruppo ristretto di gentiluomini che, evidentemente, sanno tutto. Per esempio al figlio di Gheorghij Arbatov, Jurij. Oppure a Serghei Nikitic, il figlio di Krusciov, che allora aveva 17 anni, pensi un po'. Oppure al figlio di Mikojan. E poi c'è Dobrynin, allora ambasciatore a Washington, che dice cose così stravaganti... Pensi che recentemente ha "rivelato" che Pliev, il comandante delle nostre truppe a Cuba, aveva avuto da Krusciov l'autorizzazione di schiacciare il bottone nucleare in caso di necessità. Balordaggini». Aleksei Ivanovic Azhubej è di cattivo umore. Lui sì che ne sa di cose, anche se - dice - «ancora non mi sono liberato dalle vecchie abitudini e non mi decido a dire tutto. Ci sono questioni che forse dovrei portarmi nella tomba. Ma forse faccio male, forse mi deciderò a scriverne...». Il 23 ottobre di 30 anni fa John Kennedy decretò il blocco a Cuba. Il genero di Krusciov era in una posizione ideale per osservare da vicino quello che accadeva nelle alte sfere: direttore delle Izvestija, messaggero personale del leader in molte missioni riservate che si svolgevano fuori dei canali ufficiali di partito e di Stato. «E' ovvio che seguii la crisi molto da vicino. Non che Krusciov mi raccontasse niente. In famiglia era assolutamente riservato. Ma mi aveva affidato spesso compiti delicati. E lui sapeva che conoscevo Kennedy meglio di chiunque altro a Mosca. L'avevo visto a Vienna, nel maggio 1961, quando s'incontrò con Krusciov. E voglio rivelarle un segreto: la corrispondenza tra Kennedy e Krusciov, che prese avvio nei mesi successivi a Vienna, passava tutta nelle mie mani. Dobrynin, per esempio, non sa- peva neppure di quelle lettere. Krusciov le dettava a me e a Oleg Troianovskij...». Vuol dire che neppure il Presidium ne veniva informato? «Esattamente. Era un patto bilaterale. Anche Kennedy le teneva segrete. Credo che solo Pierre Salinger, suo portavoce, le leggesse. Forse anche McNamara, allora segretario di Stato. Nessun altro. Il postino era Jurij Bolshakov, nostro agente laggiù». Ma quella corrispondenza era dettata da precise circostanze politiche? «Non necessariamente. Erano scambi di vedute anche estemporanei. Sarebbe giunto il momento di pubblicarli. Noi siamo pronti, sono passati 30 anni. Ma gli americani ancora non vogliono. Chissà perché. Tra l'altro ricordo che Krusciov non ammetteva la minima correzione. Usava espressioni popolari, del linguaggio parlato, semplice. Non era un uomo colto. E quando cercavo di abbellire letterariamente le sue lettere, Nikita Sergheevic diceva seccamente di no. Seppi poi da Pierre che questo commuoveva molto Kennedy». Pensa dunque che la crisi di Cuba avrebbe potuto finire male se tra i due non ci fosse stato, in precedenza, quel lungo dialogo a distanza? «In un certo senso è così. Krusciov era un personaggio molto contraddittorio. Dopo il suo viaggio in America, ai tempi di Eisenhower, era tornato entusiasta, euforico. Diceva che Russia e America dovevano diventare amiche. Anche per calcolo. Aveva capito che l'America era molto più avanti di noi e che avremmo potuto imparare molto. Ma poi, circa un anno dopo, nel 1960, ci fu l'episodio dell'U-2 abbattuto nei cieli di Russia. E Krusciov si sentì ingannato, offeso. Quell'episodio rafforzò tutte le sue diffidenze. Ma è ovvio che subiva le pressioni dei militari. Ed è anche vero che in lui rimase sempre lo stalinista che pensava che con quella gente bisognava trattare da posizioni di forza. E noi, proprio allora, la forza l'avevamo ottenuta. Eravamo più avanti degli americani nel campo dei missili pesanti. E non bisogna dimenticare che proprio Kennedy fu l'iniziatore della corsa alle armi atomiche. Quando gli riferirono che l'Urss aveva già una trentina di missili strategici e gli proposero di costruirne 50 o 60, lui rispose: perché non mille? Mi ricordo il loro scambio di battute, a Vienna, sulla,vicenda cubana. Krusciov chiese a Kennedy, con evidente sarcasmo: "Signor Presidente, il tentativo d'invasione della Baia dei Porci è avvenuto il 17 aprile. Si dà il caso che sia il mio compleanno. L'avete fatto apposta per farmi un regalo?". Kennedy rispose imbarazzato: "Per la verità non so. Non ho partecipato"». Secondo lei chi prese la decisione di installare i missili a Cuba? Krusciov era stato informato - come hanno rivelato recentemente i giornali russi - che il 20 febbraio 1962 la Cia e il Pentagono avevano presentato a Kennedy un secondo progetto d'invasione dell'isola (dopo quello della Baia dei Porci), che avrebbe dovuto essere attuato proprio in quel fatidico ottobre? «Sono convinto che la decisione fu presa personalmente da Krusciov, ma so che ne discusse a lungo con il maresciallo Malino- vskij, l'allora ministro della Difesa. Non so quanto siano attendibili le recenti rivelazioni. Certo è che Krusciov temeva qualcosa». Riuscirebbe a precisare il momento in cui la decisione fu presa? Secondo altre rivelazioni recenti di parte russa, l'<(Operazione Anadyr» cominciò nel luglio 1962. Le navi coi missili cominciarono a salpare dai porti di Nikolaev, Sebastopoli, Odessa, Leningrado e Murmansk. In tutto furono fatti 185 viaggi e vennero impiegate 85 navi. «Credo che la decisione finale sia stata presa nell'estate del 1962, dopo la visita a Mosca di Raul Castro. Era venuto per chiedere altre armi, ma anche per lanciare l'allarme. Va detto comunque che Cuba era già piena di armi e soldati sovietici». Cosa seppe il pubblico sovietico della crisi di Cuba? «E' la risposta più breve della mia vita: niente, assolutamente niente. Io qualcosa sapevo, ma nemmeno mia moglie Rada sapeva niente. Le radio occidentali non riuscivano a superare le barriere dei nostri disturbi. Nessuno evacuò i figli fuori città. Krusciov ci portò tutti a,teatro, al Bolshoi, la sera del 26 ottobre. Ricordo che davano il "Boris Godunov". E io pensai che la crisi era finita. Molto tempo dopo si venne a sapere che, proprio in quelle ore Kennedy aveva fatto le tre famose proposte: voi smantellate le rampe e le portate via sotto il controllo dell'Orni; noi togliamo il blocco navale; noi garantiamo pubblicamente che non attaccheremo Cuba». E cosa pensava Krusciov di Fidel Castro? «Quando Castro proclamò che Cuba era diventata comunista, nel '59, eravamo in vacanza sul Mar Nero. Krusciov disse: "Ci mancava solo questa". Intuiva che quei giovanotti barbuti avrebbero potuto trascinarci in qualche avventura. Erano ingo¬ vernabili. No, non erano banditi. Una specie di asceti, di partigiani a oltranza. Penso che, in seguito, Krusciov abbia tenuto conto di quell'esperienza quando rifiutò di lanciare il programma di costruzione delle portaerei e scelse missili e sommergibili nucleari. Diceva: "Se avremo delle portaerei ve lo immaginate quanti ci chiederanno di andare a difendere le loro rivoluzioni?"». Castro disse in seguito che tutto era cominciato non a ottobre, ma prima. Perché? «Aveva ragione. La crisi di Cuba fu l'apice della guerra fredda. Il muro di Berlino era appena stato tirato su, ci fu un momento molto critico al famoso "Checkpoint Charlie". Kennedy aveva detto che, se fosse successo qualcosa in Germania, l'America avrebbe cominciato la guerra. Noi coprivamo d'insulti l'America. Nel gennaio 1962 ero in Brasile. Mi telefona Bolshakov da Washington: "Non vuoi fare colazione con me in America?" Era il nostro codice. Quando arrivai mi disse: "Kennedy ti vuole vedere". Fu un lungo colloquio. Il Presidente esordì così: "Temo che i vostri diplomatici possano non trasmettere a Krusciov quello che gli voglio dire. So che lei lo farà". Fu conciliante, ma molto aspro. Ebbi l'impressione che fosse sincero, ma anche molto preoccupato. "Forse il signor Krusciov - disse - pensa che sono troppo giovane per prendere una decisione di forza. Ma si sbaglia. E gli dica anche che misuri i suoi atti tenendo conto dei vincoli cui io sono sottoposto. Ne tenga conto. Gli dica che dovrò essere duro con voi. E che in America un Presidente può anche essere ucciso"». Giulietta Chiesa «Quando vinse Fide! mio suocero disse: ci mancava solo questa» «Nikita usava frasi popolari il presidente Usa era commosso. Vorremmo pubblicare tutto magli americani non vogliono» Foto grande: in piedi, Azhubej e Sergei, figlio di Krusciov. Seduti, il leader e laSnoglie di Azhubej Sopra, John Kennedy. A fianco, Fidel Castro. A sinistra, i missili a Cuba