Arriva il mostro, bimbi scortati di Giuseppe Zaccaria

Arriva il mostro, bimbi scortati Arriva il mostro, bimbi scortati A Foligno aspettando Spilotros e la verità LA PROVINCIA DELL'INCUBO FOLIGNO DAL NOSTRO INVIATO «A me mi hanno detto di stare attento», racconta Roberto, con la palletta ancora in mano. Attento a che cosa? «Attento alla prevenzione». Ma sai cosa significa, prevenzione? «Boh... c'entra con Simone che è stato ammazzato?». Aspettando il Mostro, i ragazzi giocano dinanzi alla serranda di un magazzino, e ogni tanto i carabinieri in borghese rimandano loro la palla. Che strano: c'è chi attende Stefano Spilotros con «flash» e telecamere e chi con scetticismo, anzi con quella specie di rassegnazione estenuata che sembra già due passi oltre la cronaca. Arriva il Mostro, anzi il presunto, il possibile, l'improbabile. Insomma, lui. Fra qualche ora l'accompagneranno a riconoscere i luoghi: voi di Maceratola, voi che pensate che avrebbe potuto toccare a vostro figlio, come l'aspettate? «Io non lo so, sento la televisione, leggo i giornali: ma se qui ci tolgono le scorte vado a protestare pure al ministero...». La casa di Simone Allegretti è lì, a meno di cento metri. Qui, sul bivio sterrato, ce ne sono altre due che si guardano, e dinanzi alle quali giocano ancora i bambini. Ma sono bambini scortati. Pensate: piccoli che ogni mattina si recano a scuola con un pulmino se- guito dai carabinieri. Sono Paolo Mongini, dodici anni, e Roberto Modestini, undici, uno figlio del postino, l'altro col papà disoccupato. Sonò quelli cui due settimane fa una telefonata del «mostro» aveva fatto cenno: «Adesso ucciderò uno dei due». Stanno giocando assieme. Vedere quanta gente è schierata a difenderli, in un pomeriggio qualsiasi, nel fango in uno spiazzo di campagna, stringe il cuore. ■ Non è solo questione di sensazioni, ma in qualche modo anche di logica: se qui siamo arrivati a scortare anche i bambini, quanto credete che poliziotti e carabinieri siano convinti della pista milanese? «Io non ne so niente, non ne capisco più niente, sono ignorante, ma sembra che anche gli altri ci colgano poco», fa Domenico Modestini, il padre di Roberto. Indossa una specie di tuta e sta lavorando a un ampliamento della casa. «Certo, qui cominciano a farci impazzire: non per questi ragazzi che stanno qua, poveretti. Passano le giornate davanti casa, ogni tanto li invitiamo a prendere qualcosa. Ci danno sicurezza, e guai se se ne andassero. Ma si può vivere con un figlio seguito dai carabinieri?». Perché, voi pensate che il maniaco non sia quello che è in carcere? «E come si fa a crederci? Sento la tv, stamattina ho visto i manifesti dei giornali...». Dice le locandine, quelle attaccate alle edicole? «Sì, quelle lì: è lui, non è lui, ce n'è un altro, ha rinnegato tutto. Quello dell'altra notte, per esempio, che fine ha fatto?». L'hanno rilasciato, non c'entrava nulla. «Ecco: e noi qua che facciamo? Per quanto mio figlio potrà vivere così? E se fra un mese non avranno risolto nulla, che succederà? Toglieranno le scorte, e noi qui a vivere con l'incubo di dove sono i bambini?». Non si può: il padre di Paolo Mongini ne sembra già convinto, tanto che ti presta ascolto per cortesia, ma poi taglia corto: «Non ne voglio sapere niente, non ne capisco più niente. Qui stiamo diventando tutti pazzi». E il padre di Roberto, che intanto si è scaldato: «Guardi qui: queste sono le canne da pesca di mio figlio. Fino a tre settimane fa le usava quasi tutti i pomeriggi, e noi a raccomandarci che non si avvicinasse troppo al fiume, che scendesse la sponda lì dove è solida. Adesso come fa? Può andare a pesca coi carabinieri? Qualche giorno fa, per fargli fare qualcosa l'abbiamo portato con noi a un grande magazzino, e i carabinieri che poi si sono allarmati perché avevamo preso un'altra uscita. Si può vivere così? Si può vivere fidandosi ogni giorno di una notizia che poi è una bufala?». No, che non si può: come non se ne può più di correre dietro a piste, sentieri, tratturi, tracce che poi finiscono puntualmente nel fango, e non solo a causa del maltempo. C'è una casa, a Montefalco, un tiro di schioppo dai luoghi dell'omicidio, intorno a cui si è scatenata una sarabanda infernale. Appartiene a Giuseppe Sciabordi, 68 anni, emigrato a Gorgonzola per fare l'operaio: qualche giorno fa tornando al paese il proprietario ha trovato forzata la porticina d'ingresso, e all'interno dei sacchi con qualche traccia di sangue. Quella casa è sigillata da giorni, da giorni hanno indagato, approfondito, analizzato le macchie di sangue, senza approdare a nulla. E pure, l'immagine di una «casa degli orrori» continua a esercitare fascino. Prendiamo Fabio Paci, ventidue anni: sua madre è cugina della signora Allegretti, qualcuno l'altra sera lo ha descritto a un passo dall'arresto. Adesso, continuando a sbucciare patate nella pizzeria «Marechiaro», lui racconta tranquillo che dal commissariato gli hanno detto che vogliono parlargli, ma non c'è alcuna fretta. Aspettando il mostro, la sensazione che l'intera costruzione stia crollando si avverte sempre più sgradevole. Poche ore, e Stefano Spilotros sarà qui, con qualcuno che lo inviterà a dire: «Dai, mostra che strada hai fatto, dove hai svoltato, dov'era il bar in cui hai portato Simone». Una specie di grottesca e disperata ultima prova. Forse c'è una sola persona a cui questa attesa non dispiace del tutto: «A me questa cosa mi diverte - fa Roberto Modestini -. Ogni mattina il pulmino passa a prendermi e dietro vengono i carabinieri. E poi mi riportano indietro. Sono simpatici». Giuseppe Zaccaria A Foligno, in attesa del sopralluogo con Spilotros, le indagini continuano

Luoghi citati: Foligno, Gorgonzola, Montefalco