Aveva «tradito» Cosa Nostra nell'era di Falcone e Borsellino

Aveva «tradito» Cosa Nostra nell'era di Falcone e Borsellino Aveva «tradito» Cosa Nostra nell'era di Falcone e Borsellino IL TEOREMA DI BUSCETTA PALERMO I L filo della memoria tenuto H da uomini d'onore pentiti restituisce oggi, nell'era delle stragi mafiose, il quadro prima idilliaco poi controverso e cruento di un abbraccio tra Cosa Nostra e politici. Un lungo abbraccio, cattivo affare per la politica, che si è prò--' tratto per decenni sullo sfondo di una città ostaggio del connubio. Sembra di rivedere la storia di Palermo alla moviola, sfogliando le pagine del provvedimento giudiziario che rivela i retroscena della morte violenta di Lima. Era già stato «licenziato» da Cosa Nostra, «Salvino», quando il 12 marzo di quest'anno due killer lo finirono a Mondello. «Licenziato» perché, dicono i pentiti, colpevole di un clamoroso voltafaccia nei confronti di Cosa Nostra, nel momento in cui le «famiglie» avevano più bisogno, messe-all'angolo dal pool e dal maxiprocesso. Era l'ambasciatore della mafia a Roma, Lima. Per anni il suo ruolo era stato quello di cerniera tra la politica e gli interessi dei padrini. Eppure non era il solo referente. Dalla prodigiosa memoria di uomini come Gaspare Mutolo e Leonardo Messina, dalle carismatiche riflessioni di Buscetta, dai ricordi freschi di giovani boss come Giuseppe Marchese e Francesco Marino Mannoia, viene fuori il quadro di un sistema che regola i rapporti tra Inonorata società», il mondo della politica e gli uffici giudiziari da «addomesticare». Dice Gaspare Mutolo, un tempo autista del capo dei capi don Totò Riina e braccio destro della «buonanima» di don Saro Riccobono «il terrorista», che per capire l'omicidio Lima bisogna partire da lontano. Dall'inizio degli Anni Settanta, quando la mafia, una parte della politica e qualche giudice andavano a braccetto. La linea politica di Cosa Nostra era della «mediazione e della convivenza». Le «coppole» votavano e facevano votare de, il partito che «dava maggiori garanzie per gli interessi dell'organizzazione». E in quegli anni, i due leader più «accreditati» presso il tribunale erano Lima e Giovanni Gioia. Ma neppure l'on. Giovanni Matta scherzava, in quanto ad amicizie. Mutolo ricorda che fu Lima a interessarsi, tramite i buoni uffici dell'esattore Ignazio Salvo, al processo che lo vedeva imputato di omicidio. Certo, qualche precauzione bisognava pur prenderla. Non era possibile perciò che tutti si rivolgessero direttamente all'onorevole. Bisognava percorrere la via istitu7i'o- naie, rivolgersi a quelli deputati a tenere i rapporti coi politici. Allora erano tre: Stefano Bontade, Girolamo Teresi e Giacomo Vitale. Fu nel 1968, anno dell'elezione a deputato, che Lima svoltò. A lui gli uomini d'onore cominciarono a rivolgersi per le esigenze che comportavano decisioni da adottare a Palermo. Dopo la morte di Bontade, unico referente'di Lima, il tramite per arrivare a «Salvino» divenne Ignazio Salvo. Ma l'onorevole andava disturbato solo per le cose grosse. Per i problemi di Palermo, gli «affari locali», ci si poteva rivolgere ad altri. Per esempio Ernesto Di Fresco, all'epoca de, adesso segretario dell'Unione popolare siciliana, poi all'on. Franco Restivo, ex ministro dell'Interno ed ex presidente della Regione. Ma con lui sorse qualche problema: i mafiosi lo accusavano di essere troppo intimo e «compare» di don Antonino Mineo di Bagheria, tanto che avevano pure pensato di ucciderlo. Per fortuna ci ripensarono. E c'era - una vera sorpresa, questa - Piersanti Mattarella, figlio del ministro de. Il pentito lo definisce «abbordabile», ma solo in un primo momento. Fino all'uccisione (marzo 1979) di Michele Reina, segretario provinciale de. Poi avviò una rigorosa politica di «pulizia». Fu assassinato nel 1980, nel giorno dell'epifania. Per non narlare, Drii Hi Vi¬ to Ciancimino. Ma quello fa storia a sé. Mutolo dice che teneva contatti privati e personali coi «corleonesi» e Totò Riina. Quando entra in crisi l'idillio mafia-dc? Tutta colpa del maxi processo e di Falcone. Prima la retata, quindi il carcere. Il periodo della «primavera» palermitana, il trionfo del pool antimafia del palazzo di giustizia. I boss protestano, si rivolgono ai politici. «Ma come, non eravamo d'accordo che noi davamo i voti in cambio del quieto vivere?». Dall'altra parte, raccontano i pentiti, arrivano segnali rassicuranti. Proprio Lima invita alla calma: «Passerà la tempesta. Il maxi processo naufragherà in Cassazione». Assicurazioni che non trcinrniiHÌ77,ann naqftuno T.a rer- tezza dell'impunità, comunque, doveva essere rappresentata dalla Cassazione. Ma questo non placa i boss. Decidono di lanciare un primo segnale alla de: nell'87 Cosa Nostra aderisce alla campagna garantista di psi e radicali. I boss danno ordine di votare Martelli, mentre dalle casse dell'Ucciardone - ricorda Mannoia - partono laute sovvenzioni per il pr. Pippo Calò regala 100 milioni, la metà viene raccolta dalla «famiglia» di Santa Maria del Gesù, 30 li dona Giovanni Bontade. I socialisti raccolgono una barca di voti: «Questa politica generale del psi scrivono i giudici - non poteva non essere apprezzata da Cosa Nostra. Di conseguenza, anche npr In ef^uoia '"•V"'* r"r,ntaVA "Ai confronti della de, la commissione diede ordine di far votare per il psi e per Martelli». La decisione di uccidere Lima? Quando il maxi processo resiste in Cassazione e la linea governativa si fa più dura con i decreti che portano in carcere i boss in libera uscita. Una stretta che viene attribuita all'ostinazione di Falcone ed al voltafaccia dei politici. Il pentito Marchese rivela: «Giuseppe Madonia, lamentandosi per l'andamento del maxi processo, disse a Lima: "o stai ai patti o ammazziamo te e la tua famiglia"». Lima paga per tutti, perché è lui il ponte verso Roma. Un ponte che non regge più. Così, mentre alcuni boss latitanti inaspettatamente si costituiscono per non condividere le responsabilità giudiziarie della nuova campagna violenta di cosa nostra, muore Lima per primo. Perché? Lo spiega Buscetta: «Lima era figlio di un uomo d'onore. Infatti il padre, il cui nome era forse Vincenzo, apparteneva alla famiglia di Salvatore La Barbera». E aggiunge: «Mi consta che Lima era effettivamente l'uomo politico a cui principalmente cosa nostra si rivolgeva per le questioni d'interesse dell'organizzazione, che dovevano trovare soluzione a Roma». Un compito rivelatosi troppo oneroso. Franpoern l a Licata Il maxi processo ha messo in crisi l'idillio tra cosche e la de Nell'87, i padrini finanziarono psi e radicali per dare un segnale Tommaso Buscetta, uno dei pentiti della mafia siciliana