Napolitano: ma Brandt vide anche il socialismo del futuro

Napolitano: ma Brandt vide anche il socialismo del futuro Napolitano: ma Brandt vide anche il socialismo del futuro RISPOSTA A VATTIMO CARO direttore, mentre seguivo, con intensa partecipazione, nell'aula del Reichstag, le solenni onoranze che venivano rese a Willy Brandt, mi ponevo gli stessi interrogativi che si è posto Gianni Vattimo, anche se le mie risposte sono state un po' diverse. Qual è stato, dunque, il senso di quella cerimonia per molti aspetti davvero straordinaria? Si è trattato innanzitutto, nella forma e nella sostanza, di un grande addio tedesco: di un riconoscimento ufficiale ma non formale, e anzi denso di significati, della Germania unita a una figura e a una politica che pure furono contrastate e sono rimaste controverse. E già questo fa riflettere. Ascoltando i discorsi del Presidente della Repubblica, del presidente del Bundestag, del Cancelliere federale, prima ancora di quello del presidente del partito socialdemocratico, si coglieva una riflessione autentica sul passato che si proiettava nell'inquietudine per il presente. Se è vero che Willy Brandt ha tanto contribuito a riconciliare la Germania con l'Europa, col mondo e con se stessa, il riconoscerlo, unanimemente e solennemente, sembrava voler dire che quella riconciliazione può oggi venir messa in questione e invece deve essere salvata, non deve essere perduta. La Ostpolitik fu una grande scelta, senza equivoci sul piano dei valori e delle alleanze, per scongiurare i rischi di un catastrofico irrigidirsi e precipitare della sfida e della tensione tra i due blocchi, per promuovere ogni possibile dialogo e avvicinamento innanzitutto tra le due Germanie. Ma oggi che la sfida si è conclusa e la Germania è tornata ad essere una, quella scelta in qualche modo appare ancora vitale, esprime un'ispirazione non del tutto superata di fronte alle incomprensioni e agli ostacoli che, pur in un contesto così diverso, si presentano sulla strada del rapporto con quella parte della Germania ricongiuntasi con la Repubbica Federale e con la più vasta area dell'Est già comunista. E comunque, l'omaggio al ruolo che Willy Brandt ha saputo svolgere - da borgomastro di Berlino e da ministro degli Esteri e Cancelliere federale, e ancora dopo, e non certo da solo ma con uomini come Egon Bahr (tra i più commossi, sabato, nelle sale del Reichstag) e con il suo partito - costituisce un riconoscimento per l'intero movimento di cui Brandt è stato leader per decenni. Non può essere morto un movimento che si sia mostrato capace di dare tanto per lo sviluppo democratico della Germania e dell'Europa, e che sia riuscito, aggiungo, ad assumere specie per merito di Brandt una così rilevante dimensione mondiale, testimoniata da tante presenze alla cerimonia di Berlino. Certo, guardandomi attorno, vedevo molti volti di leader socialisti e socialdemocratici segnati dalle prove e anche dalle sconfitte e dagli errori dello scorso decennio o degli ultimi anni. Ma non erano solo volti di uomini e donne del passato: lo struggente discorso da addio pronunciato da Felipe Gonzalez a nome dell'Internazionale socialista esprimeva una determinazione ben viva e forte dinanzi alle difficoltà del presente. Willy Brandt aveva d altronde fatto in tempo ad aprire la pagina di una nuova fase storica, non solo a chiudere quella del vecchio conflitto tra Est ed Ovest. Egli aveva già saputo prendere atto, nel 1990, del venir meno di un'illusione, quella della naturale immediata «renaissance» della socialdemocrazia nell'Est e in tutta Europa, e aveva detto parole lungimiranti sulla necessità di un lavoro tenace di costruzione, da condurre insieme con un più ampio arco di forze e da collocare in una più vasta prospettiva. Il socialismo democratico perché è di questo che parliamo vive, in effetti, non solo come bisogno e speranza di una società fi¬ nalmente umana e solidale, ma come corposo patrimonio di scelte ideali e di esperienze storiche vissute da grandi masse di lavoratori e di cittadini e culminate in prove politiche e di governo decisive per lo sviluppo della democrazia, in Europa e fuori d'Europa. Le difficoltà di fronte a cui esso si trova sono certamente molto grandi, e potranno essere superate solo attraverso nuove revisioni e più ricchi ricambi di idee e di uomini. Ma guardando, nell'aula del Reichstag, ai volti dei leader politici non socialisti, mi chiedevo se non siano comuni a tutte le forze democratiche gli assilli della governabilità di società sempre più complesse e di un mondo sempre più interdipendente, con il suo carico di tensioni. Sì, problemi ed interrogativi inquietanti si pongono non solo alle forze di ispirazione socialista e non solo ad esse si rivolge il messaggio di Willy Brandt, il loro contributo resta essenziale per governare questa ardua transizione di fine secolo. Giorgio Napolitano Giorgio Napolitano