Tutta casa e chiesa la MAMMA del compagno Stalin

Tutta casa e chiesa la MAMMA del compagno StalinIn esclusiva per «La Stampa» lo storico Roy Medvedev ricostruisce le radici segrete del dittatore Tutta casa e chiesa la MAMMA del compagno Stalin In esclusiva mondiale per La Stampa Roy Medvedev scandaglia l'ambiente familiare di Stalin nella natia Georgia in una serie di ritratti utili per ricostruire la personalità del dittatore. Storico dissidente, autore dei primi importanti studi sovietici sullo stedinismo, Medvedev è sempre rimasto in Russia. Uscì dall'ombra con la perestrojka e nel 1989 fu eletto al Congresso del Popolo dell'Urss. Dopo lo scioglimento del pcus è dirigente del partito socialista dei lavoratori. Con questa galleria di ritratti, che sarà pubblicata in un volume più ampio, ritorna all'attività di studioso. LE informazioni sugli antenati di Stalin sono poche e superficiali. Quando alcuni storici georgia ni cercarono documenti e materiali sull'argomento, rovistando negli archivi parrocchiali dei villaggi oppure interrogando gli anziani di Gori, dove Stalin nacque e trascorse l'infanzia, il terribile dittatore pronunciò sull'argomento una frase, non molto chiara ma estremamente minacciosa, e qualsiasi ,ricerca d'archivio venne interrqtta. 1 " Solo di recente alcuni, storici hanno potuto consultare una serie di documenti provenienti dagli archivi, parrocchiali e non, della provincia di Tiflis (così la capitale della Georgia si chiamò fino al 1936, quando prese il nome di Tbilisi, ndr). Hanno appreso con stupore che Stalin non nacque il 21 dicembre 1879, come afferma la sua Breve biografia. La prima parte del registro della cattedrale dell'Assunzione di Gori riporta che il 6 dicembre 1878 i contadini ortodossi Vissarion Ivanovich e la sua legittima moglie Ekaterina Gavrilovna Dzhugashvili ebbero un figlio, Iosif. Il bambino fu battezzato il 17 dicembre. La stessa data di nascita viene menzionata in tutti i documenti della scuola religiosa di Gori, dove Iosif studiò fino al giugno del 1894. Da tutte le testimonianze, dirette e indirette, si può trarre la conclusione che la madre di Stalin non era solo una donna intelligente, ma anche assai decisa, indipendente e severa. Nel libro 20 lettere a un amico la figlia di Stalin Svetlana scrive: «Egli (Stalin) diceva che era una donna intelligente. Si riferiva alle qualità spirituali e non all'istruzione, perché la madre sapeva scarabocchiare a malapena il proprio nome. A volte raccontava che la madre lo aveva picchiato, da piccolo, così come picchiava ii marito al quale piaceva bere. Probabilmente aveva un carattere severo e fermo e questo riempiva di ammirazione mio padre. Rimase presto vedova e questo la rese ancora più dura». Una laurea con lode Lo storico Antonov-Ovseenko, citando le testimonianze di alcuni vecchi bolscevichi e di loro parenti, cerca di dimostrare che Stalin si riferiva alla madre con estrema durezza e cinismo e che, già negli Anni 20, aveva dato ordine di metterle alle costole due militanti comuniste delle più fidate. Alcuni episodi da lui riferiti mi sembrano molto dubbi e non ritengo il caso di riportarli qui. In ogni modo Stalin dovrebbe essere grato a sua madre perché fu proprio lei ad assumersi sia l'onere di mantenere la famiglia sia quello di istruire il figlio. Sognava che il suo Soso diventasse prete e ottenne che potesse iscriversi alla scuola religiosa di Gori. All'epoca Stalin aveva otto anni. Non gli fu facile studiare perché in famiglia si parlava georgiano e lui sapeva pochissimo il russo. Durante i primi anni nelle pagelle di Soso, conservate al museo di Gori, prevalevano voti bassi. Ma il ragazzo era tenace e in sei anni non solo riuscì a concludere il corso scolastico, che durava quattro anni, ma addirittura a laurearsi con lode. Iosif Dzhugashvili concluse con ottimi voti in tutte le materie religiose, in russo e paleoslavo. Solo in aritmetica e greco aveva un «buono». In seguito tentò di imparare anche il tedesco ma fino alla morte non riuscì a sbarazzarsi di un forte accento georgiano. Le lezioni alla scuola di Gori non erano gratuite e Ekaterina Dzhugashvili dovette lavorare duro come sarta e lavandaia nelle case dei ricchi di Gori. Fu costretta anche a svolgere i lavori pesanti nella scuola religiosa dove studiava il figlio. Tra gli avvenimenti dell'infanzia che influirono sul carattere e sul comportamento di Stalin bisogna menzionare l'incidente che capitò al piccolo Iosif quando aveva 10 o 11 anni: finì sotto le ruote di una carrozza. Il braccio sinistro del ragazzino fu gravemente lesionato, si sviluppò più lentamente di quello destro e cominciò a rinsecchirsi. La menomazione non era tuttavia molto visibile e Stalin cercava in tutti i modi di nasconderla: si faceva visitare di rado dai medici, non gradiva spogliarsi, non faceva bagni di mare e non sapeva nuotare. I buoni voti alla scuola di Gori aprirono a Iosif la strada verso il seminario, che era il gradino intermedio dell'istruzione religiosa. Nel 1894 il quindicenne Iosif lasciò la casa natale e andò a vivere e a studiare al seminario spirituale di Tiflis. Nel seminario regnava un'atmosfera di perenne controllo, venivano incoraggiate le delazioni degli studenti. Già a Gori Soso aveva spesso provocato risse e litigi tra gli alunni. Le punizioni che gli venivano inflitte lo spingevano a organizzare pesanti scherzi ai danni degli insegnanti. Iosif si vergognava della sua povertà e della sua famiglia, e spesso maltrattava i più deboli e i più piccoli, circondandosi di bambini pronti a obbedirgli. Aveva pochissimi amici tra i compagni. Non possedeva il senso dell'umorismo, interpretava qualsiasi scherzo come un'offesa. Nelle risse spesso veniva battuto. Stalin aveva comunque qualche amico tra gli studenti. Negli Anni 40, quando i rapporti tra la Chiesa e il potere sovietico migliorarono, il dittatore venne a sapere che un suo compagno di studi era stato eletto a un'alta carica nella gerarchia ecclesiastica della Chiesa ortodossa georgiana. Invitò il vecchio amico a Mosca e lo ricevette al Cremlino. Fu molto gentile, rievocò gli anni trascorsi al seminario e s'informò sulla situazione della Chiesa georgiana. All'improvviso chiese: «Chi temi di più, Dio o me?». Il sacerdote, imbarazzato, non sapeva che rispondere. «So bene che temi di più me - disse Stalin -, altrimenti non saresti venuto al Cremlino in borghese, ma avresti indossato l'abito da sacerdote». Né gli studi alla scuola di Gori, né la permanenza nel seminario di Tiflis trasformarono Stalin in un credente. Il che dispiaceva molto a sua madre. Durante gli studi a Tiflis, Soso Dzhugashvili usava tornare dalla madre, a Gori, per le vacanze e le feste. Si presume che anche Ekaterina Dzhugashvili si sia recata a Tiflis più di una volta. Ma nei loro rapporti non c'era alcuna tenerezza, anzi diventavano sempre più estranei l'uno all'altra. Dopo essersi dedicato all'attività rivoluzionaria nel Caucaso Stalin cessò di tornare a Gori; non scriveva lettere e la madre non sapeva nemmeno in quale parte del Caucaso, in quale carcere o esilio si trovasse il suo unico figlio. Per 15 anni Stalin non ricomparve in Georgia e, probabilmente, non sapeva nulla della madre. Nel 1922, dopo gli anni che mutarono il destino della Russia e della Georgia, Stalin tornò a Tiflis, ormai membro del Politburo del partito comunista e Commissario del popolo della Russia per gli affari delle nazio¬ nalità. Qui incontrò sua madre che non vedeva da quasi 20 anni. Ekaterina Gheorghievna viveva ancora a Gori e aveva 66 anni. Stalin invitò la madre a vivere a Mosca e lei, per la prima volta, lasciò la Georgia per andare ad abitare nel piccolo appartamento nel Cremlino dove Stalin viveva insieme con la seconda moglie, Nadezhda Allilueva, e il figlio Vassilij, che aveva appena compiuto un anno. Nel 1921 venne ad abitare con lui anche il figlio Jakov, avuto dalla prima moglie Ekaterina Svanidze, che era morta molto giovane. Jakov era cresciuto nella famiglia Svanidze e aveva allora 14 anni. La madre di Stalin però, non riuscì a vivere in un ambiente a lei sconosciuto e estraneo. Tanto più che nel Cremlino, in quegli anni, non c'erano chiese aperte. Non aveva nemmeno un poste dove appendere le sue icone. In quel tempo negli ambienti bolscevichi si coltivava un ateismo militante e l'orgogliosa e indipendente Ekaterina Gheorghievna preferì non rimanere a Mosca. Pochi mesi dopo tornò nella sua casa di Gori. Di suo figlio Stalin veniva informata dai vici¬ ni che le leggevano i giornali georgiani. Stalin continuò a interessarsi ben poco di sua madre. Tanto poco che, perfino quando trascorreva le vacanze in Georgia, non la invitò mai a stare con lui. Ma i poteri del partito e dello Stato in Georgia non potevano rimanere indifferenti verso la madre di Stalin. I dirigenti della Repubblica insistettero perché Ekaterina Dzhugashvili si trasferisse a Tiflis, dove fu messo a sua disposizione uno degli antichi palazzi nel centro della città. La madre di Stalin si trasferì nella capitale georgiana con tutte le sue cose ma occupò una sola piccola stanza del grande palazzo. Ovviamente le si dedicavano grandi attenzioni: la curavano i migliori medici, tutti i suoi modesti bisogni venivano soddisfatti dallo Stato. L'anziana donna, che per tutta la vita aveva servito persone ricche, disponeva ora di una servitù interamente ai suoi servizi. Ma non abusò della nuova posizione, conservò tutte le vecchie abitudini e rifiutò molti privilegi che le erano stati offerti. La sua salute cominciò a peggiorare all'i¬ nizio degli Anni 30. Cominciò allora a uscire dal palazzo quasi esclusivamente per andare in chiesa. Nel 1934 Stalin decise di mandare i figli a far visita alla nonna, a Tiflis. Ecco come Svetlana Allilueva descrive l'evento: «Rimanemmo a Tbilisi una settimana circa ma trascorremmo con la nonna solo una mezz'ora... Lei viveva in un bel palazzo antico in mezzo a un parco, occupava una stanza buia con il soffitto basso e piccole finestre che davano sul cortile. In un angolo c'era un letto di ferro dietro un paravento. La stanza era piena di vecchie, tutte vestite di nero come si usa in Georgia. Sul letto era seduta una donna anziana. Ci portarono davanti a lei, che ci abbracciò convulsamente con le sue braccia magre e nodose e ci baciò dicendo qualcosa in georgiano. L'unico a capire era Jasha, che rispondeva alle sue domande. Noi stavamo in silenzio... Tutte le vecchie, amiche della nonna, ci baciarono e dissero che io assomigliavo molto alla nonna. Lei ci offrì caramelle su un piattino mentre le lacrime le scorrevano sul viso... Ce ne andammo presto e non tornammo più al palazzo. Ma io ero stupita: perché mai la nonna viveva così male?». La marmellata di noci Quando la salute di Ekaterina Gheorghievna cominciò a peggiorare, alla fine del '35, Stalin decise di farle visita. Il giornale georgiano Zarya Vostoka del 18 ottobre 1935 riportò in prima pagina, a grandi caratteri, il seguente comunicato: «Il compagno Stalin è a Tiflis. La mattina del 17 ottobre il compagno Stalin è arrivato a Tiflis per incontrare sua madre. Dopo aver passato con lei tutta la giornata, il compagno Stalin è ripartito per Mosca la sera del 17 ottobre». Alcuni giorni dopo i giornalisti dell'agenzia Tass andarono a visitare Ekaterina Gheorghievna. Il 22 ottobre il giornale Zarya Vostoka pubblicò il loro reportage dal titolo «Colloquio con la madre del compagno Stalin». Eccone alcuni brani: «Non lo vedevo da tanto tempo. Non sto bene, mi sento debole, ma quando l'ho visto è come se mi fossero cresciute le ali, la debolezza e la malattia sono passate immediatamente. Ho chiesto dei nipotini. Li amo più di ogni altra cosa al mondo. Soso mi ha risposto scherzando di essere venuto per ordine di Svetlana che voleva ricevere dalla nonna la marmellata di noci. Abbiamo ricordato i vecchi tempi, gli amici e i parenti. Lui scherzava, si rideva. Ero felice perché accanto a me c'era il mio Soso». La salute di Ekaterina Gheorghievna peggiorò ulteriormente. Alla fine di maggio del 1937 si ammalò di polmonite. Il suo vecchio corpo non riuscì a vincere la malattia e, nonostante fossero state prese tutte le misure a disposizione dei medici in quegli anni, la sera del 4 giugno morì. Stalin venne informato subito. Ma a Mosca erano in corso le repressioni più feroci, si stava preparando il Plenum del CC del partito in cui la Nkvd (la polizia politica, ndr) avrebbe ottenuto poteri straordinari, trasformandosi per molti anni in un potere supremo agli ordini esclusivi di Stalin. In queste circostanze Stalin non aveva tempo di pensare alla madre. Per evitare pettegolezzi ordinò di non pubblicare sui giornali la notizia della morte. Non solo non andò a Tbilisi ai funerali, ma non ci mandò nemmeno i figli. L'apparato del potere georgiano non poteva però «non notare» la morte della madre di Stalin, se non altro perché nelle tradizioni locali il rituale funebre occupa un posto particolare. Sabato 5 giugno tutti i giornali georgiani pubblicarono la foto di Ekaterina Dzhugashvili accompagnata da un breve comunicato. La commissione funebre venne formata da vecchi bolscevichi. Sebbene la madre di Stalin fosse profondamente religiosa, al funerale non parteciparono sacerdoti. Si decise di seppellirla con il rituale laico riservato ai dirigenti del partito e dello Stato. Il giorno dopo, i giornali riferirono che la salma di Ekaterina Dzhugashvili era stata trasportata dal suo alloggio nel «Palazzo del Governo», sulla via Rustaveli, al Palazzo dell'Armata Rossa. Tra le decine di corone sulla bara spiccavano per le loro dimensioni due corone con le scritte in georgiano: «Alla cara amata madre, dal figlio Iosif Dzhugashvili» e «Alla cara, mai dimenticata, Ekaterina Gavrilovna Dzhugashvili da Nina e Lavrentij Beria». Per tre giorni centinaia di migliaia di persone dalla Georgia e dalle Repubbliche vicine sfilarono davanti alla bara della madre di Stalin. L'8 giugno, alle quattro del pomeriggio, ci fu un breve commiato senza alcun rituale religioso. Alle cinque e un quarto sei persone, tra cui Beria, sollevarono la bara e la portarono fuori dal Palazzo dell'Armata Rossa, fino al Museo degli scrittori «Mtazminda» (nel recinto di una chiesa oggi restaurata) dove era stata scavata una fossa. I rappresentanti del governo georgiano, armeno e azerbaigiano pronunciarono brevi discorsi. Alle sette meno dieci la bara con la salma di Ekaterina Dzhugashvili venne depositata nella tomba. Lì, accanto alle tombe degli scrittori Ilia Chavchavadze e Aleksandr Griboedov, trovò la sua pace eterna la madre di Stalin. Una semplice contadina, lavandaia e sarta che sognò per suo figlio un avvenire da prete e non volle vedere in lui un nuovo dio o uno zar creato dal destino e dalla rivoluzione. Aveva continuato a credere nel Dio dei cieli, ma la sua bara scese nella fossa accompagnata dalle note delY Internazionale. Roy Medvedev Traduzione di Anna Zafesova Intelligente e severa, picchiava il figlio e il marito che beveva troppo Sognava che il suo «Soso» diventasse prete e riuscì a mandarlo in seminario Sopra la casa dei genitori di Stalin a Gori in Georgia. A fianco un'altra immagine della madre Ekaterina Gavrilovna Dzhugashvili