«Un giudice nel mirino dei boss»

«Un giudice nel mirino dei boss» Anticipato il blitz all'autoparco milanese, la mafia preparava un attentato «Un giudice nel mirino dei boss» Ventitré arresti, sgominata la banda che agiva al Nord E' la conferma delle rivelazioni del pentito Contorno MILANO. Nell'autoparco milanese dove gli uomini del Gruppo di intervento speciale della Guardia di finanza (Gico) di Firenze hanno fatto irruzione sabato scorso, dovevano arrivare mille chili di cocaina dalla Colombia. Gli inquirenti lo sapevano ed avevano fissato per domani la data dell'intervento. Ma hanno dovuto anticipare i tempi per impedire un attentato contro un magistrato ed una strage di mafia in Sicilia. Dell'attentato e del regolamento di conti avevano avuto la certezza durante le intercettazioni ambientali alle quali da più di un mese erano sottoposti gli uomini che frequentavano l'autoparco di Giovanni Salesi, una delle 23 persone raggiunte da ordini di custodia cautelare firmati dal gip di Firenze, Roberto Mazzi. Gli inquirenti non sanno né il nome del magistrato che la mafia aveva deciso di uccidere, né la città dove lavora, ma le informazioni raccolte (nelle intercettazioni si parlava di «far saltare l'auto» e si faceva riferimento a «domenica mattina») dovevano essere molto precise se Giuseppe Nicolosi, sostituto procuratore fiorentino, ha deciso di rinunciare a quei mille chili di cocaina. Per ora sono stati sequestrati cinque chilogrammi di eroina, cinque pistole automatiche di cui una con silenziatore, un fucile a canne mozze, 300 cartucce e 355 milioni di lire in contanti. Nell'intercapedine di un container i finanzieri hanno trovato il materiale giudicato «più interessante»: si tratta di una scatola metallica all'interno della quale ci sono le schede con la contabilità del traffico degli stupefacenti, contabilità che dimostra un giro di affari giornaliero di almeno 700 milioni. Una conferma delle infiltrazioni della Piovra al Nord. Salvatore Contorno lo aveva detto durante la sua deposizione al maxi processo di Palermo: i corleonesi controllano l'organizzazione mafiosa dell'Italia centro settentrionale attraverso la quale passava gran parte del traffico di stupefacenti e di armi. Il «pentito» aveva fatto anche i nomi di Giacomo Riina e di Leoluca Bagarella, ma non era stato creduto. Giovanni Falcone, però, aveva parlato con i suoi colleghi fiorentini offrendo loro spunti di indagine in questo senso. E oggi l'inchiesta di Firenze sembra confermare quello che Contorno aveva detto. Nicolosi ha cominciato a lavorare su questo filone nel giugno 1991, quando furono arrestate a Prato 19 persone della cosiddetta «mafia del tessile». Allora si puntava ad individuare la presenza di «capitali mafiosi» in Toscana, soprattutto nell'acquisto di aziende in difficoltà, ma nel giro di qualche mese Ni¬ colosi ha capito che fra Toscana, Emilia-Romagna e Lombardia operava una potente organizzazione che faceva riferirne" ito ai corleonesi e che si dedicava al traffico di stupefacenti e, soprattutto, al rifornimento di armi per la mafia. L'inchiesta ha fatto un importante passo avanti nel maggio scorso, quando a Mordano, in Romagna, sono stati sequestrati armi ed esplosivi provenienti dal Belgio e destinati agli uomini di Nitto Santapaola e Giuseppe Pulvirenti. In quell'occasione è finito in carcere, fra gli altri Pietro Paci, luogotenente di Giacomo Riina. E proprio a Giacomo Riina gli inquirenti fiorentini sono arrivati nel settembre scorso, quando è stato fatto un altro passo avanti nell'individuare l'organizzazione mafiosa dell'Italia centro settentrionale. Giacomo Riina, 84 anni, zio del latitante Totò, era il capo dell'organizzazione al Nord. Nel febbraio di quest'anno Giacomo Riina era tornato in carcere per scontare sette anni, ma anche dalla sua cella continuava a comandare. E visto che Paci era in galera, il suo braccio destro era diventato Vincenzo Porzio. E' stato proprio indagando sugli uomini di «zio Giacomo» che si è arrivati al «troncone milanese» e all'autoparco che era diventato il centro operativo della mafia del Nord. [1. s.] Salvatore Contorno aveva parlato per primo di infiltrazioni mafiose al Nord