Io, ebreo e gli incubi tedeschi di Emanuele Novazio
Io, ebreo e gli incubi tedeschi LA STORIA Io, ebreo e gli incubi tedeschi LFRANCOFORTE A sua lettera al cancelliere Kohl, Alfred Jachmann l'ha pensata fra gli anziani della Bornheimer Landswehr, all'ospizio della comunità ebraica dove lavora da trent'anni. Quando Rita Paisà, una donna di 82 anni «nata a Berlino e cresciuta in questo Paese», gli si è avvicinata piangendo, gli ha preso le mani, non riusciva più a calmarsi. Alfred Jachmann pensava al dolore per il busto, alla malattia che l'assedia. Rita Paisà gli ha confessato che piangeva di paura, e che non riusciva più a dormire «per la paura che tutto ritomi com'è stato». Alfred Jachmann racconta di averla abbracciata, ma di non essere riuscito a confortarla. Perché le lacrime di quella donna piccola per la malattia e gli anni sono le stesse di «tutti quelli che sono stati all'inferno», nei lager nazisti. Per questo la lettera al cancelliere Kohl è la sua storia, quella di Rita Paisà e di migliaia di persone che «adesso non possono fare a meno di tornare al passato». Ci sono, in quella lettera, la cittadina di Armswade in Pomerania, il magazzino all'ingrosso del padre venditore di pelli nei mercati fino a Lipsia; c'è «l'infanzia normale» che d'improvviso si spezza e dall'ottobre del '38 diventa «amara e seria, triste». E poi il «banco speciale» a scuola, dove «i bambini che avevano giocato con me e andavo a trovare mi urlavano "ebreo"», c'è il padre «che diceva non rispondere, non girarti mai, parole che ho sempre nelle orecchie». Fino all'arresto e alla deportazione a Sachsenhausen, i lavori forzati alla «Deutsche Waffen Fabrik», la fabbrica di munizioni a BerlinoBoesenwald. E poi Auschwitz per l'intera famiglia, la madre Selma e la sorella Gerda alle camere a gas, l'ultimo viaggio del padre Julius verso i forni a Birkenhau. E un rimorso che da allora lo tormenta: «Aveva un edema ai piedi e non serviva più: ma non poteva lavorare perché dava a me la sua razione di acqua e cibo». Adesso che le croci uncinate sono tornate sui muri di Berlino e nei cimiteri ebrei le tombe sono «sporcate di insulti nazisti», Alfred Jachmann ha un rimpianto soprattutto: «Se un tempo avessi avuto l'esperienza di oggi, dopo la guerra non sarei rimasto in Germania». Ma a 19 anni e dopo essere scampato alle SS che sparavano ai prigionieri, nella «marcia della Emanuele Novazio CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA
Persone citate: Alfred Jachmann, Kohl, Rita Paisà
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